cecilia, opera lirica
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Cecilia sorprende gli spettatori. L’opera di Licinio Refice (Patrica 1883-Rio de Janeiro 1954), rappresentata in prima nazionale al Teatro Lirico di Cagliari, sebbene lontana dai modelli sociali e culturali dei nostri tempi, per i contenuti mistici, ha affascinato i presenti, che ne hanno apprezzato l’originalità. Il teatro ricomincia piano piano a riempirsi, a ritrovare il consueto calore.

L’Azione sacra, suddivisa in tre episodi e quattro quadri, su libretto di Emidio Mucci (Roma 1886 – Roma 1977), è una rarità musicale, eseguita in tempi moderni, per la prima volta quest’anno in Italia.

La composizione lirica dedicata a Santa Cecilia, patrona della musica e dei musicisti, è l’opera più importante di Licinio Refice. Una riscoperta che presenta alcuni elementi di originalità, giacchè il compositore, che era un sacerdote, andò in controtendenza rispetto ai dettati del movimento ceciliano che, iniziato da Lorenzo Pelosi, cercava di ridare dignità alla musica liturgica, distaccandosi dal melodramma. Refice scelse, invece, di immergersi nel mondo dell’opera con il linguaggio tipico del verismo, ma adottando temi sacri.

La Trama: Cecilia era una ricca nobile romana, che si convertì segretamente al cristianesimo, siamo ai tempi delle persecuzioni cristiane, e fece voto di castità. Ma fu data in sposa a un giovane di nome Valeriano. Durante il matrimonio, mentre tutti festeggiavano con canti e musica, lei cantava le sue lodi a Gesù, il mistico sposo. Confessò il suo voto a Valeriano che si convertì al Cristianesimo, e la notte del matrimonio ricevette il battesimo dal vescovo Urbano. Vissero così finchè non furono scoperti, torturati, e condannati a morte dal prefetto Almachio. Cecilia fu prima condotta nel calidarium, per essere soffocata dai vapori ardenti, ma non morì. Fu allora trafitta con tre colpi d’ascia. Il martirio di Cecilia rappresenta uno dei momenti di più grande intensità emotiva.

La figura della santa ispirò molti artisti, tra i quali, Raffaello che dipinse “L’estasi di Santa Cecilia”, Rubens, “La Santa Cecilia”, e Maderno che la scolpì nella sua posa finale, la morte. La scultura è conservata nella basilica di Santa Cecilia di Trastevere.

Refice attingeva alla produzione pittorica per creare la scenografia, i cambi di luci, gli effetti speciali. Nella scena finale la santa muore col capo inclinato come nella scultura di Maderno.

Il nuovo allestimento del Teatro Lirico di Cagliari, firmato, per la regia, da Leo Muscato (Martina Franca, 1973), recente vincitore del Premio “Franco Abbiati”, per le scene, da Andrea Belli, per i costumi, da Margherita Baldoni, per le luci, da Alessandro Verazzi e per i video da Luca Attilii, ha rappresentato con fine maestria la vicenda di Cecilia, creando quell’atmosfera solenne ed estatica che la caratterizza, e la vivacità degli eventi miracolosi e dei dialoghi appassionati, i cui i protagonisti sono sempre circondati da un’aura celestiale.

Il sipario si apre con la scena dell’Annuncio, in cui appare, da dietro il velario, l’Angelo di Dio, circondato da nubi celesti e fiori, che comunica il risveglio della pura Cecilia e invita il pubblico ad ascoltare la santa. L’Angelo dice: “Porgete i cori con umile e serena devozione e di Cecilia udrete i santi ardori”, la sua passione amorosa per Dio, “Aprite gli occhi alla vergine bianca come giglio, che versò sangue con grande effusione”, sono parole che ne preannunciano la morte, il martirio ardente.

Nel Primo Episodio viene celebrato il matrimonio. La scena si svolge nell’atrio del palazzo dei Valerii. Liberti e schiavi parlano di Cecilia, la bella sposa di Valeriano. Uno liberto afferma “Corron voci ch’ella sia cristiana”, ma non viene creduto. La musica è vivace, coinvolgente. Tiburzio, fratello di Valeriano, interrompe le chiacchiere della servitù. Viene intonato un epitalamio e finalmente appare Cecilia che si avvicina a Valeriano e insieme intonano un duetto d’amore: Valeriano manifesta la sua passione per lei con metafore d’amore terreno, ma non Cecilia, il suo è un canto gregoriano, in cui esprime il suo amore celeste. Sono sposi, ma lei gli chiede di essere “casti amanti”. Fremente di desiderio, Valeriano protesta, cercando di ghermirla, ma lei cerca di proteggersi, rannicchiandosi ai piedi dell’altare. Ed è qui che invoca l’aiuto del Signore “O Signore, serba intatto il mio corpo ed il mio core!”. Viene salvata dalla comparsa dell’Angelo di Dio che fiammeggiante di luce s’interpone fra di loro.

Il Secondo Episodio è ambientato nelle catacombe, quasi a simboleggiare la contrapposizione tra tenebre -peccato e luce -conversione. Un neofita incontra gli altri cristiani, tra i quali una vecchia cieca ma, soprattutto, Cecilia e Valeriano. All’apparire del vescovo Urbano, i fedeli gli si fanno incontro baciandogli la mano. Durante le citazioni dei passi biblici la vecchia cieca viene miracolata: recupera la vista proprio mentre appare la figura di San Paolo e grida la sua gioiosa meraviglia. Questi avanza verso Valeriano che, dapprima impassibile, infine s’inginocchia, toccato dalla fede. Chiede dunque perdono per i suoi peccati e di essere battezzato. Al termine della cerimonia, officiata da Urbano, i due mistici coniugi ricevono da un Angelo una corona di gigli e rose ciascuno, è un momento di gioia, ma presto seguiranno i dolori del martirio. “Poscia verran l’ore dolorose…”

Durante il battesimo Cecilia canta con slancio, passione ed esaltazione, “Felice, sorrido di pianto”. La coppia è unita da un amore mistico. L’atto termina con il canto del coro: “Beati coloro (che sono) affranti dal dolore perché il loro martirio avrà un consolatore!”.

Nel Terzo Episodio, la scena si apre nel vestibolo delle terme, nel palazzo dei Valerii, convertito in un improvvisato Tribunale. Amachio, Prefetto di Roma, presiede il processo indetto contro Cecilia, che siede quieta innanzi a lui, pronta a morire come già toccato in sorte a Valeriano e Tiburzio. Il prefetto le chiede di rinnegare la sua fede o sarà condannata a morte. Amachio le domanda “Non temi la pena che t’incombe? Lei risponde “Quella pena sarà il mio trionfo!” e così viene condannata al supplizio nel calidario. Invano le ancelle ne invocano la grazia.

Circondata da guardie e soldati, accetta la morte. Una sinfonia di archi accompagna e introduce Cecilia nel dialogo con Amachio. Intorno c’è un coro di littori sadici che chiedono più atroci torture. Amachio è costretto a condannarla a morte, ma non secondo i suggerimenti che vengono dai littori. “Ordino che l’ipocausto sia alimentato da fuoco violento e sia condotta là, nel calidario…”. Ma insieme ad Amachio c’è qualcun altro che si rivlge a Cecilia, è la voce di Valeriano, un’altra apparizione, che le dice “la morte per il Cristo è grande dolcezza!”. Cecilia si dirige verso il luogo del martirio, chiedendo ai littori “…che il fuoco sia atroce!”. Il pathos è un crescendo incandescente. Un coro di ancelle la implora di non entrare nell’ipocausto. Ma con uno slancio quasi sensuale, chiede di sciogliere i suoi peccati dal cuore: “O fuoco, o casto fuoco, a poco a poco sciogli la nuvola del corpo mio…dissecca ogni peccato nel cor mio”. Ma ecco che, miracolo! Dall’alto inizia a cadere una fresca pioggia di petali di rose rugiadose. Cecilia non muore, e canta la sua meraviglia. Ma Almachio, esausto e al colmo dall’irritazione, la colpisce a morte.

Nell’ultima aria, Cecilia dialoga con il vescovo Urbano, accompagnata da un assolo di violoncello. Il canto agonizzante è frammentato, affannato, sta morendo. Le frasi sono brevi, nel sottofondo si sente il canto gregoriano. Prima di morire detta il suo testamento a Urbano, cui chiede di donare i suoi beni ai poveri e la sua casa alla comunità cristiana, affinchè diventi un luogo di culto. Muore tra visioni di luce, dove le stelle cantano e i cieli entrano in lei. Poi cessa di cantare, in un soffio dice le sue ultime parole “Cristo, m’affiso in te! “ , e volge il capo volto verso il basso. Ma il coro delle donne non si arresta, è l’eterno canto della santa. A chi si rattrista per la perdita di Cecilia il vescovo Urbano invita ad ascoltare la voce che viene dal cielo, è il suo canto. “Alleluia! Alleluia! Aleluia!”. Il pubblico esplode in una calorosa ovazione.

La “morte di Cecilia” è una pagina di grande intensità emotiva.

I personaggi sono stati intepretati da un cast di prim’ordine: Martina Serafin (Cecilia) soprano, Elena Schirru (L’angelo di Dio) soprano, Antonello Palombi (Valeriano) tenore, Roberto Frontali (Tinurzio/Amachio) baritono, Giuseppina Piunti (La vecchia cieca) mezzosoprano, Alessandro Spina (il vescovo Urbano) basso, Christian Collìa (un liberto) tenore, Patrizio La Placa (Uno schiavo), basso.

Sul fondo della scena finale sono state proiettate le immagini dei dipinti di: Massimo Stanzione, Santa Cecilia, olio su tela, Pietro da Cortona, Santa Cecilia (1620 -1625), olio su tela, Simon Vouet, Saint Cecilia (1626), olio su tela, Guido Reni, Santa Cecilia 1606, olio su tela.

In omaggio a Cagliari, Muscati ha anche inserito tre opere custodite nella Cattedrale cittadina (dedicata a Santa Cecilia e a Maria, regina dei Sardi), raffiguranti Santa Cecilia, e sono: Il matrimonio mistico di Santa Cecilia e San Valeriano (autore: Pietro Angeletti – seconda metà del Settecento), olio su tela, cappella di Santa Cecilia , prima cappella della navata destra; Santa Cecilia, medaglione ovale, scultura in pietra, parete interna sopra il portale principale; Santa Cecilia, statua in alabastro, Sacrestia dei Beneficiati.

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