Si è chiusa la tournè sarda dello spettacolo Il viaggio di Nicola Calipari, portato in scena dagli attori e registi Fabrizio Coniglio e Alessia Giuliani per la prima volta a Cagliari. L’ultima rappresentazione, quella di domenica 14 dicembre ha visto la sua conclusione col dialogo aperto al pubblico fra Giuliana Sgrena, il magistrato Paolo De Angelis e il giornalista Claudio Cugusi con la moderazione di Luca De Angelis.
55 minuti di emozioni forti nel ripercorrere la prigionia di Giuliana Sgrena, la giornalista de Il Manifesto rapita il 4 febbraio 2005 a Fallujia in Iraq dalla Jihad islamica e il viaggio di liberazione nel quale moriva Nicola Calipari alto funzionario del Sismi ucciso dal fuoco amico americano in un posto di blocco non segnalato a 900 metri dall’aeroporto di Baghdad.
Una vicenda che ha visto il nostro Paese rinunciare a un processo, rinunciare a trovare il colpevole, rinunciare a rendere giustizia a un uomo definito subito eroe dal governo italiano.
Lo spettacolo inizia con un insulto da anonimo da internet, uno dei tanti, alla giornalista accusata di essersi esposta a un rischio inutile, di essere la causa della morte di Calipari.
Giuliana Sgrena si è sempre occupata di paesi esteri, in quel momento era lei ad occuparsi dell’Iraq, un’area spesso interessata da conflitti. Non aspettava i comunicati in albergo, non scriveva per sentito dire, voleva verificare, voleva sentire testimonianze, voleva fare il suo mestiere di giornalista.
In monologhi che passano dall’interpretazione di Calipari al ruolo di uno dei sequestratori, Fabrizio Coniglio porta in scena le figure contrastanti protagoniste dell’episodio. I pensieri e le inquietudini del funzionario, la rudezza di Hsien uno dei carcerieri.
Alessia Giuliani interpreta Giuliana, ripercorre il rapimento, i momenti della sua reclusione, le paure di poter essere uccisa, il video registrato, il suo interloquire col rapitore.
Gli attori, in un palcoscenico sobrio ed essenziale, proseguono il racconto attraverso diversi momenti della prigionia e le fasi che condurranno al rilascio di Giuliana.
Nella riflessione di Calipari per il compleanno del figlio, un pallone da calcio per festeggiarlo e nel pensiero alla madre che lo stesso 4 marzo compirà gli anni, il giorno in cui lui verrà ucciso, Fabrizio ha voluto raccontare anche la normalità di un uomo e della sua famiglia.
La prima parte dello spettacolo prosegue e si conclude con la liberazione della giornalista. Con le parole tratte da Fuoco amico Alessia impersona gli stati d’animo di Giuliana, l’incredulità per una libertà tanto sperata, la gioia interrotta dagli spari nel buio, il posto di blocco americano non segnalato, Calipari che muore salvandole la vita.
E’ un racconto, quello del viaggio di Calipari, fatto di testimonianze vere, di documenti ufficiali, di fonti verificate.
Lo spettacolo continua nella sua seconda parte con il processo mai fatto che mette a confronto le testimonianze di Giuliana, Carpani l’agente che guidava la macchina utilizzata per il suo salvataggio e Lozano il soldato americano che ha sparato. Il tempo che scorre senza giustizia è rimarcato da un metronomo, ancora un anonimo da internet, le luci si spengono, e poi il buio, come in quella sera del 4 marzo 2005, per non dimenticare il coraggio di un uomo che moriva al servizio dello Stato.
A teatro il pubblico osserva un silenzio rispettoso, un silenzio irreale come il silenzio calato sulla vicenda negli ultimi dieci anni, lo spettacolo finisce e applausi, come voci senza fine che chiedono un perchè, interrompono quell’atmosfera.
Giuliana Sgrena ci racconta che inizialmente l’idea di questo spettacolo l’aveva sconvolta, vedere se stessa impersonata da un’attrice l’aveva lasciata sgomenta, non capiva se a parlare era lei o i suoi ricordi.
La giornalista esprime il suo rammarico nel dibattito post spettacolo per quel processo mai celebrato. Non ha rancore verso Lozano, ma forse il processo avrebbe aiutato a capire un’altra parte della verità sulla vicenda. Il ricorso giunto in cassazione e respinto non dà più nessuna possibilità di sapere perché il fatto è accaduto. C’era l’America, l’Italia, i Servizi Segreti, probabilmente anche per questo non si saprà mai cosa è successo quella notte a Baghdad quasi dieci anni fa. Né giornali, né istituzioni ricordano più Nicola Calipari.
Giuliana ha un impegno: continuare la sua testimonianza anche con lo spettacolo che è rimasto l’unico modo per ricordare Nicola Calipari e per cercare di scoprire qualcosa in più sulla quella notte irachena.
Esiste la possibilità che possano accadere fatti analoghi?
“Il problema del difetto di giurisdizione è un problema che l’esercito americano si trascina in tutto il mondo e in tutti i casi” spiega il magistrato Paolo De Angelis. “Nei trattati internazionali i soldati americani, qualunque reato venga commesso, possono essere giudicati solo da una corte americana. Una sottrazione completa rispetto ai luoghi dove i fatti vengono commessi, un diritto imposto, ma anche accettato che impedisce di fatto di fare giustizia. L’aspetto più grave riguarda il fatto di aver inviato una missione con contingenti di vari paesi senza pensare a priori di concordare un’autorità indipendente che svolgesse accertamenti sul posto che avrebbero consentito almeno di chiarire. I fatti nel caso Calipari sono del tutto sconosciuti, non c’è stata nemmeno la possibilità di una ricostruzione attendibile.”
La mancanza di una autorità indipendente col potere di investigare sui fatti accaduti in Iraq è evidentemente una scelta politica.
Sulla liberazione di Giuliana Sgrena c’erano stati conflitti all’interno degli stessi servizi segreti fra chi voleva posizioni indipendenti dell’Italia favorevoli a trattare e chi invece voleva seguire la linea americana che non prevedeva nessuna trattativa per gli ostaggi. “Dopo la morte di Calipari tutta la sua squadra è stata sparpagliata per il mondo e i Servizi sono andati in mano a coloro che sostenevano la linea americana” ricorda Giuliana.
“Nello spettacolo si fa cenno a una foto di Calipari, agente segreto, pubblicata circa un anno prima del fatto e questo rafforza l’idea di una pesante frattura all’interno del Sismi” è l’osservazione del giornalista Claudio Cugusi che pone ancora inquietanti interrogativi.
Giuliana Sgrena è suo mal grado passata dal ruolo di colei che dà notizia a essere ella stessa notizia. “Un’esperienza drammatica nel dramma. Ho sperimentato la durezza dei giornalisti, prima solidali durante il rapimento e poi speculatori della vicenda, dicevano che me l’ero andata a cercare. Dalle mie frasi estrapolavano parole e ne cambiavano il senso. Ho toccato con mano quanto il giornalismo italiano sia poco professionale. Senza pietà hanno ripreso mio padre mentre vedeva il mio video sotto sequestro e lui reprimeva tutto quello che provava, nessun rispetto. Hanno tentato di dire che ero d’accordo con i sequestratori”.
Giuliana Sgrena razionalmente non ritiene di essere la causa della morte di Calipari però ha quello che è definito il complesso del sopravissuto, la persona che l’ha liberata è morta accanto a lei. Lo spettacolo nel ricordare quei momenti la tocca sempre molto, non nasconde l’emozione, non nasconde l’amicizia nata con gli attori. In quei ricordi le persone si dimostrano solidali, ma non la stampa e i politici.
“La situazione della stampa oggi è drammatica come per tutti i lavori. Fare informazione è fondamentale in una democrazia. Se un giornalista non è assunto lavora solo con contratti a termine, diventa ricattabile” riflette Giuliana.
Non è credente, non crede in un’entità trascendentale, non crede nel destino Giuliana Sgrena che però non può far a meno di ripensare quei 57 proiettili sparati nell’abitacolo, sparati sulle persone. Ne è uscita viva. Giovanni Paolo II aveva pregato per lei.
Prosegue Il viaggio di Nicola Calipari nei teatri italiani, prossima tappa a Frosinone, “per non dimenticare, per cercare ancora una volta le verità negate, perché la gente non sia passiva di fronte a ciò che succede nel nostro Paese, perché tutte le opinioni trovino voce” è il messaggio che Giuliana vuole lasciarci, è il suo augurio per gli anni a venire.