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Il borgo di Carosino si trova nell’area settentrionale della penisola salentina, a sud delle Murge tarantine orientali, in una zona pianeggiante a 13 chilometri da Taranto. Il comune conta meno di 7000 abitanti ed è situato a 74 metri sul livello del mare.

Il territorio di Carosino è stato abitato dai Messapi sin dall’antichità, tanto da diventare nel tempo un centro strategico sul fiorente asse commerciale tra Taranto e la Grecia. A causa del saccheggio di Taranto inferto dai Saraceni nel 927, è plausibile ritenere che il sito sia stato colonizzato nuovamente dopo un lungo periodo di abbandono, assumendo il toponimo di Citrignano. Di Carosino si parlerà attraverso alcuni registri angioini risalenti al 1348, insomma le prime fonti a testimoniare che il feudo di Carosino fu venduto dai Capitignano ai Palmerio di Capua, decadendo durante la guerra greco-gotica. Nel XV secolo le armate albanesi, guidate da Giorgio Castriota Scanderbeg, rasero al suolo l’antico casale il cui feudatario Raimondo De Noha, alleato di Giovanni Antonio Orsini del Balzo e principe di Taranto, si rivoltò contro Luigi II, re di Napoli nel 1462. Per più di mezzo secoloIl casale restò disabitato, mantenendo lo status di feudo dai nobili della zona. Nel 1471 fu acquistato dalla famiglia Antoglietta con autorizzazione del viceré di Napoli, Charles de Lannoy, nel 1522; divenuto baronia nel 1517, passò ai Simonetta e successivamente ai Muscettola nel 1614: fu in questo periodo che scomparve il rito greco-bizantino e con esso la lingua arbëreshe dei coloni albanesi, per volontà dell’arcivescovo Lelio Brancaccio a promuovere il rito cattolico in lingua latina. Nel 1806, abolita la feudalità nel Regno di Napoli, Carosino fu proprietà della famiglia Berio e Marulli. Il Palazzo Ducale, costruito nel 1400 dalla famiglia Simonetta, è soltanto uno dei luoghi di interesse di questa graziosa cittadina e, nel 1984, è stato dichiarato monumento nazionale dal Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali.

La cantina di Oreste Tombolini si trova proprio in questo piccolo paese, immerso nelle campagne tarantine.

Oreste però non è una persona comune: dopo quarant’anni di Marina Militare si congeda nel 2006 con i gradi di contrammiraglio e decide, da allora, di prendersi cura delle vigne di Primitivo un tempo appartenute a suo nonno. La sua carriera ha avuto inizio presso l’Accademia Navale di Livorno, compiendo in qualità di allievo ufficiale la prima crociera su Nave Vespucci nel ’74; è stato fautore della trasformazione del Battaglione San Marco, che ha comandato dal 1985 al 1989, oltre che l’artefice e l’inventore delle specializzazioni “Anfibio” e “Fuciliere Cannoniere Mitragliere/Anfibio” sia per gli ufficiali, in ruolo normale e speciale, che per i sottufficiali; ha portato a compimento il corso per i comandanti di Brigata tenuto a Quantico negli Stati Uniti, presso la scuola dei Marines. Attivo nell’assunzione di svariati comandi navali, è stato anche Incursore della Marina Militare al Com.Sub.In e comandante di Grup.Anf dal 1997 al 1999.

Il vigneto di Primitivo, ereditato dal nonno materno e coltivate al alberello, ha un’età media di quarant’anni, e Oreste Tombolini le alleva secondo un suo protocollo specifico, frutto di anni di sperimentazione, basato su regole di agricoltura naturale, con l’esclusione totale di prodotti di origine chimica, con l’obiettivo di ottenere l’autosostentamento e il corroboramento del sistema immunitario delle viti, per mezzo di batteri neutrali, gli stessi impiegati per l’igienizzazione in cantina. Insomma, l’avvicinamento di questo lupo di mare alla viticultura è metodico, pragmatico e mai banale, frutto evidentemente di uno studio dei più importanti artefici della viticultura naturale moderna, tra cui Masanobu Fukuoka e Teruo Higa, quest’ultimo scopritore dei microorganismi effettivi, facendosi influenzare dalle teorie sull’equilibrio della natura e sull’approccio non interventista.

In cantina vige la stessa attenzione meticolosa che viene posta in vigna: fermentazioni spontanee, lieviti indigeni e, nella splendida bottaia, un impianto stereo da cui escono frequenze di musica classica e di canti gregoriani; Oreste Tombolini è convinto della valenza salutare dei vini e, proprio per questo, prova a concentrare ricchezza di polifenoli e antiossidanti. La musicoterapia ha prodotto risultati sorprendenti: di fronte ad una commissione, campioni di vini alla cieca, con e senza uso della musica, vengono confrontati: quelli affinati in ambiente di musica classica sembrano avere valori nettamente superiori di polifenoli.

Dopo la pigiatura, la fermentazione del Primitivo in Rosa di Oreste Tombolini è spontanea con l’interazione tra lieviti indigeni e microorganismi effettivi, incluso il controllo della temperatura in fermentini refrigerati, e la successiva sosta in botti di rovere francese.

Il Primitivo in Rosa Igt Puglia 2018, oggi Brandisio in Rosa, è una fedele traduzione della vendemmia che lo ha generato e la risultante delle interazioni fra clima, territorio e piante, oltre alla mano, decisa e delicata al tempo stesso, dell’uomo che lo ha prodotto. Questo Primitivo di Manduria, in cui alle analisi i solfiti non risultano pervenuti, possiede un colore rosa chiaretto tendente all’aranciato con presenza di sedimenti, in coerenza alla mancanza di filtraggio. Al naso una iniziale apertura con pot-pourri di rosa e viola, timo, poi susina e scorza di arancia, china e un pizzico di chiodi di garofano. Vibrante al sorso per acidità e sapidità, non manca di una lievissima astringenza, poco percepita vista la grande succosità di beva, con in retrogusto il melograno e le note citriche tra il pompelmo e l’arancia. Persistenza durevole, lunghissima per un rosato.

Questo vino riesce ad essere materico, romantico ed espressionista allo stesso tempo e sarà interessante riassaggiarlo fra tre anni. Oggi si abbina perfettamente ai cavatelli alle cozze tarantine e Madama Butterfly in sottofondo.

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