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Precedentemente ubicata nella primissima sede a Montefalcione, oggi l’Agricola Bellaria si trova nel comune di Roccabascerana, dove ha appunto origine la famiglia Maffei.

Il piccolo borgo di Roccabascerana, di circa 2400 abitanti, sorge tra la Valle Caudina e la Valle del Sabato, in un territorio cerniera che congiunge freddo irpino e diversificazione dei suoli, come un grosso promontorio che si getta sulle valli ondulate del beneventano. Posta a 430 metri d’altitudine e distante appena 20 chilometri dal capoluogo irpino, Roccabascerana vede un’estensione territoriale di circa 13 km², tra la dorsale dei monti della vicina Cervinara, il massiccio del Taburno ed i crinali di sant’Agata dei Goti.

Le origini di Roccabascerana sono piuttosto vetuste e si fanno risalire alla tarda Età del Bronzo, tra il 1500 e il 1200 a.C., per non parlare dei reperti attestanti insediamenti del periodo sannitico, fino all’età imperiale dell’Antica Roma. In epoca medievale era denominata inizialmente Quascierana e d’appresso Rocca de Guasserana, dovendo l’etimologia del suo nome al termine germanico gwass, traducibile con vassallo. L’antica cittadina appartenne, sotto gli svevi, al normanno Giovanni Moscabruno, capitano di re Manfredi e, dopo la sconfitta di quest’ultimo con l’avvento di Carlo I d’Angiò, a Benevento e quindi a Corradino a Tagliacozzo; venne concessa al soldato francese Ruggiero di Burson nel 1262 e, nel 1271, a suo figlio Riccardo di Burson. Durante il regno della regina Giovanna il feudo passò in mano ai Della Marra, a quali fu tolta dal re Ferrante I d’Aragona a seguito della ribellione di Antonio della Marra nel 1464. Nel 1467 Roccabascerana passò al casato degli Sperone, quindi ai Dentice nel 1482 e successivamente ai Brancaccio nel 1484. Nel 1486 la città venne affidata alla famiglia Spinelli che ne resse le sorti sino al 1560, anno in cui passò ai D’Aquino. Nel 1669 il feudo entrò in possesso ai Capecelatro che nel 1712 lo vendettero ai Della Leonessa, principi di Sepino e Duchi di S. Martino, che ne furono i padroni sino alla fine della feudalità nel 1806.

La rifondazione della nuova sede nei terreni rocchesi dei Maffei, traduce fedelmente la filosofia di Agricola Bellaria: tradizione ed innovazione; oggi l’azienda, amministrata lodevolmente dal lungimirante Antonio Pepe, fiero ambasciatore della terra irpina e persona fortemente radicata al suo territorio, è un esempio efficiente di modello produttivo glocal e moderno al tempo stesso, mantenendo costantemente la qualità in tutti i processi di filiera. L’estensione degli ettari vitati di proprietà dell’Agricola Bellaria e la loro diversificata ubicazione in Irpina dimostrano quanto essa abbia a cuore i concetti di zonazione e di vocazionalità del terreno a seconda dei vitigni. A completare il quadro uno staff affiatato, efficiente ed assertivo, che vede alla conduzione enologica Luca Zirpoli, che ha non di poco accresciuto la qualità organolettica complessiva, e la consulenza di Mario Ronco. Ad oggi il centenario tiglio al centro di Roccabascerana continua ad essere il vessillo di questa splendida realtà enologica.

Il Coda Rara è il componimento enologico più recente di questa cantina…

La storia dell’ampelografia, a sostegno del fatto che Coda di Volpe Nera e Pallagrello Nero corrispondano, fa fede all’antica Vitis alopecis di origine greca, descritta da Plinio il Vecchio nel De Naturalis Historia attorno al I secolo d.C. Che questa cultivar, connaturata ormai da secoli in Campania, la si chiami Pallagrella, Pallarella o Piedimonte Rosso, così conosciuta al tempo di Ferdinando IV di Borbone, quando giunse all’apice della fama rientrando nella Vigna del Ventaglio di san Leucio a Caserta, è praticamente la stessa cosa, tanto più che sono state dimostrate le affinità persino tra Pallagrello Bianco e Coda di Volpe Bianca. Infatti, la descrizione di questo vitigno è stata svolta grazie alle osservazioni rilevate su un clone della collezione ampelografica dell’Istituto Tecnico Agrario De sanctis” di Avellino. Successivamente i dati raccolti sono stati comparati a quelli rilevati sia in un vigneto di Coda di Volpe presso Maddaloni, che in un vigneto di Pallagrello nei pressi di Caiazzo. Che si tratti del vitigno a bacca rossa o bianca, le deduzioni scaturite da tali esami comparativi danno il seguente risultato: Coda di volpe è sinonimo di Pallagrello. Il vitigno, quando l’appellativo è quello di Coda di Volpe nera, è così conosciuto soprattutto in alcuni comuni delle province di Avellino e Campobasso.

Il Coda Rara viene prodotto in un vigneto a Paternopoli, precisamente in contrada Graffuri, posto a 550 metri sul livello del mare. Si tratta di viti a piede franco dell’età di circa 120 anni, una ricchezza incredibile se si pensa alla presunta o pretesa età media degli impianti attuali, allevate a tendone su terreni di natura calcareo-argillosa, ricchi di sabbie e materiale piroclastico. La prevalenza delle uve impiegate vede naturalmente la Coda di Volpe Nera e una piccolissima quota di uve a bacca rossa della stessa area, per un totale di 150 piante in 2000 m². Dopo la vendemmia manuale, verso la fine di ottobre, le uve vengono diraspate e pigiate sofficemente, quindi macerate con fermentazione a temperatura controllata. Il vino che ne deriva affina in barriques di rovere francese di secondo passaggio per 8 mesi.

Il Coda Rara Vino da Tavola 2021 di Agricola Bellaria è stato prodotto per la prima volta proprio in questa annata, per un numero complessivo di 1040, di cui quella in assaggio è la 382^.

Rosso rubino elegante e luminoso il colore, piacevole la consistenza nell’ordine della media struttura. Le note in apertura sono iodate e di pietra focaia, condite da sentori floreali di rosa canina, con ancora le digressioni sia di acqua che legno di rosa. A seguire il gelso rosso, la mora selvatica, il cassis e la ciliegia sotto spirito, poi un pizzico di cannella e pepe rosa. Ingresso tannico carezzevole, sapidità e succosa freschezza. Al retro-olfatto si riconfermano i riconoscimenti odorosi di pima, con in aggiunta l’agrume della scorza di arancia confit. Godibilissimo e persistente, sarà interessante scoprire quanto questo pinot noir d’Irpina saprà evolvere tra un lustro. Adesso abbinatelo ad un risotto alle fragole mantecato al formaggio di capra bagnolese semi-stagionato.

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