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La rivoluzione francese segna

, nella storia dell’Europa, l’inizio di un’era nuova. Essa vide la borghesia trionfare sulle vecchie classi dominatrici della nobiltà e del clero e instaurare così un nuovo ordine sociale e politico che le garantì la possibilità di avere, nella gestione del potere, un peso uguale a quello che già esercitava sul piano economico e civile.

Di fatto, la borghesia non solo seppe raccogliere contro i criteri dell’organizzazione feudale e contro i privilegi del clero e dell’aristocrazia tutte le forze che ne sentivano l’oppressione, ma riuscì anche a coagulare tutte le forze laiche maturate nel corso del XVIII secolo e a dare alla sua lotta una profonda motivazione ideale che prendeva spunto e vigore dalla ricca speculazione dell’Illuminismo e che si fondava su alcuni principi fondamentali destinati a mutare la mentalità e il volto dell’intera Europa: il principio della separazione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario), il principio della sovranità popolare, il principio del diritto alle libertà individuali e, soprattutto, il principio dell’uguaglianza di tutti i cittadini.

La “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” del 1789 è il documento più importante della rivoluzione francese e, a oltre due secoli di distanza, rappresenta ancora oggi un fondamentale caposaldo per ogni società liberale e democratica. Il valore di questo documento risiede nell’universalità dei principi affermati, come la libertà e l’uguaglianza dei diritti, il ruolo dello Stato come difensore dei diritti naturali dell’uomo, la sovranità dello Stato. Questa Dichiarazione si ispira agli ideali dell’Illuminismo e fa tesoro della Dichiarazione d’Indipendenza americana, di appena 13 anni prima.

Della rivoluzione francese ricordiamo in realtà più la violenza e la brutalità con cui furono colpite a morte monarchia, clero e nobiltà – e che furono severamente condannate da Edmund Burke nel saggio Riflessioni sulla rivoluzione francese del 1790, pur lontano dal Terrore – che per quello che ha significato da un punto di vista di svolta epocale. Per approfondirlo, consiglio di consultare il libro curato da Luciano Guerci (per l’edizione Zanichelli) intitolato semplicemente La rivoluzione francese, il quale raccoglie una serie di saggi scritti sia nel periodo della rivoluzione che successivamente da illustri personalità (Burke, Madame de Staël, Michelet, Tocqueville, Taine, Salvemini, Lefebvre e altri): lo scopo del libro è mostrare appunto come al di sotto della rivoluzione stessa ci fossero problemi, discussioni, opinioni.

Queste testimonianze dal passato sono molto utili al lettore interessato alla storia e ai suoi problemi; da qui infatti si possono leggere/studiare i veri documenti dell’epoca. Da essi emergono punti di vista profondamente diversi e considerazioni, soprattutto per quanto riguarda la rilettura che è stata fatta della rivoluzione francese nel XX secolo, che ci fanno capire che sì, per un verso la rivoluzione vide sorgere molteplici forme di violenza in un mondo da tempo abituato alla pace; per un altro, vide sorgere politicamente una massa di energie fino ad allora impiegate quasi esclusivamente nella vita privata.

Per lungo tempo, le ribellioni contro l’autorità presero l’aspetto di rivolte armate, che consistevano sia in sommosse numerose e durevoli, sia in sollevazioni di minore portata che raccoglievano comunità estese su molte province. Il bersaglio maggiore di queste rivolte era quasi sempre il prelievo fiscale statale: su cosa poggia allora la similitudine della situazione attuale con la situazione che si creò alla vigilia della rivoluzione? Decisamente su questo. Le esigenze fiscali delle finanze dello Stato, considerevolmente cresciute sotto Richelieu, sono sentite come aggressioni insopportabili, distruttrici delle libertà pubbliche.

La bruciante contemporaneità della rivoluzione francese si basa proprio sul consolidamento della borghesia come classe dirigente e su diritti da tempo acquisiti che rischiano di regredire. In realtà, le riflessioni intorno alla recente e progressiva scomparsa di quella che viene comunemente chiamata “classe media” potrebbero essere molteplici e tutte necessiterebbero delle dovute premesse. Affrontare i diversi aspetti di questo fenomeno non è facile, si rischia di generalizzare e di farne un discorso qualunquista; meriterebbe invece di essere trattato quotidianamente dai giornali (essendo un fenomeno sempre più presente nelle nostre vite) e di essere spiegato con i giusti termini, definendone i caratteri, i limiti storici, le implicazioni economiche e sociali.

Ho scelto di aprire l’articolo ricordando l’importanza storica della rivoluzione francese proprio per sottolineare il fatto che l’inquietante situazione attuale che si delinea è identica appunto a quella precedente alla rivoluzione. La forbice ricchi/poveri si allarga oggi in maniera spaventosa; il problema non è più solo dei paesi sottosviluppati o di quelli che hanno sempre sofferto di una forte discrepanza tra mondo dei privilegiati e mondo “reale”, il problema è sempre più visibile nel mondo occidentale e pare essere ri-nato proprio dalla società dei consumi e dal capitalismo che avevano permesso una sostanziale stagnazione di un ceto medio con un tenore di vita dignitoso. Il ceto medio sprofonda lentamente verso la classe povera (cosa ne sarà invece di quelli che già erano poveri non lo sappiamo) mentre i ricchissimi sono sempre là, ai loro posti, e niente li smuove.

Al calo del Pil e alla continua crescita della disoccupazione si stanno aggiungendo infatti le sempre più gravose misure di risanamento messe in atto dai vari governi occidentali che hanno scaricato proprio sul ceto medio buona parte dei costi. In teoria, una soluzione per i problemi finanziari della Francia pre-rivoluzionaria c’era, ed era anche abbastanza semplice: far pagare le tasse a tutti. Ma quando i ministri delle finanze nominati da Luigi XVI fecero qualche tentativo in questo senso, vi fu l’immediata reazione dell’aristocrazia, del clero e degli uomini d’affari che speculavano sulla crisi.

Tre sono gli elementi da considerare per comprendere la crisi che investì la Francia sul finire del XVIII secolo: le divisioni sociali, l’insufficienza delle istituzioni del regime assolutistico e la grave situazione delle finanze statali. Nel ‘700 in Francia, come d’altronde nella maggior parte dei paesi europei, la società era divisa in tre classi, o meglio in tre “stati”: il clero, la nobiltà e il popolo, ovvero il Terzo Stato. Ma il Terzo Stato non era soltanto uno dei tre ordini, esso coincideva in pieno, e coincide ancor oggi, con quella totalità che è la nazione.

Concludo allora con le parole di Sieyès*, che concepiva questo schema delle funzioni sociali completamente antiquato e fuori dalla realtà: “Chi dunque oserebbe dire che il Terzo Stato non ha in sé tutto ciò che occorre per formare una nazione compiuta? Esso è un uomo forte e robusto con un braccio ancora in catene. Se si eliminasse l’ordine privilegiato, la nazione non sarebbe qualcosa di meno, ma qualcosa di più. Oggi cosa è il Terzo Stato? Tutto, ma un tutto oppresso e ostacolato. Che cosa sarebbe senza l’ordine privilegiato? Tutto, ma un tutto libero e fiorente. Nulla può procedere senza di lui, tutto andrebbe meglio senza gli altri”.

* Emmanuel-Joseph Sieyès (1748-1836) è uno dei più caratteristici fra i protagonisti della rivoluzione francese. Nel 1788, a quarant’anni, stava percorrendo rapidamente i gradini della gerarchia ecclesiastica, pur essendo la sua vocazione per la vita religiosa piuttosto tiepida. Negli ultimi mesi di quello stesso anno, la Francia si stava preparando alle elezioni dell’assemblea rappresentativa dei tre gruppi sociali del regno (clero, nobiltà e terzo stato), previste per la primavera dell’anno successivo. Nel gennaio del 1789 Sieyès pubblicò un breve opuscolo dal titolo Che cos’è il terzo stato?, documento fondamentale per capire i termini della battaglia politica nel periodo immediatamente precedente l’inizio della rivoluzione.

ARTICOLI APPROFONDITI E LIBRI DI RIFERIMENTO:

  • “Addio classe media: disuguaglianze come nell’800” di Marco Caffarello;
  • “Ecco perché scompare la classe media” di Stefania Medetti;
  • “Da classe media a quasi poveri: ecco l’Italia degli sprofondati” di Maurizio Ricci;
  • “La classe media. A proposito del dibattito sulla finanziaria” di Guido Corazziari su www.guidocorazziari.com;
  • Federico Roncoroni, Lingua, storia e società. Corso di cultura generale, Arnoldo Mondadori Editore, 1985;
  • Alberto De Bernardi e Scipione Guarracino, Il mondo contemporaneo, Bruno Mondadori, 1985;
  • Luciano Guerci (a cura di), La rivoluzione francese, Zanichelli, 1982;
  • Roger Chartier, Le origini culturali della rivoluzione francese, Laterza, 1991;
  • Lynn Hunt, La rivoluzione francese. Politica, cultura, classi sociali, Il Mulino, 1989.

    Il risveglio del Terzo Stato, stampa popolare della Francia rivoluzionaria che raffigura un rappresentante del Terzo Stato che si libera dalle catene e si arma contro il nobile e il prelato i quali, terrorizzati, assistono alla scena; sullo sfondo la Bastiglia, il simbolo del dispotismo preso d’assalto dai parigini il 14 luglio 1789.
    “Il risveglio del Terzo Stato”, stampa popolare della Francia rivoluzionaria
    che raffigura un rappresentante del Terzo Stato che si
    libera dalle catene e si arma contro il nobile e il
    prelato i quali, terrorizzati, assistono alla scena; sullo
    sfondo la Bastiglia, il simbolo del dispotismo preso
    d’assalto dai parigini il 14 luglio 1789.

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