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Sensazionalismi, strategie di comunicazione ministeriali, polpettone mediatico natalizio? No, in effetti pare non ci sia niente di nuovo sotto al sole: la verosimile propaganda sul “modello Pompei”, montata ad hoc sulla recentissima scoperta del termopolio, dimostrerebbe di fatto con quanto colpevole ritardo, su qualsiasi tabella di marcia per la preservazione di un sito archeologico di inestimabile valore per l’umanità, siano arrivati gli enti governativi rispetto ad iniziative concrete, facendo d’altronde una rivalutazione che ha più che altro il sapore dell’autoelogio.

Questa maniera piuttosto articolata dal punto di vista mediatico di presentare al grande pubblico quanto si stia facendo per il recupero di Pompei, grazie ad un sodalizio tra il Mibact gestito da Dario Franceschini e il direttore generale dei musei, oltre che direttore ad interim del Parco Archeologico di Pompei, Massimo Osanna, si direbbe dunque teso a salvare l’intero complesso, dichiarato Patrimonio dell’Unesco soltanto nel 1997, da un secondo disastro: quello dell’incuria e della fatiscenza in cui tanto le istituzioni quanto l’opinione pubblica e la sensibilità italiana media hanno lasciato fino ad oggi la storica città campana e le sue vestigia.

Una prospettiva legittima in effetti, legittima ed ipocrita allo stesso tempo e che non fa certo notizia poiché non c’è nulla di nuovo sotto al sole, dicevamo, neanche nell’asserire che la stampa tutta non s’è certo presa la briga di denunciare il fatto che innumerevoli opere d’arte ed i reperti archeologici siano seppelliti negli scantinati di molti musei italiani e neanche di incriminare con puntuali dossier gli autori degli scempi causati in nome dell’edilizia… però certe penne illuminate pare ci prendano gusto talvolta a rovinare quella che, al di là di tutte le vergogne di questo Paese, resta comunque una bellissima notizia e che dovrebbe almeno inorgoglirci, piuttosto che sporcare l’idea che qualcosa di nuovo sia avvenuto affermando con scadente tempismo le annose vicende, ormai sotti gli occhi indifferenti di tutti, che vedono sul banco degli imputati tanto l’ingessata comunità dell’archeologia accademica che gli organismi preposti alla preservazione dei beni culturali.

Non c’è niente di nuovo sotto al sole, verissimo…

Un fiore che spunta tra l’erba, il sorriso di un bambino, le ruvidità di una colonna che attende di essere accarezzata e con essa accarezzare la storia, un tramonto… decidete voi quale di questi spettacoli della natura e dell’umanità sia il più sensazionale, il più comune o il più banale; possiamo dunque annoiarci di fronte alla bellezza che ci circonda quotidianamente? Non credo, o meglio mi piacerebbe pensare ciò non sia possibile, poiché la vita che si rigenera, la ciclicità con cui la storia si presenta, gli eventi umani che accadono sia nel bene che nel male, per quanto siano ripetizione costituiscono un miracolo già di per sè.

Un miracolo che diamo sin troppo per scontato. Un miracolo che con altrettanta ciclicità ci pone gli stessi quesiti, puntualmente lasciati senza una risposta e con tutte le generazioni “rimandate a settembre” non per l’incapacità di vedere il bello ed il buono non delle solite cose che accadono, ma per l’ostinazione di osservare coi soliti occhi le cose mentre accadono.

Eppure non c’è niente di nuovo sotto al sole se osserviamo che in Italia, un paese strapieno di bellezza, i suoi abitanti ne siano assuefatti. Siamo i primi detrattori del nostro ingente patrimonio: cosa importa quanti reperti simili siano già stati trovati in una qualsiasi delle nostre straordinarie regioni? Pompei ha dato alla luce un motivo in più per cui il mondo possa rivivere la storia dell’umanità, una nuova possibilità meravigliosa e terribile per viaggiare nel tempo e per ricordarci che, ieri come oggi, siamo piccoli esseri su un pianeta che non ci appartiene.

Piuttosto che sottolineare che a Pompei di termopoli ve ne erano già una ottantina, quasi a considerare dei reperti in più come a dei stramaledetti doppioni delle figurine, si sarebbe potuto esprimere cosa davvero significhi il senso di una nuova scoperta per l’umanità e sottolineare un dato davvero significativo, seppellito dalla solita lagna all’italiana: da una trascrizione murale a carboncino verrebbe confermata l’ipotesi che la data dell’eruzione risulterebbe essere il 24 ottobre del 79 d.C. anziché il 23 agosto, dettaglio trascurato ma non trascurabile che riscriverebbe la storia fino ad oggi conosciuta.

Un italiano dovrebbe perdere temporaneamente la memoria per qualche giorno, così, giusto per ritrovarsi in una città d’arte, dentro una pinacoteca, nel bel mezzo di un paesaggio o di un sito archeologico del suo Paese per poter ricevere la benedizione di un grande dono: poter guardare tutto ciò con gli occhi di un bambino o di uno straniero al fine di provare lo stesso rapimento che gli animi sensibili provano quando vengono colpiti dalla sindrome di Stendhal, atterriti dalla magnificente bellezza di cui sono circondati… e riacquistarla dopo tenendosi ben stretto tutto quello che ha sentito dentro di sè nel vedere con occhi nuovi il suo Paese.

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