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Di Kais Ben Salah, professore di lingua italiana presso l’Università di Cartagine in Tunisia

La storia ha un posto preponderante tra le scienze umane ed è tra le prime discipline di cui l’uomo si è occupato, poiché gli uomini sono naturalmente portati alla narrazione dei fatti e delle cose che li circondano, sono queste loro testimonianze del presente che ci aiutano a capire in quale tipo di società essi vivevano. L’uomo prestorico rappresentava la sua quotidianità attraverso disegni e poi successivamente in maniera più elaborata attraverso gli scritti incisi su papiri di cui la civiltà egizia è ricchissima. Per quanto riguarda gli arabi, essi registravano gli eventi ai quali erano sottomessi nei “Libri dei loro giorni”, i loro storici furono i primi ad assumere la narrazione e la catena di trasmissione agli albori dell’Islam, trascrivendo gli Ahadith profetici, poi la storiografia continuò nelle successive ere islamiche, fino all’arrivo di Ibn Khaldūn nel XIV secolo. Egli prese in esame la storia, e cercò di darne una definizione accurata che la distinguesse dai suoi predecessori e contemporanei, e ne stabilì le origini, le leggi e la metodologia. Per questo motivo alcuni studiosi lo considerano come l’inventore della filosofia della storia, e l’innovatore della sua teoria prima dello scienziato italiano Vico, che scrisse “La Nuova Scienza”, pubblicato nel 1725.

«Y Lacoste, qui a longuement étudié « la pensée historienne » d’lbn Khaldūn, conclut de son côté. En se basant sur une argumentation différente … que si Thucyclide « est l’inventeur de l’histoire ». Ibn Khaldūn marque l’apparition de l’histoire en tant que science.»[1]

In cosa consiste l’innovazione della teoria di Ibn Khalun riguardante la storia e in cosa differisce dai suoi predecessori?

  1. La produzione storica prima di Ibn Khaldūn
  2. L’epoca preislamica

L’Islam ereditò parte del suo interesse per il passato da diverse forme culturali dal periodo della ğāhiliyya [2], in particolare la composizione poetica e la memorizzazione delle genealogie.[3]

La disciplina di carattere storico più importante della ğāhiliyya, fu quella del nāsāb, cioè la scienza genealogica. Nell’Arabia preislamica, la tribù fu un’istituzione con una base sociale e politica propria, il nāsāb creerà l‘unità di misura indicante lo status e il valore delle varie famiglie e degli individui gli uni rispetto agli altri in base alla loro storia. Questo ramo della storia continuò anche durante il periodo islamico, anche se l’Islam aveva cercato di sostituire il concetto di fratellanza di fede a quello di sangue. In queste tribù il valore di un uomo è legato alla sua appartenenza ad una certa famiglia, inserita a sua volta in un clan più vasto; come era il caso del profeta musulmano che apparteneva ai Banu Curaysh, la tribù più potente e la più importante della penisola, il che gli fece acquisire prestigio e onestà.

Il periodo della ğāhiliyya era famoso anche per la sua produzione poetica e per le competizioni di recitazione che si organizzavano regolarmente [4]; un genere di particolare interesse fu quello che si occupava di raccogliere e conservare la gloria delle battaglie passate. Tali storie, che sono redatte in forma poetica, di rado in prosa, vengono riunite sotto il nome di ayyām al-ʿarab «I giorni gloriosi degli arabi»[5], che sono una sorta di racconti epici, in cui ogni racconto aveva come titolo yawm…. (il giorno di…) poi la descrizione che veniva associata al giorno (esempio: yawmu Jadud) dipende dell’accaduto quel giorno, oppure semplicemente la descrizione del giorno poteva essere il luogo di una battaglia.

Bisogna precisare tra l’altro che sebbene di tema storico, queste storie avevano come fine di colpire ed emozionare il pubblico piuttosto che trasmettere fatti storici in modo critico, e solo in avanzata epoca islamica (circa 300 anni dopo l’avvento dell’Islam) le narrazioni cominciarono ad essere usate come un vero e proprio materiale storiografico.[6]

Così questi racconti di eventi passati furono una fonte importante per ricordare le vicende delle epoche precedenti e mantenere le identità e le tradizioni rispetto ad altri popoli diversi dagli arabi, anche se varie volte questi racconti si allontanavano dalla realtà per entrare nel campo dell’esagerazione.

A causa del carattere leggendario di questi racconti, agli arabi della ğāhiliya mancava quindi la conoscenza storica del passato, ed anche gli arabi dell’epoca islamica avevano una totale ignoranza della storia di vari luoghi medio-orientali, la narrazione non è scientifica ma s’ispira piuttosto ai miti ed all’immaginazione dei narratori.

  • La nozione del kḫabar

La prima storiografia musulmana era basata sul concetto di kḫabar, cioè la notizia che è la descrizione orale di un incidente. Il suo mezzo è la parola (parola udibile), kḫabar quindi è l’evento e la sua narrazione, cioè la storia degli eventi basata sulle narrazioni tramandate oralmente attraverso le generazioni. Al plurale si dice akḫbār, che raccolgono ogni genere di notizie di natura «storica». Gli Akḫbār erano praticamente tutti i fatti trasmessi oralmente attraverso una catena di mittenti e che solo in un tardo momento iniziano ad essere conservati per iscritto.

Il kḫabar viene spesso presentato sotto forma di un dialogo tra i partecipanti di spicco dell’evento narrato, e questo – secondo l’opinione di Rosenthal [7] – ciò che salva lo storico dall’adempimento del suo vero dovere, che è l’analisi e l’interpretazione di ciò che racconta, che il narratore lascia al lettore. Considerando che, dal tempo del suo antico predecessore, ayyām al-ʿarab, l’immagine del kḫabar ha conservato le caratteristiche del racconto colorato per renderlo più interessante rispetto ai fatti sobri. In ogni caso, questa caratteristica letteraria dell’immagine della notizia è stata – in termini generali – lo strumento principale per sollevare la scienza della tarda storia islamica dalla categoria degli «annali asciutti», poiché ha suscitato interesse nella storia tra la popolazione islamica.

La Sīra appartiene alla raccolta di akḫabar, in cui gli autori non fecero altro che raccogliere tutte le informazioni esistenti nel contesto islamico per redigere poi, una relazione completa, sulla vita del profeta (detti e fatti) e dei suoi seguaci (famiglia e amici).

Questi detti e fatti sono gli Aḥadīṯ; ogni ḥadīṯ è composto dal matn e dal Sānād– il primo riguarda il contenuto della vicenda o il detto tramandato del profeta – il secondo riguarda la catena dei trasmettitori che deve risalire fino al primo testimone e memorizzatore del ḥadīṯ, che è di solito un Compagno del profeta o un suo famigliare. È quindi chiaro che la prima storiografia islamica era solo un insieme di tradizioni raccolte, piuttosto che una trascrizione dei fatti.

In una seconda fase si doveva valutare il grado di attendibilità dei narratori utilizzando ʿilm al-riğāl, che significa letteralmente “la conoscenza degli uomini” ma, più comunemente intesa come la scienza della diffamazione e della rettificazione, ci riferiamo a una disciplina di studi religiosi islamici in cui vengono valutati i narratori degli aḥadīṯ. Questa scienza verifica l’attendibilità del trasmettitore della notizia in base a qualità morali ben precise (bugiardo oppure uomo di fiducia), la sua predisposizione a riportare correttamente le informazioni ascoltate, la sua memoria, la sua effettiva possibilità di aver ascoltato personalmente il ḥadīth e, semmai, l’aver ricevuto dal suo maestro l’autorizzazione (ijāza) a divulgare quanto ascoltato. Il suo scopo è quello di distinguere gli aḥadīṯ autentici e affidabili dagli aḥadīṯ inaffidabili per stabilire la credibilità dei narratori.[8]

  • Maometto e le prime opere di argomento storico

Secondo la tradizione islamica, Maometto è l’ultimo dei profeti, e proprio per questo che il suo messaggio è considerato definitivo e permanente. Questo suo arrivo rappresenta l’obiettivo di tutto il processo storico che è stato realizzato attraverso la creazione del mondo e allo stesso tempo l’elemento che mette fine al passato: con lui inizia una nuova epoca con l’obiettivo di essere completamente diversa dai tempi precedenti. Forse l’esempio più noto di questa distinzione dal passato è la numerazione degli anni islamici, in cui si afferma che l’anno zero coincide con l’anno dell’esodo del profeta (al-hejra) per fondare una nuova società nella Medina, considerata la fase iniziale della civiltà islamica.[9]

La figura di Maometto era anche essenziale per una ragione più pratica, poiché le principali opere storiche del primo periodo islamico si sono concentrate sulla sua vita: sono un insieme di Aḥadīṯ che trasmettono i detti e i fatti del fondatore dell’Islam. Forse il più importante tra tutti è assīra di Ibn Hišām [10] (secondo secolo hejri) che è una versione riveduta del racconto di Ibn Isḥāq.[11] È lo stadio della scrittura storica su base cronologica e il raggruppamento di argomenti successivi rispettivamente in un libro basato sull’unità della storia islamica e sull’unità della storia umana.

Vale la pena citare qui, altri libri su argomenti storici che sono stati testimoni della luce nei primi secoli dell’Islam, legati sia alla personalità del profeta sia ai suoi compagni, questi libri fornirono il modello e il materiale di base della successiva storiografia musulmana. Il primo libro che merita di essere citato è aṭabaqāt al-kubrā di Ibn Sa’d [12], che contiene la vita di Maometto, dei suoi Compagni e le successive generazioni di Seguaci, che ricevettero le loro tradizioni direttamente dai Ṣaḥāba; poi troviamo il libro di Ahmad Ibn Yahya al-Baladhuri intitolato Futuhu al-Boldan [13], che è considerato uno dei primi libri di storia degli arabi, dove si parla delle conquiste dei musulmani dal tempo del profeta Maometto fino al tempo della sua stesura, e contiene i dettagli delle invasioni musulmane, oltre a descrivere l’organizzazione amministrativa adoperata nei paesi invasi dagli arabi.

  • Ibn Khaldūn e la nuova concezione della storia

Ibn Khaldūn fu consapevole del suo approccio innovativo riguardo al racconto dei fatti storici. Lo dichiara esplicitamente nella sua Muqaddima, e dichiara inoltre che la sua è una scienza indipendente sviluppata in modo originale. La novità della scienza khaldūniana è dunque da considerarsi riferita sia all’oggetto, sia al metodo.

Egli afferma:

«Ho seguito un piano originale dopo aver immaginato un nuovo metodo per scrivere la storia e scelto un percorso che sorprenderà il lettore, un metodo e un sistema del tutto miei.» [14]

Queste linee tratte dalla Muqaddima sono il riflesso dell’orgoglio dell’autore di fronte alla sua teoria, ed è piuttosto ammirabile vedere quanto Ibn Khaldūn fosse consapevole dell’originalità e dell’importanza del suo lavoro.

La storiografia nel tempo di Ibn Khaldūn non era una scienza basata sui principi della logica, ma su quelli della tradizione. Egli, mette in discussione la scienza del ḥadīth (basata sui aḳhbar) e di conseguenza quella della giurisprudenza e della teologia, perché ritiene che il fatto di credere ai fatti storici basandoci soltanto sull’affidabilità dell’autore non sia sufficiente per trasmettere il Ḳhabar (che è insieme l’evento e il suo racconto), quindi, il problema per il nostro autore è il fatto della corrispondenza tra il fatto e la notizia, un problema che gli altri studiosi non presero in considerazione. Tutti gli storici musulmani usavano (e lo usano ancora oggi)ʿilm al-rijāl.

La storia nella cultura islamica prima di Ibn Khaldūn faceva parte della tradizione e lo storico era un trasmettitore, così due delle massime opere del ḥadīth ancora oggi Sāḥīḥ Moslem e Sāḥīḥ al-Būḳharī sono basati unicamente sui trasmettitori e la loro attendibilità.

A differenza degli storici precedenti, Ibn Khaldūn trasferisce il problema dell’attendibilità del trasmettitore a quello della veridicità e della verosimiglianza dell’evento stesso. Partendo, quindi, dalla critica della storiografia, l’autore arabo definisce il metodo e lo scopo del conoscere storico:

«In apparenza la storia non è altro che un’informazione sugli eventi politici, le dinastie e i fatti del lontano passato, presentata con eleganza e arricchita di proverbi. Essa serve a intrattenere grandi e affollate assemblee e ci porta alla comprensione degli affari umani. La storia ci mostra il mutare degli eventi, come certe dinastie sono giunte ad occupare un sempre più vasto spazio nel mondo e come vi si sono insediate, fino a quando la loro ora è suonata e il loro tempo terminato. Dall’altra parte, il senso intimo della storia consiste nella speculazione, nel tentativo di raggiungere la verità, nella sottile interpretazione delle cause e delle origini delle cose e nella profonda conoscenza delle modalità e delle cause degli eventi. La storia ha perciò profonde radici nella filosofia (ḥikma), e merita di essere annoverata tra le scienze [facenti parte] di essa.» [15]

In questo passaggio della Muqaddima l’autore distingue due aspetti della storiografia: uno apparente che è soltanto il racconto dell’evento e un altro più profondo che richiede l’uso della riflessione razionale per assicurarsi della probabilità che un tale evento possa essere accaduto. Si tratta di un’analisi logica che lo storico deve fare per scoprire anche le cause nascoste che avrebbero prodotto tali fatti, ciò fa della storiografia khaduniana una disciplina scientifica come le altre scienze intellettuali.

Ibn Khaldun distingue, così, il metodo dell’indagine critica (nathar) dalla semplice copia (naql). Ciò lo porta a dividere gli studiosi della storia in due correnti ben distinte: la corrente di quelli che usano un atteggiamento critico che penetra nelle origini, nella natura e nelle cause degli eventi e li studia sullo sfondo delle loro proprietà generali (sia costanti che mutevoli); e la corrente di quelli che usano un atteggiamento non critico balid [16] che raccolgono le informazioni senza vedere le origini, la natura o le cause.[17]

L’Ibar s’interessa quindi, agli aspetti esterni ed interni della storia; si è sviluppato dalla necessità di un atteggiamento critico verso l’informazione storica, e l’uso dell’indagine profonda. A differenza di tutte le precedenti storie, l’Ibar cerca la vera natura e le cause degli eventi storici in modo esplicito e sistematico.[18]

La distinzione tra copia semplice e indagine critica viene ripetuta più volte nella Muqaddima. La prima è specificatamente descritta come la causa principale di numerosi errori (maghâlit) tratte dalla narrativa fantastica riportata da tanti storici, mentre la seconda è decisamente correlata ai princìpi (usûl) d’azione, le regole della politica, la natura (ṭabī’a) della cultura e il confronto delle condizioni analoghe e variabili. L’indagine critica diventa così una cosa sola con la saggezza (al-ḥikmā), la filosofia o la scienza, cioè, con l’esplorazione della natura delle cose.[19]

Naturalmente possiamo trovare in alcune parti dell’opera di Ibn Khaldūn, e in particolare nella Storia dei Berberi, alcuni tratti che lo avvicinano agli altri storici musulmani: ad esempio, la classificazione dei fatti per capitoli relativi alle diverse dinastie e l’importanza attribuita agli eventi militari. Tuttavia, non va dimenticato che, a differenza della Muqaddima, che è la parte più originale dell’opera, il resto di Kitab al-‘ibar doveva comunque essere presentato nelle forme classiche dell’opera storica, così come era stata concepita in quel momento. È la Muqaddima che riunisce le idee e le concezioni originali di Ibn Khaldūn dando un significato ai diversi capitoli della storia berbera.[20]

L’Introduzione si sforza quindi di esplorare i principi e il metodo della storia necessari per non essere indotti in errore nelle narrazioni storiche, poiché applicare questi principi, può aiutare lo storico a rilevare e correggere questi errori.

Ibn Khaldūn invita così gli storici a cercare il senso dei fatti attraverso la ricostruzione del contesto in cui sono accaduti e rivolge durissime parole ai trasmettitori, in quanto tanti fatti da loro narrati non sono credibili, perché sono copiati da fonti di seconda mano in maniera acritica e banale, che solo i ciarlatani (mutatafīlūn) possono fare.

«[…]sono persone che non hanno il diritto di occuparsi di storia» [21]

Secondo Ibn Khaldūn questi storici non si sono limitati a copiare ciecamente gli eventi, ma hanno persino aggiunto false cronache e ne hanno abbellito altre, e peggio di loro sono i loro successori che hanno seguito le loro tracce copiando i loro esempi.

« Ci hanno trasmesso questi racconti come li avevano sentiti, senza preoccuparsi di indagare sulle cause degli eventi o prendere in considerazione le circostanze ad essi connesse. Non hanno mai rifiutato o respinto una narrazione favolosa, perché il talento per la verifica è molto raro; la visione critica è in generale molto limitata; l’errore e l’incomprensione accompagnano l’investigazione dei fatti e sono legati da una stretta connessione e affinità, poiché lo spirito di imitazione è innato negli uomini e rimane attaccato alla loro natura. » [22]

La struttura e la progettazione della Muqaddima contrastano nettamente con le opere degli altri storici musulmani e di quelli dell’antichità greco-latina. Per loro, la storia è dapprima letteraria, una narrazione piacevole, di uno stile spesso ricercato, spesso isolato dalle divagazioni, pittoresco, evocativo.

«Le style des Prolégomènes, est direct; peu soucieux de flatter l’oreille, il coupe les ailes de l’imagination. Il évite l’allégorie, l’emploi du terme noble ou poétique pour s’attacher à un vocabulaire technique. Les Prolégomènes ne sont pas destinés à flatter ou charmer un auditoire. C’est une oeuvre de réflexion, un effort de recherche et de compréhension. » [23]

Per essere uno storico di fiducia secondo i criteri di Ibn Khaldūn, lo studioso deve avere dei requisiti ben precisi tali: comprendere le regole della politica e la natura delle persone, la conoscenza dell’ambiente naturale e delle sue cratteristiche a seconda del luogo e del tempo, la conoscenza degli ambienti sociali delle diverse nazioni, in termini di tradizione e di dottrine, una comprensione del tempo presente e una capacità di confrontarlo con il passato, La conoscenza delle origini e delle motivazioni degli Stati e delle sette, i loro principi dichiarati, le regole e gli eventi principali della loro storia. Lo storico dovrebbe quindi esplorare tutti gli eventi simili che si sono verificati in altri momenti, così come le circostanze generali di quei periodi. Quando avrà completato queste due fasi principali, dovrebbe essere in grado di riconoscere i fatti come ragionevoli e probabilmente veri, o inaccettabili e quasi certamente falsi. Alcuni eventi devono essere studiati separatamente, così come le circostanze specifiche dei loro periodi, per sapere quali parti possono essere vere o false.

L’autore della Muqaddima va oltre la critica degli altri storici che hanno imposto idee metafisiche su eventi storici e far apparire questi ultimi subordinati agli Dei o alla divina provvidenza, trasformando la storia in qualcosa di più vicino alle arti e ai racconti favolosi. Ibn Khaldūn, non menzionò mai alcun intervento celeste nella storia, né alcun fine divino da cui fosse derivata, malgrado credesse fortemente in Dio. Egli Afferma, infatti, che il passato è come il futuro, cioè sono uguali, il che sembra implicare che la storia umana non abbia fine. Di conseguenza, sia studiosi musulmani che occidentali come K. Ayad e G. Bouthoul hanno interpretato il suo concetto di storia in modo da accusarlo di ateismo.

Note

[1] Mohamed Talbi, Ibn Khaldoun et l’Histoire, Editions Cartaginoiseries, Carthage, 2016.p. 29.

[2] In arabo il termine significa « ignoranza », e viene usato dai musulmani per indicare il periodo precedente l’arrivo del profeta musulmano.

[3] Si veda il libro, Hasīn Naser, Nashātū attadwīn attāriḳhi ‘inda al-‘arab. Manshurat iqraā, Beirut, 1970.

[4] Crf. Ismail Sam’i, ‘Ilmū attariḳ : dirasa fi al-manahij wal masādir, Markez al-Kitāb al-akādimi, 2016.

[5] Sono una serie difficilmente quantificabile di eventi bellici che si svolsero in Arabia tra il V e il VI secolo, prima della comparsa dell’Islam, con alcune propaggini successive, quando già la predicazione di Maometto era cominciata

[6] F. Rosenthal, A History of Muslim Historiography, 2. ed., Leiden, E.J. Brill, 1968, pp.19-21.

[7] F. Rosenthal, A History of Muslim…, op. cit., pp. 66 – 71.

[8] Per una comprenzione più approfondita sul concetto di kabar vedi : G. Turroni, Il mondo della storia secondo Ibn Khaldūn, op. cit., pp. 85-92; M. Mahdi, Ibn Khaldūn’s philosophy of history, op. cit., pp. 133-35; Cfr. F. Rosenthal, A History of Muslim Historiography, op. cit., pp. 66-71; Cfr, Hānā Māhmūd Cihab, al-Ḳitāb attālabī fī al ḥādiṯ ānnābawī āciarīf, dirassa bālāghiya fī matn sāḥīḥ al-buḳārī. Dar Ghidā, 2014, pp. 16-26.

[9] Sul ruolo di rottura rispetto al passato svolto da Moametto, vedi F. Rosenthal, A History of Muslim Historiography, op. cit., pp. 24-29.

[10] Abū Muhammad ʿAbd al-Malik ibn Hishām ibn Ayyūb al-Himyarī, noto come Ibn Hishām (in arabo أبو محمد عبد الملك ابن هشام بن أيوب الحميري‎?) (Bassora, … – Egitto, 8 maggio 833), è stato uno storico arabo; curatore della prima biografia del profeta Maometto (di Ibn Isḥāq), vanta il merito di aver trasmesso ai posteri il più antico testo arabo dopo il Corano.

[11] Collezionista di tradizioni orali (khabar), Ibn Isḥāq sarà il primo a metterle per iscritto in quella che sarà la prima biografia riguardante il profeta Maometto.

[12] Mohamed Ibn Sa’d, aṭabaqāt alkubrā, Edizione khanji, Il Cairo, 2001.

[13] Ahmad Ibn Yahya al-Baladhuri, Futouhu al-Boldan, dar al kotob al-‘ilmia, 1988.

[14] Ibn Khaldun, la Muqaddima, Edizione egiziana del 1925. p. 4.

[15] Alessio Bombacci, Postille alla traduzione De Slane della muqaddimah di Ibn Ḫaldūn, “analisi dell’Istituto Orientale di Napoli”, n. 3, 1949, p. 441.

[16] Balid: stupido

[17] La Muqaddima, p. 3.

[18] Mohsen Mahdi, Ibn Khaldûn’s Philosophy of History, 1957, p. 147.

[19] Malgrado l’affermazione dell’autore arabo che la storia appartiene al dominio delle scienze razionali, egli non la menziona nella sua classificazione delle varie scienze (forse perché la scienza storica dai musulmani appartiene alla scienze religiose e ne fa parte integrante, però possiamo notare che l’autore invita a considerarla come una scienza indipendente appartenente alla ragione).

[20] Yves lacoste, Naissance de l’Histoire, passé du tiers monde. 1966. p. 189.

[21] La Muqaddima, p. 3.

[22] Ibid.

[23] Yves Lacoste, Ibn Khaldoun Naissance de l’histoire… op, cit, p. 189.

« Lo stile dei Prolegomeni è diretto; incurante di lusingare l’orecchio, taglia le ali dell’immaginazione. Evita l’allegoria, l’uso del termine nobile o poetico da associare a un vocabolario tecnico. I Prolegomeni non hanno lo scopo di lusingare o impressionare un pubblico. È un lavoro di riflessione, uno sforzo di ricerca e di comprensione. »

Kais Ben Salah, Dottore in Lingua, Letteratura e Civiltà italiana, da anni si dedica a lavori sui legami culturali tra l’Italia e il Nord-Africa in età moderna.

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