Di Abir EL GHOUL: Dottoranda in Lingua, Letteratura e Civiltà italiana presso la Facoltà di Lettere, Arti e Scienze Umanistiche della Manouba, Tunisi.
Tra le figure leggendarie che popolano il vasto regno della poesia mitica, quella che più mi ha affascinato suscitando nella mia fantasia ammirazione e stupore, è l’eroe omerico Ulisse, che riempie di sé, delle sue straordinarie avventure, il grande poema di Omero a lui intitolato: l’Odissea. [1]
Di questo eroe si parla anche nell’altro poema del medesimo autore, l’Iliade, dove egli partecipa alla guerra fra Greci e Troiani, ed esplica le sue doti d’intelligenza a favore dei suoi compatrioti; ma lì la sua azione appare solo a tratti, intrecciandosi con le azioni di tanti altri personaggi che si muovono sullo sfondo drammatico delle vicende guerresche, mentre invece nell’ Odissea egli è il protagonista assoluto, e tutti gli episodi fanno capo a lui. [2]
Pertanto si può dire che in questo meraviglioso racconto si svolgono le peripezie di un uomo che mercé l’acume del suo ingegno e la decisione con cui agisce riesce a vincere ogni ostacolo e a superare ogni difficoltà, finché dopo tanto penoso errare per mari e per terre rimette piede sul suolo della sua diletta isola nativa.
Ma prima del felice sbarco dell’eroe sulla sponda della sospirata patria, avventure di straordinario interesse egli corse, in tutte dimostrando in vario modo, e mettendo a profitto, l’acume del suo ingegno. Fra queste avventure la più meravigliosa, quella che in me ha destato il più grande entusiasmo perché in essa c’è una quasi continua suspense e vi si dispiega luminosamente l’astuzia dell’eroe, è l’avventura che gli capitò sulla costa orientale della Sicilia dove dimoravano i Ciclòpi, esseri mostruosi di gigantesca statura e di forza prodigiosa, che avevano un sol occhio nel mezzo della fronte. Ulisse che riesce a sfuggire coi suoi compagni al mostro sanguinario, dopo averlo accecato dell’unico occhio a vendetta dei suoi compagni da quello divorati, è un trasparente simbolo della umana intelligenza che vince la forza bruta.
Molto interessanti sono anche le altre avventure corse dal nostro eroe: così il passaggio presso l’isola delle Sirene, per sfuggire al cui canto insidioso di irresistibile melodia, l’eroe turò con della cera le orecchie dei compagni e si fece da essi legare all’albero della nave; così ancora lo sbarco alla favolosa isola di Ogigia, dove la maga Calipso trattenne presso di sé il naufrago Ulisse per ben sette anni, senza però riuscire a farlo restare per sempre, perché sempre vivo era nel cuore di lui il pensiero e il desiderio nostalgico della sua patria.
Anche Dante s’è ispirato a questo eroe “dal molteplice ingegno”, egli pur relegandolo tra i fraudolenti nell’Inferno, ne fa una mirabile celebrazione: infatti prima ne ricorda sinteticamente alcuni meriti dovuti alla sua astuzia: la scoperta di Achille, nascosto nell’isola di Sciro sotto vesti muliebri, mercè l’offerta delle armi che quello avidamente afferrò, in tal modo palesandosi quel guerriero ch’egli era; il trafugamento da Troia del palladio, la statua di Atena che proteggeva la città, la quale così, privata della divina protezione, fu alla mercè dei nemici; l’agguato del cavallo, che, provocando l’abbattimento di Troia, aperse ad Enea la strada per la grande impresa della fondazione di Roma; poi lo esalta come il rappresentante della sete umana di conoscenza:
“Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. |
(vv. 112-120) Inferno, Canto XXVI. [3] |
Per la quale l’uomo, avido di scoprire nuovi orizzonti, si lancia, incurante di disagi e pericoli, in imprese temerarie verso l’ignoto, deciso al sacrificio della vita, così affermando la propria vera nobiltà.
Ciò che ha destato il mio vivo interesse, è il racconto che l’anima di Ulisse fa ai due poeti dell’avventuroso viaggio compiuto da lui e dai pochi suoi audaci compagni attraverso l’oceano al di là di quelle colonne d’Ercole che segnavano i confini del mondo allora conosciuto e si levavano ammonitrici contro chi volesse osare di valicarle.
È un racconto straordinario che mi ha fatto sentire l’ardente ansia di conoscenza per la quale Ulisse soffocò in sé il desiderio di ritornare in patria e riabbracciare i suoi, e per la quale fu irresistibilmente spinto ad avventurarsi su un piccolo legno su per l’oceano sconfinato.
Mi è parso leggendo i bellissimi versi, di partecipare al grande viaggio lungo il Mediterraneo, e poi all’audace slancio con cui fu compiuto il “folle volo”, il balzo di là dallo stretto di Gibilterra, di là, dice il poeta dalla “foce stretta” sui cui opposti lidi Ercole aveva piantato le colonne indicanti agli uomini il limite invalicabile.
Mi hanno colpito in modo particolare le parole della “orazion picciola” cioè del breve discorso con cui Ulisse incitò i vecchi amici a tentare l’impresa temeraria: “non siete nati per vivere inconscientemente come dei bruti, ma per fare esperienza del vasto mondo e conoscer vizi e virtù esercitando la ragione per la quale vi distinguete dalle bestie. Non consumate i pochi anni di vita che vi rimangono in vile ozio, ma impiegateli a conoscere il mondo disabitato ch’è l’aggiù dietro l’estremo occidente”.
Parole semplici ma sferzanti, perché hanno senso di aspro rimprovero per chi si abbandona all’ignavia, dimenticando la propria essenza di uomo, di un essere cioè dotato di ragione.
I compagni di Ulisse, feriti nell’intimo dal richiamo alla loro umana dignità, si sentirono talmente stimolati ad osare la pericolosa impresa, che a stento chi aveva loro parlato avrebbe potuto trattenerli dall’intraprenderla senza indugio.
Per ben cinque mesi navigarono in direzione sud-ovest finché si poserò loro dinanzi, nella immensità solitaria dell’oceano, una enorme montagna dalla quale sorse e si precipitò un impetuoso turbine che investì nel suo vortice e travolse il legno inabissandolo. La fine dell’audace viaggio oceanico mi ha lasciata pensosa: mi è parso di comprendere che se l’uomo desideroso di conoscenza si lancia in imprese rischiose, va necessariamente incontro a ignoti pericoli che sono il prezzo ch’egli deve pagare per il suo avanzamento sul cammino della civiltà. Così un episodio del gran poema di Dante, mentre mi ha fatto godere delle sue poetiche bellezze, mi ha fornito un significativo insegnamento circa la dignità dell’uomo e il suo dovere di osare e, se necessario, sacrificarsi in nome del progresso. [3]
Conclusione
L’Odissea è uno dei testi fondanti della civiltà greca, e dell’intera cultura occidentale.
Il viaggio di ritorno di Odisseo, eroe forte di mille astuzie, navigando verso Itaca, perdendo continuamente la strada a causa dell’Ira degli dei.
Odisseo si inoltra in un oltremondo fatto di oblio, pericoli e terribili prove. Quando infine torna a varcare la soglia del suo palazzo, è un uomo diverso, padrone del proprio destino, capace di resistere ai colpi della sorte.
Il viaggio di Odisseo diventa così simbolo di aspirazione all’oltre che non conosce tregua, dell’affrancamento dell’uomo dalle proprie paure. Il finale serio ci comunica tutta l’importanza di viaggiare effettivamente per conoscere, per sperimentare, per crescere dentro, ed è questo il messaggio più profondo dell’Odissea.
Il viaggio di Odisseo venne considerato nei secoli successivi da poeti come Dante come il simbolo dell’eterno bisogno dell’uomo di viaggiare, di spingersi oltre, di andare altrove, per desiderio di conoscenza, per volontà di scoprire altre terre e altri popoli, per fascino dell’ignoto.
Il mare mediterraneo è un protagonista di racconti, racconti che permettono di vedere il proprio presente, c’è un richiamo anche con il mitico marinaio delle ‘’Mille e una Notte’’ Sindbad, un audace navigatore, che ha il desiderio di viaggiare e fare avventure nel “Mare Nostrum”.
Tutti questi viaggiatori, insieme ai protagonisti della Commedia Umana di Boccaccio hanno sfidato l’ignoto trovando nel loro viaggio un senso per la loro esistenza.
Note
[1] Cfr. Ivana Bosio, Elena Schiapparelli, L’albero delle mele d’oro, Il Mito e l’Epica&w, (a cura di Doriana Goglio), Torino, Edizioni il Capitello, 2004:106-126.
[2] Idem: 78-99.
[3] Cit. Rosetta Zordan, Il quadrato magico la Letteratura, Milano, Fabbri Editori, 2004: 46.
Riferimenti bibliografici
L’Odissea di Omero.
L’Inferno.
Ciro Gravier Oliviero, le Novelle arabe del Decamerone, Tunisi, Finzi, 2010.
Carrai Stefano, Inglese Giorgio, La lettertura italiana del Medioevo, Roma, Carocci editore, 2009.
Boccaccio Giovanni, Decameron, (a cura di Ciro Gravier Oliviero e Renata Belli), Tunisi, Finzi, 2007.