Ci sono due cose fondamentali a qualificare un territorio e sono esattamente chi lo abita e ciò che esso contiene. Se chi abita una terra ha consapevolezza di ciò che essa offre probabilmente non resterà indifferente alla sua bellezza, alla sua storia ed alle sue tradizioni, anzi: condividendo il valore territoriale innanzitutto con le persone che vi vivono si andranno ad alimentare sia il culto di quella terra che la memoria collettiva la quale, nella profondità delle radici in cui affonda il passato, diventa memoria storica. Il territorio è pertanto uno scrigno prezioso che non può impolverarsi ma deve poter vedere nella narrativa e nel rinnovamento di ciò che è stato e ciò che è tanto la sua preservazione che il suo futuro.
Il territorio dunque è risorsa per chi lo vive e chi vive in un dato luogo è risorsa per il territorio cui fa riferimento.
Pertanto così come una casa si anima quando viene vissuta e frequentata, il territorio risplende quando lo si onora, lo si cura e lo si racconta in ogni sua singola sfumatura, perché quelle sfumature che si creano attorno ad una consuetudine, un’arte o un mestiere, diventano il presupposto mediante il quale quelle consuetudini, quelle arti e quei mestieri si consolidino e vengano tramandati a nuove menti, nuovi cuori e nuove mani che se ne prenderanno cura a loro volta.
Prima di immaginare un’economia circolare occorre pensare ad una circolarità del culto e del rispetto della propria terra a ciò che ciascuno, che la vive e ne vada fiero, possa diventare egli stesso ambasciatore di quei valori, di quella storia, di quella cultura e di quei sapori che la contraddistinguono.
Il fulcro e la leva del pensiero e delle aspirazioni di Nicola Capogrosso sono incentrati esattamente su territorio e persone del territorio.
Nato a Trani il 22 maggio del 1979, Nicola ha fatto un percorso di studi piuttosto singolare e, dopo la maturità nelle telecomunicazioni, è riuscito a far convivere la passione per il nuoto e per la ristorazione, lavorando come tecnico agonistico e come operatore nell’hospitality industry, facendosi poi assorbire dal mondo dell’enogastronomia e partendo da esperienze semplici per poi specializzarsi poco a poco fino ad alzare l’asticella qualitativa… infatti ha iniziato a muovere i primi passi nei piccoli ristorantini della zona e poi la sua indole da competizione sportiva ha prevalso anche in questo campo, facendolo cimentare nell’arte del servizio di sala in maniera più intensa e con crescente desiderio.
Dal padre, piccolo produttore di vino, eredita la passione per il territorio, dalla madre, che negli anni ’70 era una giovane disegnatrice per Maria Mandelli meglio nota come Krizia, la ricerca del dettaglio ed infine un innato desiderio di affrontare la vita con curiosità, passione e determinazione che gli deriva da entrambi e lo ha portato a fare sempre meglio.
Una miscela ed un contagio di idee positive, voglia di fare che tra sport, avvenimenti personali ed una piacevole impronta culturale hanno condotto Nicola a sognare progetti che avessero una matrice etica legata al territorio e a perseverare per la loro realizzazione. Nel frattempo collaborazioni con diverse aziende della filiera del grano e del vino prendono il via già verso la fine degli anni ’90 e, dopo il percorso di approfondimento nel mondo della sommellerie e solide esperienze tra ristoranti e ricettività alberghiera un po’ dappertutto il rientro a casa: nel 2013 inizia un’avventura con suo fratello, già affermato chef, che portasse alla luce origini e sapori familiari in chiave contemporanea poi, nel 2019, imbarca in qualità di head sommelier per Costa Crociere sino alla pausa inflitta dal covid-19, premessa per forti spunti riflessivi… complice una chiacchierata col suo fraterno amico Pascal Barbato, specialista della panificazione di livello internazionale, decide di tuffarsi assieme a lui in un progetto etico fortemente legato al territorio, unendo ideali, reciproche conoscenze ed esperienze con tantissima fiducia e voglia di riuscire.
Evidentemente la passione per il mare e per il viaggio porta con sé una specie di strana irrequietezza che non ha mai smesso di alimentare lo spirito di Nicola, carico di quelle vibrazioni positive di chi è sempre pronto a partire, ma che è anche disposto a tornare con una valigia piena di idee nate da confronti costanti in ambienti multiculturali e che si vuol mettere a disposizione della comunità tranese con assertività ed immedesimazione verso il prossimo, caratteristiche che oggi hanno portato Nicola a diventare anche presidente dell’associazione Itaca, provando a restituire quel senso di sana bellezza e curiosità che aiuta le persone a vivere meglio nella loro terra per la loro terra. E non a caso la frase che Nicola si ripete sempre, facendone un suo modus operandi, è “io sono l’altro” a dimostrazione della sua capacità di immedesimazione.
A marzo scorso il progetto di panificio Paciello ha preso il via nella città di Foggia assieme a Pascal Barbato, coinvolge un buon numero di attori della filiera agroalimentare sostenibile e Nicola Capogrosso, oltre a veicolare un messaggio territoriale virtuoso, rispettoso ed innovativo, si assicura che il suo personale faccia un percorso professionale e personale di crescita costante senza lasciare nessuno indietro, come spesso accade nella società moderna.
Un aneddoto che ti riguarda personalmente e che ti ha segnato positivamente…
Durante il periodo di ricerca per una tesi ho fatto un viaggio in Africa, esattamente nel Mali per studiare, popolazione usi e costumi… quel viaggio mi ha cambiato la vita.
Una persona vicino a te, magari di famiglia o un maestro, piuttosto che un personaggio politico, dello sport, dello spettacolo o della cultura, che ti ha ispirato ad una qualche misura…
L’aver frequentato una facoltà umanistica ma parzialmente scientifica mi ha dato modo di entrare in contatto con diverse personalità: una di questa è stata la mia professoressa di pedagogia generale Angela Chionna, ma devo dire che anche il professor Galimberti ha contribuito al mio sviluppo etico-culturale come d’altronde la mia famiglia. In realtà non c’è una persona specifica che abbia contribuito in maniera particolare in termini di ispirazione ma tantissimi sono state quelle che hanno costituito dei modelli comportamentali e degli esempi. Mi sento però di dare una grande responsabilità per la mia crescita a due categorie di persone: i bambini e quelli che la società definisce “ultimi”, ossia quelle persone che sono finite per diventare detenuti con reati più gravi, passando per tutte le tossicodipendenze e passando persino per disabilità ed abbandono sociale.
Un animale che per comportamento racchiude un poco i tuoi tratti caratteriali e perché?
Adoro in maniera particolare i cavalli ed i cani: sono due personalità molto complesse e intelligenti, dotate di una sensibilità speciale.
Il tuo rapporto col cibo…
Strano ed emozionale, talvolta istintivo: vengo rapito da tutto quello che, attraverso pietanze e vini, rievocano in me un ricordo o un’emozione appunto. È sicuramente un rapporto amoroso e quindi mi piace anche cucinare.
Sport, programmi preferiti?
Ammetto di non aver mai imparato le regole del calcio ma fortunatamente ho sviluppato buone capacità in altri sport, principalmente il nuoto, portando a compimento una discreta carriera. Il mare resta comunque una mia grandissima passione. Recentemente più che film o programmi televisivi mi piacciono di più i documentari storici.
Il Vino, il Mare e la Moda. Quando hai percepito per la prima volta il loro richiamo?
Non riesco a datare il quando abbia percepito il desiderio di coltivare entrambe le cose di preciso, ma so esattamente che, poiché mio padre ha sempre prodotto vino, per me rimescolare le vinacce era un gioco bellissimo di cui ho tuttora un ricordo lucido nella mia testa, così come il profumo del mare vicino casa e dove, paradossalmente, mi sentivo a mio agio e al sicuro. La moda è stata una presa di coscienza lenta, giusto perché ho impiegato molto a dare un nome a quel desiderio trasversale di eleganza.
Queste distinte passioni, unitamente alla tua vocazione per il territorio, hanno mai preso parte tutte insieme in una qualche attività o in un momento della tua vita privata o professionale?
Probabilmente è stato un procedimento inverso: è stata l’unione di tutti questi ambiti di interesse, ma anche grazie la mia forte curiosità, a spingermi ad approfondire la conoscenza del territorio a me vicino e a sentirmene parte integrante.
Cosa ti ha spinto a diventare sommelier?
Sentivo il desiderio di essere fortemente performante e di colmare tecnicamente quello che l’esperienza ed i trascorsi familiari mi avevano insegnato. Volevo avviarmi in un percorso che riunisse cultura, territorio, sapori e piacere edonistico che potesse rendermi, nel mio piccolo, ambasciatore della mia terra e della grande ricchezza ampelografica del nostro Paese.
Cosa pensi dell’introgressione genetica, degli incroci che danno generano varietali non più appartenenti alla Vitis Vinifera… e della biodinamica?
Credo che nell’ultimo periodo l’aspetto mediatico nel mondo del vino abbia portato a delle estremizzazioni e a delle ostentazioni di naturalezza spesso poco veritiere e finalizzate al marketing.
In cosa differisce il mestiere del Vino sulla terraferma rispetto ad una nave da crociera?
Ritengo che parlare di vino sia un grande onore ma anche un grande onere, pertanto il posto è una variabile importante che di certo influisce, ma non dobbiamo dimenticarci che il protagonista è sempre il vino e con esso tutto il percorso e il lavoro svolto dalle persone fino a quando il vino arriva nel nostro calice. Sicuramente fare il sommelier su una nave da crociera è un lavoro altamente competitivo: occorre estrinsecare doti comunicative, conoscenza delle lingue straniere ed avere una visione complessiva di tutte le aree ed i vitigni internazionali al fine di poterle mettere a disposizione di una platea internazionale e piuttosto esigente.
Cosa ti ha spinto a gettare l’ancora e come hai conosciuto Pascal Barbato?
Pascal… un amico fraterno che conosco ormai da diversi anni e con cui condivido pensiero e visione. È stata una sintonia perfetta sin dal primo momento e questo grazie al fatto che lui è una persona dotata di una competenza stratosferica, seconda solo alla sua umanità e grandezza d’animo.
Impiegherete grani e tecniche di panificazione particolari?
Vogliamo offrire un pane nutriente e sano, fatto con i grani del territorio e coltivato dalle persone del territorio in modo da restituire agli abitanti del luogo la bellezza che questa terra ci dà tutti i giorni e che spesso passa inosservata.
È decisamente una scelta coraggiosa quella di aprire una nuova attività in tempi incerti a causa del covid-19. Quale sarà la strategia determinante?
La nostra strategia è semplicissima: creare un’azienda etica che rispetti il territorio, le materie prime che esso fornisce e le persone che lo vivono. Vogliamo un locale a misura d’uomo, sia per i nostri collaboratori che per i nostri ospiti, per rilanciare prima che un’economia circolare una circolarità di relazioni umane che si riconoscano in noi e nella cultura dei sapori che proponiamo loro, proprio a partire da cose semplici come il pane ed il vino appunto.
Pane, vino… una enopanetteria gastronomica dunque! Ce la descriveresti nel dettaglio?
Sentiamo fortemente desiderio di andare oltre quello che può essere un semplice panificio, creando un posto dove poter elevare il gusto e la cultura dei luoghi che da sempre ci appartengono, partendo dal pane, passando per i vini e per le birre del territorio, finendo con una dolce parentesi: la pasticceria della nostra tradizione e non solo. Tipicità e chilometro zero per davvero insomma. Nello sposare questo progetto abbiamo anche voluto mettere in discussione i nostri percorsi singoli, unendoli in una strada comune, proprio per restituire al territorio il valore storico ed etico che gli appartiene.
Territorio, cultura enogastronomica, valori ed ecosostenibilità: come si incastreranno nella vita lavorativa tua e di Pascal all’interno del locale. E col pubblico?
Ci limitiamo semplicemente a descrivere quello che facciamo e quello che fanno le persone che allevano, coltivano, trasformano e producono la materia prima che abbiamo selezionato, restituendola al palato delle persone ed alla memoria collettiva. Inoltre, per nostra scelta abbiamo voluto fortemente abbattere i costi di alluminio, carta e plastica, per essere efficacemente a favore dell’ambiente. Abbiamo iniziato una transizione lenta e lunga, che certo non ci semplifica la vita, ma che ci porterà quanto prima a ridurre almeno del 50% la quantità di rifiuti ed ottimizzando fortemente anche l’energia elettrica e le altre risorse.
Come sarà il menu e la carta del vino?
Il pane e il vino sono elementi sacri nella nostra cultura e per questo fortemente legati a tutta una ritualità che negli anni si è un po’ persa al fine di cedere il passo ad una modernità che poco ha lasciato in termini di sostanza; per questo vogliamo offrire una selezione di panini con grani locali e antichi, ma anche di vini e birra che siano espressione del territorio e, perché no, anche la possibilità di unire i due mondi così vicini con impasti al vino e birre di grani locali. È un concetto di circolarità e di sostenibilità che ci piace miscelare con cura per riproporre la tradizione nella sua autenticità con l’innovazione e la conoscenza dell’arte bianca e dei processi produttivi che si attuano con un grande principio generale: la salute passa attraverso ciò che beviamo e mangiamo.
L’ospite tipo nel tuo locale e cosa dovrebbe aspettarsi…
L’ospite nel mio locale deve aspettarsi accoglienza sincera, tradizione e cultura, ma anche identità e stagionalità per un prodotto sempre sano e fragrante.
Un progetto oltre questo che non hai ancora realizzato e che desideri mandare in porto…
Nei miei prossimi “voglio “c’è l’idea di creare una scuola che dia la possibilità ai ragazzi e ai meno giovani di crescere e formarsi nella propria terra ad un livello altamente qualificato e di respiro internazionale, a stretto contatto con quello che è il mondo dell’artigianalità e della tecnologia gastronomica, passando dal pane e finendo al management aziendale. Vorrei attuare alla un progetto che faccia bene e che sia portatore sano di benessere per l’individuo, un progetto che crei prima di tutto le persone e le stimoli a quella sensibilità sociale e dopodiché li renda professionisti consapevoli di settore, perché oggi più che mai sentiamo il dovere e la responsabilità di non abbandonare la nostra terra e di importare in essa il know-how che abbiamo raccolto in giro col sacrificio nel doverla lasciare.