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Celebriamo il ritorno della red singer per eccellenza e lasciamo che la musica si libri nell’aria. Interprete e autrice nativa di Southampton, dopo essersi fatta conoscere al grande pubblico per un duetto con Jimmy Somerville sulla celeberrima hit “Don’t leave me this way”, per esordire poi da solista nel 1989 con l’album che porta il suo nome, e dopo una dozzina di dischi infarciti di interessanti collaborazioni, abbiamo modo di riascoltare la voce calda e profonda di Sarah Jane Morris nel nuovo album “Let the music play”. Realizzato virtualmente in lockdown, registrando la voce al St Leonard’s on Sea nel Regno Unito, mentre il produttore Papik (al secolo Nerio Poggi, arrangiatore e compositore romano) metteva insieme una band di musicisti a Roma per registrare le musiche, con la partecipazione del fido Tony Remy alla chitarra, il progetto discografico vede la cantante spaziare agevolmente tra soul, jazz, blues e bossanova, reinterpretando classici degli anni ’80 e dei primi anni ’90 come “You’re the Best Thing” di Paul Weller o “Appetite” dei Prefab Sprout, nel suo stile morbido e suadente. Altre cover sono siglate Everything But The Girl, Barry White, Bill Withers, Anita Baker, Todd Rundgren, mentre gli inediti, co-scritti dall’autrice insieme a Papik sono “I Really Feel You So”, “Hold On To Love” e “Looking for a Rainbow”.

Sarah J. Morris

Con il nuovo album “Let the music play” si consolida la collaborazione con Papik. Com’è nata l’idea di produrre insieme un intero album?

“Ero seduta su un treno, la scorsa estate, viaggiando tra un concerto e un altro, e ho avuto l’idea di inviare una mail a Papik e Irma Records, esprimendo il desiderio di realizzare un album con loro. Avevo pubblicato molti album nel corso degli anni con la Irma Records e avevo mantenuto buoni rapporti, e pur non avendo mai incontrato di persona Nerio (Papik), ero stata ospite in tre delle sue canzoni negli anni passati. I brani che avevamo fatto insieme avevano funzionato davvero bene, e ho pensato che fosse giunta l’ora di realizzare un intero album. Fortunatamente entrambe le parti mi hanno risposto immediatamente e hanno detto “Sì, è proprio una buona idea!”.

C’è un filo comune che lega le cover e le canzoni originali del disco? Qual è il mood che l’ha ispirata?

“Volevamo fare un album che fosse edificante senza mettere troppo alla prova le persone. Eravamo ancora in pieno Covid, e avevamo in mente di fare qualcosa per risollevare gli animi. Avevamo idee diverse circa i brani di cui realizzare le rivisitazioni. Avevo sempre sostenuto i “Prefab Sprout” nei primi anni ’80, e avevo sempre amato la loro musica. Conoscevo Paul Weller perché avevo partecipato al “Red Wedge Tour” con gli “Style Council” e molte altre band, e Paul mi aveva scritto una canzone per il mio album “Blue Valentine” per Irma Records nel 1996. Inoltre ero una grande sostenitrice dell’idea di Tracy Thorne, la cantante degli Everything but the Girl e di Nerio di fare una cover di “Missing”, un’idea secondo me brillante. Amo tantissimo questo arrangiamento! Nerio poi mi ha presentato Tod Rundgren, di cui non conoscevo molto bene le canzoni, eppure l’arrangiamento con gli ottoni nella nostra versione di “Hello It’s Me” è una delle mie parti preferite dell’album. E poi entrambi abbiamo pensato che fosse una buona idea fare un brano dei Simply Red. E’ stata un’idea di Nerio quella di scegliere “Jericho”. E’ stato fantastico andare avanti e indietro nella nostra corrispondenza via mail scegliendo le canzoni da fare. Alla fine della giornata l’esigenza era quella di avere brani con buone melodie e di cui Nerio sentiva di poter realizzare una buona veste musicale. Anche per le canzoni che abbiamo scritto insieme abbiamo lavorato tramite e-mail, e mi è piaciuto molto questo processo compositivo. Questo album tratta di tanti volti dell’amore”.

Papik

Alcune cover ripercorrono alcune delle sue storiche collaborazioni con grandi band come The Style Council, Prefab Sprout, Everything but the Girl, Simply Red e altre. Quali sono le canzoni che evocano i tuoi ricordi più cari?

“Ho amato in particolare il periodo in cui facevo da artista di supporto nel tour dei Simply Red nel 1989, ed è stato quello il periodo in cui ho stabilito un indissolubile rapporto con l’Italia. Mi piaceva anche andare in tournée con gli Style Council nel 1986, quando ho partecipato al primo album dei Communards”.

Il mondo musicale evocato nel disco ricorda in gran parte gli anni ’80 rivisitati in chiave moderna. Cosa hanno significato secondo lei gli anni ’80 nella musica?

“In ogni periodo c’è stata buona e cattiva musica pop, ma penso che abbiamo scelto per questo album canzoni di artisti che consideriamo dei grandi del pop. Per l’Italia è incredibilmente importante avere una buona melodia in un brano, perché la melodia è una parte essenziale della buona musica italiana. E poi il mio primo grande successo è stato negli anni ’80, quindi mi considero parte di quel mondo musicale. Ancora questo agosto mi esibisco per due volte con Jimmy Somerville in un revival degli anni ’80. E non finisce qui…”.

The Communards

L’album è stato registrato virtualmente durante il lockdown. Trova queste nuove modalità tecnologiche una buona opzione o le sembrano un modo di lavorare freddo e impersonale?

“Pensavo che l’avrei trovato impersonale perché la nostra intenzione iniziale era quella di incontrarci a Roma per registrare. Invece ci siamo trovati chiusi in un altro lockdown, ma volevamo registrare a tutti i costi questo album. Nerio ha messo insieme una grande squadra di musicisti a Roma, mentre io facevo tutte le parti vocali e gli arrangiamenti qui nel Regno Unito, a St. Leonards. Hai sentito il risultato, direi che funziona molto bene, e non sono contraria ad approcciarmi al prossimo album nello stesso modo”.

A proposito, come ha vissuto il lockdown? Quanto ha contribuito la musica e quanto può contribuire a ravvivare gli animi in questi tempi difficili?

“La musica e le altre arti sono molto importanti per la mente e l’anima umana, e alla gente è mancata tantissimo la musica dal vivo. Lo abbiamo scoperto a luglio, quando abbiamo fatto dei concerti in Italia portando in tour questo progetto. La gente aveva bisogno di alzarsi in piedi e ballare. La musica è il sottofondo della vita di tutti, ed è incredibilmente importante. Vorrei che i giovani ne capissero l’importanza e contribuissero alla causa di far finanziare le arti così come si dovrebbe”.

Sarah J. Morris live al Blue Note

E lei è felice di tornare a esibirsi dal vivo?

“Sono felice di tornare a esibirmi di nuovo davanti a un pubblico reale, piuttosto che a quello virtuale. Ho fatto molti concerti in isolamento da casa mia, ma non è la stessa cosa. Abbiamo bisogno di essere tutti nello stesso spazio. Spero che si torni presto a una vera normalità. Ne abbiamo tutti bisogno anche per la nostra sanità mentale”.

Nella sua carriera si è sempre occupata di temi politici e sociali. Come vede l’umanità post-pandemica? Le sembra che abbiamo capito qualcosa di più in termini di solidarietà ed empatia? O c’è ancora tanto da imparare?

“Sono una narratrice della storia umana, e c’è moltissimo da scrivere, ma per ora sono sopravvissuta a me stessa. Ho realizzato due album virtuali durante il lockdown. Uno con Papik, e un altro con il Solis String Quartet di Napoli, col quale abbiamo registrato le canzoni dei Beatles in una versione quartetto d’archi e voce. Speriamo che questo album esca entro la fine dell’anno o all’inizio dell’anno prossimo. Sono stata impegnata anche nella stesura di un progetto potente denominato “Sisterhood”, che spero di registrare con la mia band a ottobre, e di presentarlo al mondo l’anno prossimo. Per rispondere alla sua domanda: c’è così tanto da imparare! Abbiamo governi di destra in tutto il mondo e siamo tornati indietro da molti punti di vista. Il cambiamento climatico dovrebbe essere in prima linea nei piani di tutti, e invece quest’anno stiamo assistendo inermi alle conseguenze dei danni che abbiamo fatto in tutto il mondo. Abbiamo visto tali esempi di razzismo, omofobia e sessismo nell’ultimo anno, e questo ci mostra che c’è davvero molto da imparare e da cambiare. La Brexit ha fatto un grande danno, e non solo al popolo del Regno Unito. Ci tengo a dire: nel mio nome nessun razzismo, nessuna omofobia, nessun sessimo, nessuna guerra, nessuna mentalità da piccola isola nel mio nome. Pace e amore all’umanità nel mio nome!”.

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