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La parola scienziato, coniata nel 1833 da Whelwell, evoca una classe sociale, quella dei ricercatori, degli scienziati, dei docenti universitari, che della scienza ha fatto la propria missione. Collocati tradizionalmente nella classe media della società già a partire dall’Illuminismo, il sogno di una carriera professionale ai vertici dell’istruzione, temi di ricerca da esplorare per contribuire al progresso dell’uomo, hanno dato vita dalla rivoluzione industriale a una vera e propria borghesia della scienza. Professionisti pagati per soddisfare i bisogni della società e attività di ricerca finanziata da grandi mecenati si sono trasformati oggi in parti di quegli ingranaggi enormi e complicatissimi che sono i grandi progetti di ricerca internazionali, quelli finanziati dagli stati, la Big Science. E la scienza nelle realtà locali?

Sono 7 milioni circa nel mondo gli scienziati, più di tutti quelli vissuti nei secoli passati, che vedono la loro funzione divenire sempre più importante per lo sviluppo delle nazioni, ma sempre meno riconosciuta, non c’è più una stabilità economica per il singolo, non più un futuro certo per i giovani super specializzati, coltissimi, alla ricerca di una posizione nella società.

I temi della ricerca sono dettati dalla politica, da ragioni economiche, dalle leggi di mercato. Se non troppi anni addietro un docente, un ricercatore potevano ritenersi benestanti, oggi non è più così. Ai giovani ricercatori non bastano più lauree, dottorati e master per ambire a una scalata sociale, ma spesso neanche a uno stipendio, saranno loro i nuovi poveri?

Abbiamo intervistato il botanico Gabriele De Martis, una laurea in Scienze Naturali a soli 22 anni, 8 specializzazioni in materie ambientali, un master, il dottorato di ricerca in Botanica Ambientale e applicata all’Università di Cagliari, 8 anni di ricerca presso il Parco Molentargius, numerose pubblicazioni scientifiche su riviste di rilievo internazionale, autore di un libro sulla flora del Parco. Si ritrova oggi all’età di 42 anni con il contratto scaduto, alla ricerca di un’affermazione delle proprie competenze, alla ricerca di una stabilità economica miraggio delle nuove generazioni.

Come è nata l’opportunità di svolgere attività di ricerca in un parco?

Dopo il dottorato sono stato assunto a tempo determinato dal Consorzio Ramsar per la salvaguardia del litorale e delle retrostanti zone umide di interesse internazionale dell’area metropolitana di Cagliari. Ero l’addetto al verde nel piano di risanamento. Da generico addetto al verde sono diventato il botanico del Parco. Nel tempo riuscivo a convincere i dirigenti delle istituzioni cui il Parco fa capo dell’importanza della biodiversità vegetale all’interno di un’area protetta multilivello.

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Una delle pubblicazioni di Gabriele De Martis

Un Ente Parco dovrebbe essere per definizione anche ente di ricerca, ma così non è. Mi sono appoggiato spesso all’Università, alle persone che mi avevano seguito durante il dottorato. In 8 anni di vicende alterne mi ero creato una posizione nel campo della ricerca naturalistica, ero un punto di riferimento per le criticità, la valorizzazione e la conservazione della vegetazione di quel Parco sia negli assessorati che nei comuni consorziati del Parco. Ero l’esperto che conosce i segreti di una flora troppo spesso ignorata, sconosciuta e sottovalutata, uno specialista delle piante del Molentargius.

Parlando di Scienza vengono in mente grandi temi come materia oscura, cellule staminali, grafene. Come si collocano le scienze della Natura in un contesto nazionale e internazionale? Quanto è considerata la ricerca naturalistica?

Soprattutto nell’ultimo decennio le Scienze Naturali hanno avuto un risalto enorme, pensiamo solo al Global Warming. Al grande risalto internazionale non è corrisposto un recepimento da parte delle istituzioni locali. Troppo spesso gli assessorati all’ambiente, i servizi di conservazione della natura che hanno la giurisdizione delle aree protette niente fanno per far si che determinati obiettivi vengano raggiunti. Il direttore del Parco Molentargius ha decretato la cancellazione di figure professionali affermate come la mia, non rende conto a nessuno di queste scelte. E’ importante misurare le azioni concrete per la salvaguardia e la tutela della biodiversità tramite studi approfonditi e pubblicazioni scientifiche che ne confermano i risultati. Fuori contratto io e la collega faunista, non ci sono più ricercatori nel Parco, ma operatori come impiegati comunali, provinciali, senza titoli, senza nessuna conoscenza della materia.

Esiste un conflitto tra la ricerca istituzionale nelle Università e la ricerca in altri enti pubblici?

Ho cercato da subito di stringere rapporti anche con l’Università e persone più competenti di me. Ho fatto pubblicazioni con diversi docenti e ho avuto contatti con personalità del calibro del Professor Pier Virgilio Arrigoni  per la revisione della nomenclatura delle piante da me catalogate. Non posso negare però che ci sono state anche azioni che hanno diffamato il mio lavoro. Io non vivo di pubblicazioni, non ho l’ambizione di passare da ricercatore a professore associato, non esiste al di fuori dall’Università una competizione basata sul numero di pubblicazioni.

Terminato il mio ultimo contratto è stato siglato un protocollo d’intesa tra il Parco e il Centro di Conservazione della Biodiversità dell’Università di Cagliari.

Spesso i figli seguono le orme dei padri già inseriti in un determinato contesto sociale. Tuo padre è stato docente universitario di Botanica, il fatto che fosse ai vertici della “classe media”, il relativo benessere in famiglia hanno influenzato le tue scelte?

E’ ovvio che proseguo sulle orme di mio padre. Ho ripercorso tutta la sua carriera formativa, sono perito agrario come lui. Successivamente mi suggerì di iscrivermi in Scienze Naturali o Scienze Forestali perché era il proseguimento delle superiori dove brillavo in scienze. La scintilla per intraprendere la professione di botanico è scoccata quando ho scelto di fare la tesi di laurea in Botanica. Mio padre è un botanico, in tutte le vacanze estive, da quando ero bambino, lo seguivo nelle raccolte di piante in tutta la Sardegna. Ho comunque cercato di specializzarmi anche in altre materie ambientali più adatte a tematiche del momento come Geologia e Stratigrafia del Sedimentario.

Consiglieresti ai tuoi colleghi più giovani di seguire le passioni, di provare a intraprendere comunque questa carriera?

Sicuramente no. Scienze Naturali è il fanalino di coda delle attuali facoltà. Hanno preso piede facoltà che sono spesso sfumature e doppioni di altre facoltà in ombra come Scienze Ambientali, Biomediche, Marine ecc. Di laureati di qualunque tipo è pieno il mondo. Un laureato non trova oggi un’occupazione che valga la pena di ricoprire dopo tanti anni di studio. Alla fine dei conti il mutuo, la macchina, le bollette, il gas ecc., li devi pagare con uno stipendio. Quello che guadagna oggi un laureato è uno stipendio che rasenta la soglia della povertà. Bisogna orientarsi più verso il lavoro che verso le passioni. Le passioni non portano oggi al soddisfacimento economico.

Perché pur con la disoccupazione e la situazione dei ricercatori gli iscritti alle università sono sempre tantissimi?

Perché sono tantissime le persone ignoranti. Chi non ha una laurea vuole che i figli siano migliori di lui e, insito nella coscienza collettiva, c’è il concetto di laurea. Le persone possono anche rinunciare al pane, ma non a mandare i figli all’università. E’ un qualcosa che permane dai tempi della guerra, mio nonno era maresciallo dei carabinieri, tutti i figli sono laureati. Penso che odiernamente si sprechi tempo a seguire un corso di laurea, il mondo del lavoro non aspetta. Quando mi sono laureato a 22 anni mi dicevano che ero troppo giovane. Oggi, a 42 anni, non ho un lavoro stabile. Lavoro alla giornata. Questo non consente di avere una vita decorosa, non puoi pianificare niente.

Può venire dalla Scienza la chiave per risolvere il problema dei ricercatori senza collocazione?

Conosco tanti colleghi che vorrebbero emergere, lavorano senza guadagnare niente. Nel momento in cui la politica arriva ai vertici delle istituzioni come Università, Regioni, la scienza diventa un burattino nelle mani di chi muove i fili.

Da chi sarà composta la nuova classe borghese?

La nuova classe borghese non ci sarà. Ci sarà il livello di povertà da un lato e ricchezza dall’altro. Per come ho vissuto la mia esperienza di lavoro, ambire a un posto fisso da terza media è la nuova possibilità di sviluppo nel lavoro di oggi. Cercare un’ambizione nei lavori che un tempo erano i più umili perché sono stati equiparati al rango di laurea breve. Ne abbiamo esempi nelle forze armate, in campo infermieristico e così via. Esistono corsi di studio che elevano al rango di laurea attività professionali. C’è anche la confusione tra lauree brevi e specialistiche, si fa finta che gli studenti raggiungono un obiettivo che è illusione, si laurea chiunque.

Oggi bisogna partire al contrario, prima lavorare, trovare il lavoro come strumento per avere una vita dignitosa e poi forse si possono assecondare le passioni.

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