C’è un libro grande quanto la capitale italiana della cultura, se non di più, dove insegnano massaie e pescatori, contadini e…. sì, stavo proprio cominciando a parafrasare “una scuola grande come il mondo” di Gianni Rodari. Perché? È un libro semplice e profondo, delicato e robusto allo stesso tempo, visto che è scritto da chi sente forte il richiamo delle radici, soprattutto è un libro che ci dà idea della giusta misura delle cose che avvengono e avvenivano a Procida.
Il libro in questione è “Amma Cucenà” che naturalmente significa “dobbiamo cucinare”, l’imperativo categorico che richiamava le donne alla missione di mescolare cibo per il corpo e per l’anima, espressione che si intride di ricordi, nostalgie e anche di ironia, molto in voga a Procida.
Prendetelo pure come una sorta di piccolo grande manuale di antroposofia gastronomica popolare.
Lei è Valeria di Meglio, napoletana di nascita, classe del ’78 e procidana verace. Si è laureata a Napoli in Lingue e Letterature straniere presso L’Orientale, per poi proseguire gli studi a Lisbona, con un master sulla letteratura portoghese contemporanea incentrato sull’autobiografia. Per la casa editrice Azimut ha tradotto e pubblicato il romanzo “Lunario” di Al Berto nel 2006, dal 2017 ha iniziato una collaborazione presso il dipartimento portoghese dell’Università di Lille in Francia, dove lavora come giornalista anche nel settore dell’attualità sportiva. Nel 2019 crea ed inaugura il suo personalissimo blog, www.ammacucena.it, condividendo la sua passione per la scrittura creativa e la gastronomia, attraverso ricette ed aneddoti che tramandano i sapori autentici procidani e il dialetto che si parla sull’Isola di Arturo, considerato da Valeria sua lingua madre.
Questo suo vivere tra Lille e Procida forse l’ha preservata da una certa assuefazione alla bellezza della sua amata terra, di cui molti conterranei sono purtroppo affetti, ma se non l’avesse mai lasciata, visto il suo animo gentile ed il suo radicamento ai valori familiari, agli affetti ed alle tradizioni, sarebbe stata la stessa cosa e lei avrebbe continuato ad essere quell’ambasciatrice appassionata e leale di cui l’isola ha tanto bisogno.
Amma Cucenà è un libro che si legge a morsi, che riscalda il cuore e che accende ricordi assopiti, che è bello ascoltare per cercare di immaginare la parlata locale e le sue intonazioni. Si parla di arcipelaghi di persone vicine e lontane, di oggi e di ieri, tutte però unite da istmi fatti di sentimenti, emozioni e consuetudini che si intrecciano con il profumo della cucina delle case di parenti ed amici, ma anche di terre che, come la Sardegna, hanno saputo trasmettere pietanze come quella degli spaghetti salva ricci che denotano, nell’animo dell’autrice che ha voluto far propria la ricetta, un forte istinto alla sostenibilità con un accento critico verso chi coi ricci ci ha creato una moda gastronomica a partire dagli anni ’80 e che mai è appartenuta agli abitanti del posto. Si parla di naviganti, di persone che si ritrovano per davvero in una cultura intimamente autoctona e che celebrano la Dieta Mediterranea, che è anche il culto dello stare assieme, con le tipicità locali, altro che le isole di altri mondi, gli inglesismi forzati ed i fuochi di artificio che svaniscono nel fumo delle cose ancora irrisolte: in Amma Cucenà si trova il passato e il presente di Procida senza finzioni né infingimenti, si incontra il calore autentico di un’isola a misura d’uomo, calorosa e per niente chiassosa. Un libro che vale una capitale italiana della cultura per intero e dai cui insegnamenti comprendiamo che si può tornare alla buona creanza, alla cucina gustosa e al recupero di un’autenticità che molti procidani stanno scordandosi.
Amma Cucenà è più di un libro: è la migliore angolazione da cui si possa leggere, amare, capire e gustare Procida.