mediterraneo destino comune
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Lunedì 20 Settembre si è tenuta a Firenze, al Caffè Letterario delle Murate, una tavola rotonda dal titolo Mediterraneo, destino comune.

L’obiettivo del dibattito di Firenze era quello di raccogliere idee e proposte su due versanti: da un lato, sull’eredità del passato, la cultura degli scambi, la relazione con le diversità, e sulla ricostruzione delle relazioni umani e sociali dentro e oltre le frontiere nazionali a partire dell’eguaglianza. Dall’altro lato, sulle prospettive del futuro, in termini di costruzione di una casa comune, basata sul riconoscimento del Mediterraneo quale fonte di “identità collettiva”, e progettata attraverso spazi, istituzioni e politiche che rilancino il partenariato tra le due sponde.

Le prime questioni aperte a cui far riferimento sono state:

A) In cosa si caratterizza l’eredità del Mediterraneo quale “crocevia dell’umanità”, cosa rimane degli scambi del passato nella pratica odierna? 

B) Riesce ancora il Mediterraneo attraverso le sue diversità a produrre nuove forme dell’abitare, di socializzazione e creazione, e resistere ai disastri e alle tensioni sociali?

C) Come possiamo portare avanti un’agenda dei diritti che parta da una lettura postcoloniale e ponga l’eguaglianza (di genere, tra gruppi sociali, tra comunità, tra paesi) al centro delle relazioni nel Mediterraneo?

Alla tavola rotonda hanno partecipato illustri ospiti.  

Franco Cardini, storico e scrittore è intervenuto sulle lezioni della storia e su come far conoscere la storia del Mediterraneo.
Cardini sostiene che le civiltà superiori nascono in un ambiente di scambio dal punto di vista delle coltivazioni agricole e della dinamicità umana, si incontrano popoli stanziali e popoli nomadi. Per civiltà superiori si deve intendere quelle civiltà che hanno delle istituzioni politiche, religiose, giuridiche economiche indipendenti, senza alcuna connotazione razzista. Il Mediterraneo ha dato vita alle civiltà di Caino e Abele, di Romolo e Remo. Si tratta di un umanesimo di transumanza, di alternanze stagionali, uno scambio tra terra e acqua, che facilita la nascita di grandi civiltà.

C’è sempre stata una dialettica tra i popoli nomadi e quelli stanziali, e i conflitti infatti si generano per la necessità di passare per un sentiero, mentre le proprietà sono delimitate. Sembra uno scontro tra barbari e sedentari. Il conflitto di solito si chiude a vantaggio dei popoli sedentari, che sono stati nella storia anche i responsabili del genocidio. Esiste una civiltà con tradizioni ebraica cristiana e islamica e poi si aggiunge la civiltà e la cultura greco romana.

E’ importante ricordare che è grazie all’Islam che è arrivata a noi la filosofia greca, tradotta dall’arabo per il mondo occidentale. Aristotele è stato portato dall’Islam. C’è poi il grande tema della democrazia a cui dobbiamo prestare attenzione. Infatti spesso intendiamo i diritti come vogliamo noi, si dialoga per avere ragione. Ma dobbiamo pensare che la civiltà occidentale si è affermata non tanto per ragioni culturali e filosofiche come spesso pensiamo, ma per due grandi invenzioni che sono state più convincenti e vincenti nella storia, ovvero le vele grandi per navigare e attraversare gli oceani e la polvere da sparo, che è stata usata con i cannoni. Si è andata affermando così una società individualista, come quella di oggi.

Se leggiamo i comunicati di Boko Haram ci rendiamo conto di quanto ci accusano questi movimenti, ci chiedono perché il nostro paese è così ricco e al tempo stesso così povero. Perché lo sviluppo è stato messo in mano alle multinazionali che perpetuano lo sfruttamento coloniale. Fin tanto che ci saranno loro non ci sarà un vero sviluppo, ma è difficile che questo punto sia messo nell’agenda delle autorità internazionali perché gli interessi in campo sono molto potenti.

Ha fatto seguito l’intervento di Marco del Panta, Segretario Generale dell’Istituto Universitario Europeo sulle potenzialità del Mediterraneo quale crocevia di scambi, cooperazione e resilienza.

Il mediterraneo è sempre stato terra di scambio ma anche di atroci conflitti. E’ da dopo la seconda guerra mondiale che si inizia a parlare di collaborazione della sponda nord con la sponda sud.

La coscienza che il dialogo con la sponda sud sia una priorità si è finalmente affermata nella diplomazia recente. Il nostro premier è andato subito in Libia e a Tunisi, indicazione di priorità nell’agenda delle relazioni internazionali. I singoli paesi tuttavia hanno poca rilevanza perché le politiche di vicinato sono europee. La strategia è globale.

Con la dichiarazione di Barcellona ai tempi di Xavier Solana si parla di un’area di libero scambio, non più di aiuti alla cooperazione e all’assistenza. Nel 2008 arrivano i francesi e formano l’Unione del Mediterraneo. Le primavere arabe nel 2011 non generano l’auspicato processo di democratizzazione (fatta eccezione forse per la Tunisia) ma producono una grande ondata migratoria. L’Europa in realtà ha l’obiettivo di frenare questo flusso con aiuti economici in cambio. Poi c’è stata la conferenza di Khartoum. Dietro questo processo ci sono i finanziamenti per la formazione destinati alle persone che vogliono migrare e in qualche caso essi hanno funzionato perché si sono create occasioni di lavoro nei paesi della sponda sud. La cooperazione e le politiche di vicinato non sarebbero mai nate senza l’impulso dell’Italia, anche se questi sforzi non vengono molto apprezzati. Alla domanda cosa possiamo fare di più si può rispondere che dobbiamo investire ancora di più in capitale umano e formazione perché questa è la base per la genesi dell’auto sviluppo umano. Se non si colmerà questo divario tra paesi del nord che forniscono assistenza ai paesi del sud non ci sarà mai sviluppo ma dipendenza dagli aiuti economici. Lo scambio deve essere reciproco e non dettato da relazioni di superiorità. 

E’ stata poi la volta di Ilaria Guidantoni, scrittrice su un’agenda condivisa sui diritti e sulla centralità del ruolo delle donne nelle società mediterranee.

Nel Mediterraneo la piazza è un elemento centrale, è l’agorà, è il punto di ritrovo per la socializzazione. E’ fondamento della cultura. Lo scambio non è mai unidirezionale ma la dialettica è biunivoca, non si sa più quale è la causa e quale è l’effetto. La storia ci insegna che qui sono nate le religioni del libro e la democrazia. Amin Maalouf nel suo libro Le identità assassine ci mette in guardia su cosa vuol dire non avere la democrazia. Vi è una storica dialettica della presenza delle donne nel Mediterraneo, sul tema dell’uguaglianza. L’Europa nasce donna a Creta. Tunisi, Cartagine è fondata da Didone secondo il mito. Lisistrata con il famoso sciopero del sesso durante la guerra del Peloponneso riesce a far dialogare Atene e Sparta per una pace duratura. Le donne hanno sempre avuto un ruolo e sono capaci di fare squadra. Mentre le dittature distruggono la democrazia e l’ambiente, le donne si sono fatte portavoce di ecologismo e cultura.

E’ poi intervenuto Alessandro Martini, Assessore al Dialogo Interreligioso del Comune di Firenze sul superamento dei fondamentalismi di ogni matrice e sul recupero di un’etica condivisa. Oggi le vere frontiere sono le città hanno un ruolo determinante, perché è qui che si vive la complessità urbana e la multiculturalità. Sono luoghi di scambio hanno esperienze che le accomunano.

Firenze è sempre stato un punto di riferimento per i dialoghi del Mediterraneo anche se non si affaccia sul mare. Anche noi viviamo la dimensione interculturale grazie alla presenza degli stranieri e dei migranti. Oggi è necessario e doveroso creare occasioni di conoscenza e di scambio con loro. Questa è la base per l’accoglienza e per il dialogo interreligioso e il rispetto tra le comunità straniere. Per questo il Comune si è impegnato a riprendere i Dialoghi del Mediterraneo aperti dal Sindaco La Pira negli anni sessanta, con una conferenza dei Sindaci del Mediterraneo e in contemporanea una riunione dei vescovi cattolici del Mediterraneo. Questo è un compito della amministrazione locale, facilitare il dialogo e costruire la base per nuove collaborazioni basate sulle esperienze già in atto.

La tavola rotonda ha poi affrontato altre questioni aperte

-Come immaginare una nozione di cittadinanza che non sia legata esclusivamente allo stato-nazione? Ci sono pratiche esistenti che allargano la nozione di cittadinanza nel Mediterraneo? Quali piste dovrebbero essere percorse per rifondare i principi della cittadinanza in una regione che è sempre stata luogo di scambi?

-È possibile ridare nuova vita al partenariato euro-mediterraneo? Su quali nuove basi? Cosa possiamo fare per promuovere la realizzazione di un destino comune, di una casa comune nei prossimi dieci anni? Attraverso quali politiche e istituzioni? E quale dovrebbe essere il ruolo della società civile in questo contesto?

La parola è passata a Sara Funaro, Assessore al Welfare del Comune di Firenze sul ruolo delle città e delle politiche sociali verso l’integrazione mediterranea.

Firenze è una città al centro dei flussi migratori. E’ una città laboratorio. Una città ponte, che fa esperienze ponte, sul piano istituzionale e politico religioso. Il tema dell’accoglienza per esempio è di centrale importanza perché non abbiamo a che fare con persone che vengono qui solo per turismo o per lavorare, per una libera scelta, ma spesso si tratta di persone che hanno subito un trauma e questo elemento va tenuto presente. In questo ambito il Comune ha aperto nuovi servizi come una casa di accoglienza per minorenni non accompagnati vittime di tratta o per migranti con problemi di salute mentale. Prima di tutto viene l’accoglienza e il rispetto della cultura altrui. In questo è decisivo il ruolo del terzo settore che condivide questo spirito e il ruolo delle comunità dei migranti e degli stranieri già presenti in città. 

E’ poi intervenuto Lorenzo Declich, scrittore e socio Maydan sull’identità mediterranea e sulle sfide della cittadinanza.

Nei suoi studi cerca di capire che cosa è l’Islam. E’ membro di Maydan per sostenere l’idea di cittadinanza mediterranea. Con l’11 settembre tutto ad un tratto il Mediterraneo non si è più visto come qualcosa che si potesse unire. Si è cominciato a parlare di conflitto delle civiltà, sulla scorta del pensiero di Huntington. Concetto che ha fatto presa perché sembrava che la storia fosse finita con la fine della guerra fredda e allora avevamo bisogno di un nuovo nemico, il fondamentalismo Islamico e la guerra al terrorismo. Con le rivoluzioni arabe del 2011 si è assistito invece a un fenomeno di richiesta di uno spazio di libertà, di democrazia e di cittadinanza, come una comunità transnazionale. L’idea della cittadinanza allora diventa un concetto centrale come un fenomeno che nasce dal basso, da parte di una nuova generazione che non vuole più frontiere. 

E’ stata poi la volta di Lara Panzani, referente dell’area Maghreb per il Cospe sul ruolo della società civile nella costruzione di una casa comune. Lei ha parlato dell’identità fattuale, di percorsi concreti, di persone che si incontrano quotidianamente. Il modo migliore è partire dalla storia, dagli incontri che si fanno, come cooperante. In Tunisia per esempio sono nate ben 10.000 associazioni dopo il regime di Ben Ali. La società civile si sta organizzando. Il movimento è nato dai social, come la rivoluzione. C’è stata una richiesta di riconoscimento per passare dal virtuale al reale, come ad esempio il caso di una radio o di una casa di accoglienza per donne; nascono piccole attività economiche, attività che durante la pandemia si sono autorganizzate come reti spontanee per aiutare le persone con la distribuzione di cibo, per rispondere a necessità primarie. Queste reti hanno costruito una rete più grande per chiedere al governo un riconoscimento e un investimento sul terzo settore. Non assistenza ma un riconoscimento del ruolo con una legge sull’economia civile, che è arrivata durante la pandemia.

Infine ha concluso la tavola rotonda Vittorio Iervese, Presidente dell’Istituto Festival dei Popoli sulla cultura come fattore di trasformazione e mobilitazione civile per una casa comune. Il Mediterraneo è un luogo sempre molto conteso e difforme nelle sue interpretazioni perché ciascun paese produce la sua cultura. Se intendiamo la cultura come un prodotto di luoghi specifici che poi portano possibilità di partecipazione, dobbiamo chiederci chi è che produce e che rende rilevante questa cultura. Il tema infatti è il protagonismo. Dobbiamo stare attenti al fenomeno del ventriloquo, cioè a mettere in bocca le nostre parole agli altri, esempio ne è il fatto che il Mediterraneo è ancora dominato dall’Europa. Quindi dobbiamo chiederci quali sono i contesti e i propositi della partecipazione. Adesso sta diventando un luogo di conquista anche da parte di chi non appartiene a quell’area, basti pensare al caso della Libia e dell’intervento della Russia e della Turchia. Gli interessi geopolitici nell’area stanno aumentando. Siamo davanti a un processo di trasformazione molto profondo che cambierà le relazioni in modo sostanziale. 

Quale protagonismo che sia autentico possiamo promuovere? Il caso del Festival dei Popoli è un esempio di collaborazione transfrontaliera. Ci sono giovani registi di origine mediorientale che hanno studiato in occidente con percorsi di forte ibridazione che trovano finanziamenti nei paesi ricchi dell’Europa e producono dei bei film.

Un altro fenomeno importante oltre il protagonismo è la scomparsa dei corpi intermedi nella società. Come sostiene lo scrittore Olivier Roy nel suo libro La Santa Ignoranza la deterritorializzazione dei fenomeni crea uno iato tra la cultura di partenza e la cultura di arrivo. Sono saltati i mediatori culturali, tipo i sindacati e questo fa si che ci manchino i riferimenti per interpretare i bisogni e comprendere meglio la realtà sociale.

Terzo elemento, le associazioni della società civile devono interloquire con la politica, che è diventata sempre più assediata dalle urgenze e non più basata sulla programmazione politica. Questo fa si che si perdano i riferimenti. L’esempio del meeting dei sindaci è un’ottima cosa come intervento di politica territoriale perché le città sono grandi interpreti del presente e della realtà. Come ci dice il sociologo Ulrick Beck nel suo libro postumo Le strategie della globalizzazione, in futuro ci incontreremo nell’intersezione tra comunità di rischio e comunità di destino (es. povertà, lavoro, ambiente…). Come diceva Sayad con la doppia assenza che vive il migrante, nell’essere fuori dal proprio paese e non ancora integrato nel paese di arrivo, noi spesso abbiamo invece una “doppia presenza” perché siamo vittime della nostra definizione di dialogo interculturale e facciamo i ventriloqui, sostituendosi come occidentali ai nostri interlocutori, nonostante le migliori intenzioni. 

Non si può concludere un discorso che rimane per sua definizione aperto alla riflessione e allo scambio. Quello che si può dire è che costruire la comunità di destino è la nostra vocazione, visto che lo stato nazionale non ci basta più.

Se vogliamo sintetizzare i suggerimenti emersi possiamo dire che sono almeno cinque i messaggi emersi dall’incontro

Dobbiamo stare attenti a non fare i ventriloqui quando parliamo di integrazione e di dialogo interculturale, cioè mettere in bocca agli altri le nostre parole;

Le vere frontiere oggi sono le città perché è qui che si incontrano i popoli e i migranti con i cittadini autoctoni. Quindi tante risposte derivano da questo livello di amministrazione. Ottima la notizia del meeting dei Sindaci del Mediterraneo portata avanti dal Comune di Firenze; 

La civiltà occidentale non si è imposta sulle altre solo grazie alla sua cultura ma perché ha inventato le vele per le navigazioni oltre oceano e perché ha inventato la polvere da sparo. Mai dimenticare che accanto agli scambi ci sono state tante violenze nella storia; 

Se vogliamo dare davvero spazio ai paesi della sponda sud dobbiamo investire in formazione e capitale umano, sostenendo i corpi intermedi perché è poi questo che genera auto-sviluppo;

La prospettiva femminile nel Mediterraneo acquista una dimensione particolare perché non rivendica un ruolo in contrapposizione agli uomini come nel femminismo francese, per esempio, ma una messa in discussione degli spazi femminili nella società; uno sguardo al femminile è il presupposto per lo sviluppo dei diritti umani.

Per avere maggiori informazioni sulla campagna Our Mediterranean dell’Associazione Maydan e sul Manifesto per un Mediterraneo libero e unito è possibile far riferimento al sito web http://www.maydan-association.org/it/manifesto-italiano-2/ oppure contattare l’associazione attraverso i canali social.

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