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Aveva ventinove anni Pietro Plozza quando decise di lasciare il lavoro presso la Ferrovia Retica per dedicarsi al commercio di prodotti agroalimentari, scommettendo sulla qualità e la selezione delle materie prime e cominciando ad imbottigliare vino in anni in cui si vendeva soltanto lo sfuso. Era il 1919, si trovava a Brusio in Svizzera, poco lontano da Tirano in Valtellina ed ebbe la lungimiranza di acquistare delle vigne impiantate sui terrazzamenti retici, costruendo una cantina proprio in quell’area in provincia di Sondrio; quei vigneti erano vitati con uve nebbiolo e nel ’46 lui ebbe il merito di essere il primo a vinificare lo Sfursat da esse ottenuto.

Da allora è passato più di un secolo e la Cantina Plozza si è evoluta in Plozza Wine Group, formato da altre quattro aziende, mantenendo però lo stesso immutato amore per il nebbiolo valtellinese e la casa madre, con la sua grande barricaia, a Tirano.

La piccola cittadina di Tiràn, così si scrive in dialetto valtellinese, conta quasi 9 mila anime oggigiorno e fu abitata già nella preistoria, come testimoniano i pugnali del XVIII secolo a.C., le incisioni rupestri e la stele dell’Età del Rame esposta presso l’Antiquarium Tellino. Dapprima vi furono gli Etruschi ed i Celti poi, in Età Imperiale, furono gli Antichi Romani a stanziarvisi, dando origine al nucleo abitativo presso il pendio di Roncaiola e quindi assegnarle il nome: l’etimo sembra derivi da inter amnes, ossia tra i fiumi, ed in effetti Tirano si trova proprio tra l’Adda e il Poschiavino. Dopo la caduta dell’Impero Romano, la città cadde in mano longobarda e poi passò sotto il controllo della Diocesi di Como: in questo periodo venne costruito il Castello del Dosso, teatro di contesa tra guelfi e ghibellini, contesa incarnata dalla rivalità tra comaschi e milanesi per accaparrarsi il dominio sul borgo fortificato, ambito per la sua posizione strategica a confine con la Serenissima Repubblica di Venezia, i cui domini si estendevano alla vicina Val Camonica, e rappresentante una vera chiave d’accesso per l’Impero Germanico verso la Valle Engadina ed il Lago di Como. Le vicissitudini storiche che la città dovette attraversare furono innumerevoli e dopo la dominazione da parte dei Visconti e della Repubblica Ambrosiana, passò nelle mani degli Sforza fino al 1487, periodo in cui venne depredata dai Grigioni, accadimento che convinse Ludovico il Moro l’anno successivo a restaurare le fortificazioni ed edificare una cintura muraria di difesa, assegnandone i lavori all’architetto Giovanni Antonio Amadeo. In bilico tra apparizioni miracolose, come quelle della Madonna il 29 settembre 1504, lotte tra cattolici e protestanti, conseguenze della Rivoluzione Francese e del dominio austriaco, Tirana sopravvivrà alle due guerre mondiali, periodo in cui si diffuse molto il contrabbando a causa della vicinanza col confine svizzero, e diventerà una meta turistica molto ambita dai turisti, grazie alle vicine località sciistiche ed attrattive come il santuario dedicato alla Madonna di Tirano ed i tanti palazzi signorili, oltre che per essere scalo della pittoresca linea ferroviaria Tirano-Sankt Moritz.

Un tempo era molto diffusa la coltivazione del grano saraceno, però il distretto valtellinese di Tirano, oltre alla produzione delle mele, dei prodotti caseari e dei salumi ha una grandissima vocazione per la viticultura e tra i piatti tipici, a base di farina nera e formaggi, meritano menzione i pizzoccheri, la polenta nera, i chisciöi e le sciatt, frittelle di grano saraceno con cuore di formaggio Valtellina Casera fuso.

L’altitudine media è di 458 metri sul livello del mare ed i terreni dove nasce il Passione Anniversario sono composti da sabbie e limo che hanno origine dalla roccia granitica sfaldata e rara presenza di argilla, terreni in cui è possibile riscontrare fino a 400 tipologie di diversi minerali. Viticultura eroica, grande presenza di roccia, coadiuvata però da un quadro climatico favorevole alla maturazione delle uve: la valle ha un orientamento da Levante a Ponente, è protetta a Nord Est dalla catena montuosa delle Alpi Retiche e a Sud dalle Alpi Orobie, condizione che la conforma ad anfiteatro naturale con una buona ventilazione, escursioni termiche e l’influenza mitigatrice del Lago di Como a fronteggiare le basse temperature.

Ottenuto da uva nebbiolo posta in appassimento sui graticci, il Passione Anniversario Igt Alpi Retiche del 2013 affina per un anno in barrique nuove di rovere francese affumicate, per poi svolgere un ulteriore passaggio di tre anni in botti di castagno ed infine in bottiglia.

Questo Chiavennasca in purezza possiede un colore rosso granato luminosissimo che tende all’aranciato di grande eleganza, eleganza che si fa pienezza in consistenza, grazie ad archi fittissimi e gocce che si srotolano lentamente, e che rendono spessore al vino, il quale all’esame visivo sfoggia una vitalità foriera di una certa freschezza. Lentamente si schiude con note boisé di mogano, tabacco e di legno tostato che vorticano assieme al melograno, al cassis, alle more ed alla ciliegia sotto spirito a chiudere un cerchio di intensità olfattiva col cuoio, il cacao amaro, la polvere di caffè, una quasi impercettibile idea di vaniglia e la nota salmastra della conchiglia d’ostrica. Sorsata piena, appagante, con tannino evidente ma evoluto e ben integrato alla freschezza che, affievolendone l’astringenza, rende il tutto succoso, seta liquida. Tutto il piacere delle tostature ritorna assieme alla frutta a bacca rossa e nera in retrolfattiva e con una nota sapida al gusto il sorso si fa ancor più appagante ed esteso in persistenza. Vino decisamente aderente alla tipologia, longevo e dalle grandi aspettative. Lanciando pigramente in aria il fumo di uno stortignaccolo mentre si ascolta la cover di le vent nous portera di Sophie Hunger.

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