La cantina di Marco Cecchini è ubicata in un territorio in bilico tra Udine e Slovenia in Friuli Venezia Giulia. Siamo infatti a Faedis, una cittadina posta nella vallata del torrente Grivò, a ridosso delle Prealpi Giulie e che conta meno di tremila abitanti. Grazie alle tracce rinvenute nella Grotta “Çondar des Paganis“, tra Faedis e Attimis, è possibile stabilire che questo territorio è stato abitato almeno dal 2000 a.C., mentre il rinvenimento di reperti numismatici e diversi manufatti testimoniano il passaggio degli Antichi Romani i quali hanno lasciato sulla piccola collina di Colvillano una piccola villa rustica ed un tempietto votivo, proprio dove oggi sorge la chiesa di Santa Maria Assunta a Faedis. L’etimologia del nome di questa città vien fatto risalire alla parola di origine latina “fagetum“, poi diventata in friulano “faêt“, che significa bosco di faggi; il valore delle genti di questa terra è ben noto, basti ricordare l’eroismo e la resistenza durante la prima guerra mondiale. Di grande impatto storico culturale sono le piccole chiese, le ville ed i palazzi signorili, non di meno i manieri come il castello di Cucagna, il castello di Zucco ed Il castello di Soffumbergo.
Al compimento della vendemmia del ’98, svolta per aiutare il nonno Alfio che gli chiede di occuparsene perché ormai avanti negli anni, Marco vira di bordo rispetto agli studi universitari in economia dei mercati valutari, si fa aiutare da alcuni amici dopo essersi fatto spiegare per filo e per segno sul da farsi, salva l’annata e s’avvede che il vino lo ha convocato per conto di Dio. Intascata la laurea si trasferisce in campagna, trasformando una selva di rovi in una vigna ed il deposito in un’abitazione, studiando la terra e la vite e come possa il loro richiamo tradursi in vino buono, fatto con cognizione di causa enologica ma senza perdere quella fiera impronta di anarchia da autoproduzione, lavorando manualmente. Nella vigna entrano poche cose, come rame e zolfo, poi gli amici di sempre, un gruppo di richiedenti asilo pronti a dare il loro operoso contributo, una coppia di apicoltori con le loro arnie e la moglie Paola che si occupa anche di accoglienza… il tuto su cinque ettari a conduzione biologica.
Il concept enologico su cui si fonda la linea enologica dei vini D’Orsaria, nome preso dal paese natale di Marco, aderente alla FIvi, è smart and easy, vini giovani e disinvolti insomma e che ben coniugano il prezzo alla qualità, senza privare piacere edonistico ed emotivo al sorso.
Le viti di Pinot Grigio si trovano su terreni marnoso-arenacei, la tipica ponca per intenderci, posti ad un’altitudine media di 300 metri, guardano al Mar Adriatico e trovano alle loro spalle la protezione dei rilievi prealpini, condizioni queste che assieme al clima fresco e piovoso sono caratterizzanti per questo terroir.
Il Pinot Grigio d’Orsaria 2019 sfoggia una piacevole acidità sin dall’aspetto visivo: un giallo paglierino tenue con nuance color buccia di cipolla ramata ed una piacevole consistenza, elementi che danzano dentro al calice e che si accendono di luminescenza. Al naso il tropicale di mango e ananas acerbo assieme ad una nota di chinola, poi l’appeal mediterraneo di mela verde, fiori d’acacia, scorza di limone candita ed una sferzata di iodio, infine una reminiscenza di mandorla tostata e polvere da sparo. L’acidità intercettata alla vista si rivela da subito al palato in tutta la sua tensione e con un sottofondo sapido, con in mezzo tutti i riconoscimenti fruttati percepiti prima e grafite arroventata al sole. Strozzapreti alle cicale di mare.