arcipelaghi cada die teatro
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Un centinaio di spettatori, cinque repliche, quattro istituti penitenziari coinvolti e la collaborazione ormai consolidata con i CPIA. Si conclude, almeno per ora, con questi numeri l’iniziativa del Cada Die Teatro che ha portato un momento di quasi normalità in un luogo, il carcere, dove il concetto di normalità è ancora più relativo che in altri contesti.

«Abbiamo creduto e continuiamo a credere nel potere del teatro di abbattere barriere, aprire le menti, porre dubbi, creare confronto e offrire nuovi e differenti punti di vista» racconta soddisfatto Alessandro Mascia ideatore e attore, assieme a Pierpaolo Piludu, del progetto Arcipelaghi. Isole differenti in uno stesso mare, diretto da Alessandro Lay.

A conclusione di questa particolare tournée (Uta, Isili, Massama, Is Arenas) rimane però nei protagonisti un desiderio: «Ci piacerebbe pubblicare un volume con le riflessioni dei nostri spettatori – spiega Piludu -. Sappiamo che i docenti dei CPIA 1 Karalis e 4 di Oristano (Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti) stanno facendo con loro un grande lavoro, sia pur con mille difficoltà dato il periodo che attraversiamo e i noti ostacoli pratici. Sarebbe molto importante per noi, e credo anche per i nostri spettatori, poter raccogliere in un volume le loro riflessioni rispetto non solo allo spettacolo, ma anche rispetto al testo che abbiamo deciso di portare in scena, Arcipelaghi di Maria Giacobbe, un testo che forse più di altri, è entrato nelle loro corde».

Non nega la soddisfazione anche la Fondazione di Sardegna, che ha finanziato il progetto. Graziano Milia ha accolto l’invito del Cada Die a intervenire in occasione dell’ultima replica dello spettacolo e rivolgendosi a detenuti e operatori carcerari ha chiarito: «L’obiettivo che ci guida quando decidiamo di sostenere queste iniziative è anche quello di contribuire a trasformare questi interventi teatrali in una opportunità per tutti voi di crescita, di formazione e apprendimento di tecniche lavorative che, una volta concluso il periodo di detenzione, possano tornare utili nella ricerca di un’occupazione. Lavoriamo per questo, per aiutarvi e sostenervi in questo cammino. Lo percepiamo come un dovere, anche morale, al quale non possiamo sottrarci e per questo continueremo a farlo nonostante le difficoltà. D’altra parte ci rendiamo conto che spesso, se non ci fosse la Fondazione, questi progetti non troverebbero altre vie di finanziamento».

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