Con il confinamento fra le mura domestiche, in corrispondenza delle due maxi ondate pandemiche, è aumentata esponenzialmente l’esposizione dei minori ai pericoli del far web. Nonostante il preoccupante aumento delle psicopatologie infantili, i tentativi di suicidio fra i giovani e gli atti di autolesionismo, il tema continua a rimanere sotto traccia all’interno del dibattito pubblico. E’ stato il caso della bambina di 10 anni morta qualche giorno fa a Palermo dopo una sfida su Tik Tok a scuotere l’opinione pubblica, avvinta tra rischi di contagio e speranze di immunità, nel mezzo di una crisi di governo che fagocita i media.
“Il punto è che le domande degli adolescenti rischiano di essere sentite come “scottanti” – spiega Sergio Anastasia, Psicologo Psicoanalista, consulente di Neuropsichiatria Policlinico di Milano e studio MindOrder, dove si occupa dei temi dell’infanzia e dell’adolescenza – Dare delle risposte organizzate rischierebbe di far saltare la “popolarità” politica di chi assume decisioni, che costringe da secoli ad attuare risposte evasive o proibizioniste da parte del legislatore. Il focus del disagio adolescenziale invece – continua lo psicologo – è principalmente quello di pianificare con e per loro forme di espressione organizzata del dissenso. Le attuali politiche di privazione hanno messo il silenziatore alle spinte adolescenziali verso il cambiamento e verso il nuovo. Così facendo, ciò che è rimasto loro è una forma di aggregazione conformistica alle regole o a modelli dai quali, attraverso i social, sono ora letteralmente invasi, senza più i filtri della socialità e della scuola. Un modello che prima poteva essere messo in discussione attraverso il confronto con i compagni, e che ora invade il loro spazio, facendoli talvolta sentire “sbagliati” e sfortunati.
In che modo la clausura forzata degli ultimi tempi può aver contribuito a peggiorare la situazione?
Se la rabbia non si può sfogare con l’arte di strada, con la competizione sportiva, sui modelli di appartenenza sub-culturale, con tutto ciò che permette una libera espressione delle emozioni, non resta che rivolgerla contro se stessi. Il ritiro, la chiusura, il ricorso all’utilizzo potenzialmente sedativo degli smartphone, possono dar luogo a gravi forme di aggressività etero e auto-diretta.
Spesso le insidie della rete coinvolgono i preadolescenti se non, addirittura, i bambini. Come li si può proteggere?
Tenerli lontani dal mezzo tecnologico o controllarli in ogni istante di connessione è impossibile. Ma, se già era difficile prima, con il prolungarsi dei tempi sospesi, con interi pomeriggi passati senza far nulla e con la privazione di contatti reali, diventa fondamentale accompagnarli. Un’educazione efficace si basa sulla conoscenza e sul riconoscimento. Gli adolescenti non sono dei contenitori vuoti da riempire di conoscenze. A questo pensa già la pubblicità e un certo uso dei social a scopo propagandistico. L’adolescente ha bisogno di ascolto, di vedere attraverso il discorso e il pensiero, oltre le proprie azioni. Imparare a vivere le conseguenze di una certa condotta, attraverso il confronto non giudicante di chi invece sa. E allorché non si convince neppure col dialogo, ha bisogno di sbagliare. Si tratta di stargli a fianco, curiosi, attenti, aperti e disponibili a imparare.
Si tratta solo di imparare concetti, o anche di aiutarli a gestire e a condividere le emozioni?
Quest’ultima cosa è fondamentale. La loro gioia, così come per noi adulti, è il sentire la nostra gioia. Se imparassimo a manifestarla di più, non solo per i bei voti, o per i successi, ma anche per il fatto di sentirci meritevoli delle loro attenzioni, già avremmo fatto una buona parte del nostro lavoro di adulti. L’altra, come abbiamo visto è quella di accogliere e contenere il loro sacrosanto desiderio di manifestare un disagio e un dissenso, rispetto al mondo che verrà consegnato loro in futuro e nel quale gli è letteralmente capitato di finire.
Oltre alle famiglie, quali altre agenzie formative dovrebbero essere coinvolte nel processo di educazione social?
In primo luogo i politici. Non sarebbe utile creare un canale televisivo, una radio, o dei social stessi, dove potersi esprimere senza censura? Non servirebbe immaginare dei laboratori di street art, o di danza all’aria aperta? Oppure, non sarebbe opportuno prevedere maggiori congedi parentali ai papà, che spesso sono estromessi dall’educazione dei figli? O dei corsi di alfabetizzazione all’utilizzo dei social per i genitori? Creare spazi di ascolto? Insomma, la lista delle cose da fare rischia di diventare davvero troppo lunga. Ma, come sappiamo, dovrebbe partire da una politica di regolamentazione delle piattaforme social, cui dovrebbe essere tolto il potere di trasmettere ogni cosa solo per aumentare il bacino dei follower.
Perché i bambini sono spesso attratti dalle challenge estreme sui social?
I bambini sono attratti dal conformismo. Un modo per rassicurarsi di essere come tutti gli altri e per affrontare la paura di essere degli emarginati e degli esclusi. Una paura insita in ognuno di noi. Il punto è che se sui social vuoi apparire, occorre fare cose estreme, che attirino l’attenzione, con la possibilità che i tuoi contenuti diventino virali. Per “spaccare” devi in qualche modo sbalordire. E cosa, più dell’eccesso, può servire a questo scopo? Un bambino che non è accompagnato all’utilizzo di tali immagini o esperienze estreme, cui molto facilmente può avere accesso, può essere esposto al rischio di non comprenderne il contenuto eccessivo e surreale, ma di considerarlo reale e possibile. Spingendosi oltre la barriera del pericolo.
L’età minima per l’iscrizione ai social network e alle principali app in Italia è di 14 anni, ma sono possibili numerosi escamotage per aggirare divieti e controlli. Colpevole lassismo delle piattaforme digitali o “culpa in vigilando” da parte dei genitori?
Non mi sento di parlare di colpe, soprattutto in un momento così tragico per la collettività, neanche in merito al caso specifico appena accaduto. Parlerei piuttosto di responsabilità. E il punto è questo: se come genitori stessi siamo vittime del sistema di potere costruito dalle case produttrici di smartphone, social e intrattenimento, come possiamo diventare dei buoni educatori per i nostri figli? Occorre partire da politiche che, come ci ricorda il documentario “Social Dilemma”, dovrebbero contribuire a limitare l’esercizio improprio del potere che le tecnologie, sempre di più stanno assumendo nella nostra vita. Se il potere lasciato a qualcuno è potenzialmente infinito, sappiamo bene che molto probabilmente ci sarà qualcuno che – volente o nolente – ne potrà restare vittima.