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Hammurabi, re di Babilonia dal 1792 al 1750 a.C., gettò le fondamenta delle leggi che governano il consumo di cibo, ordinando la trascrizione delle prime regole per garantire la qualità dei prodotti, difendere il popolo dalle frodi alimentari e sottolineare la responsabilità tanto dei produttori che dei venditori. In letteratura, tra leggi, editti e trattati, innumerevoli sono le fonti, le citazioni e i personaggi che si sono spesi a riguardo, sottolineando quanto la salute passasse attraverso ciò che si ingerisce e come.

Si pensi che la prima svolta moderna, dal punto di vista non soltanto normativo, ma anche metodologico e di tutela penale extra-codice in materia di sicurezza alimentare, venne compiuta con l’emanazione della Legge 30 aprile 1962, n. 283 in termini di “Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande” e successivamente con la Legge 23 dicembre 1978, n. 833, che istituiva peraltro il Sistema Sanitario Nazionale.

Miriadi sono le normative inerenti il campo alimentare ed agroalimentare, un corpus giuridico che si arricchisce costantemente, senza sosta alcuna, di nuove ordinanze e prescrizioni. Potremmo dire che insieme al Diritto Agroalimentare matura anche l’interesse e la consapevolezza del consumatore finale, soprattutto per tematiche come la nutrizione e la salute che da essa deriva. Nel corso degli ultimi anni, non a caso, il legislatore europeo è intervenuto con maggiore attenzione proprio per regolamentare i processi produttivi, i ruoli e le responsabilità degli operatori del settore alimentare, nonché corroborare proprio quelle tutele verso i cittadini.

Le competenze in diritto alimentare unite ai servizi forniti dal professionista specializzato rappresentano il supporto legale indispensabile per commercializzare, produrre e distribuire alimenti e bevande, come anche per prevenire problematiche o risolvere incertezze applicative riguardo le disposizioni di legge, soprattutto in momenti critici come quelli che viviamo oggi, ove la sovranità alimentare si svuota del suo significato più intrinseco e il diritto comunitario europeo assoggetta sempre più quello peculiare degli Stati Membri in tale disciplina, oltre al resto. Insomma, un avvocato esperto in diritto alimentare si occupa delle norme inerenti la produzione, la trasformazione e la distribuzione degli alimenti e bevande, cimentandosi nella opportuna interpretazione ed applicazione di una legislazione ampia, complessa e variegata, che include fonti legislative nazionali ed europee, atte a regolare diversi momenti e fasi della filiera alimentare e della salute pubblica.

Quella che segue è una descrizione di una specialista in materia…

L’avvocato Giovanna Sangiuolo è dichiaratamente tanto irpina quanto fiorentina, nella misura del 50%, per quanto abbia una leggera predilezione per i lupi rispetto ai colombacci, con all’anagrafe un secondo nome affettuosamente qualificato “polveroso” e che rispettosamente omettiamo. Tra i suoi maestri annovera il nonno materno, non soltanto perché le proponeva la Divina Commedia nel quotidiano, libro preferito di Giovanna ancora oggi, come fosse una novella familiare da trasmettere a figli e nipoti, ma anche per averle insegnato a distinguere la consapevolezza dalla supponenza. Giovanna ha imparato a guidare il trattore prima che l’automobile e, non a caso, tra gli esami del suo corso di laurea in giurisprudenza risultava già inserito il diritto agrario quando ancora parlava solo di soccida e mezzadria, anche in omaggio ad una tradizione familiare che già vedeva la componente toscana presente in ambito accademico agrario.

Spingila nel pericolo mortale e sopravvivrà; gettala in situazioni disperate e ne verrà fuori” una frase tratta da “L’arte della guerra” di Sun Tzu che, per quanto riferita all’armata, pare ben si attagli al suo temperamento, stando a ciò che da sempre sostengono i suoi familiari. È “La Cura”, di Franco Battiato, la sua canzone preferita, vela, danza, fotografia e tombolo, i suoi hobbies, ce lo racconta mentre confessa il suo amore per vini come i Cremant, il Nerello Mascalese, il Timorasso e i bianchi friulani. Riguardo al cibo, ne assaggia di ogni sorta, per lavoro oltre che per curiosità e piacere, prediligendo la pasta secca più di quella all’uovo, il riso bianco, i formaggi, il taglio alla fiorentina, si parla di chianina però, e le carni in generale… unica preclusione è per la ricotta allo stato puro ma la accetta come ingrediente nelle ricette salate e mai nei dolci. Le piacciono i sigari per concetto, sia per la cura manuale i cui benefici si celano tra la “veste” e la “sottoveste” che per le componenti olfattive che li differenziano, ma non li fuma. Il suo film preferito è “Come eravamo”, film del 1973 diretto da Sidney Pollack, tanto per l’indimenticabile colonna sonora, quanto per costituire, a suo dire, un capolavoro sulla compatibilità/incompatibilità delle anime, oltre la differenza di genere.

Successivi studi universitari di approfondimento, prima in diritto europeo, all’epoca denominato diritto comunitario, e poi in diritto alimentare e vitivinicolo, con specializzazioni, perfezionamenti e master universitari di II livello, oltre a un dottorato di ricerca tutt’ora in corso, hanno confermato la passione giovanile e qualificato, supportato e strutturato il profilo di Giovanna Sangiuolo per la consulenza e la progettazione prestata a favore di Imprese ed enti pubblici sui cluster dell’agroalimentare, della ristorazione, del marketing enogastronomico, dell’internazionalizzazione e della formazione in tali ambiti.  Tra gli episodi che l’hanno formata, amaramente purtroppo, il suicidio di un giovane collega: ciò le ha rivelato dove e con chi dovesse continuare a collaborare.

Sul finire degli anni ’90 si ritrova nel gruppo di lavoro chiamato per primo in Campania a lavorare sull’Iniziativa comunitaria LEADER e tra il 2018-19 affina l’idea di una prima integrazione tra comuni costieri e comuni interni come presupposto della possibile candidatura dell’area vesuviana quale Regione Gastronomica Europea.  Una grande attenzione al vino, che le deriva anche dalla proprietà di antichi vigneti familiari, e la passione per la lingua e la cultura della Terra di Mezzo, le hanno consentito di attivare a Shanghai nel 2018 l’Associazione italiana di promozione e valorizzazione della cultura enogastronomica italiana PROMOItaliafood in Cina, Hong Kong e Macao; la collaborazione con l’Associazione AMIRA, il Museo Arte Vino e Vite di Portici e la Fondazione Monti Lattari la vede impegnata nella costruzione di un percorso formativo destinato alla figura del F&B Manager.

Inoltre, partecipa attivamente, in qualità di giurista vitivinicola, ai lavori della delegazione campana delle Donne Del Vino, ma è presente anche nella sezione napoletana delle Donne Giuriste Italia, nella sezione provincia di Napoli dell’Unione Nazionale Camere Tributarie ed è socia dal 2018 dell’Unione Giuristi del Vino e della Vite di cui si è attivata ad aprile scorso anche la delegazione Campania.   Riservatissima da sempre e poco incline all’uso dei social, è conosciuta per le sole apparizioni in contesti scientifici ed istituzionali, come ad esempio, la Conferenza Nazionale della Confederazione Italiani nel Mondo, il Mediterraneo Wine & Food and Travel Exhibition presso la Borsa Mediterranea del Turismo 2024 di Napoli, il MEET Forum edizione nazionale 2024 a Pietrarsa e la Conferenza internazionale organizzata dalla Food Law Academic Network/FLAN (Rete degli accademici del diritto alimentare) per il 2024 su “Legal issues for a Sustainable for a Sustainable agrifood chain“, giusto per fare qualche esempio più recente, viene persuasa oggi a questa intervista solo dalla promessa di condividere una bottiglia di Mosaico per Procida, dalla cui visione è sempre rimasta affascinata, aderendo all’evidenza che la cultura disseti e non isoli.

Ciò che meglio ritrae il volto di questo giurista del Diritto Alimentare così si riassume: intransigente sui principi, flessibile sulle regole, ostile ai pregiudizi.

Ci parlerebbe delle sue più significative esperienze di lavoro in Italia e all’Estero?

Sono uscita di casa appena maggiorenne perché ho scelto di studiare a Perugia e poi a Roma, Milano e gli USA. Ho cominciato come dipendente di uffici e studi legali per poi preferire la libera professione. Ragioni familiari mi hanno indotta a rientrare in Campania accanto a genitori anziani e in difficoltà: una scelta “tosta” risalente a metà degli anni ’90 e che ha condizionato i due decenni successivi, costringendomi a rinunce importanti, a scelte sottodimensionate, a ritardare obiettivi e traguardi, con “piroette” spesso non comprese da chi non conosceva “tutta la storia”, ma di cui non mi sono mai pentita e che mi ha arricchita come persona e come professionista.

Condivide, intendo soprattutto oggi con questi orribili focolai bellici, la politica europea? Siamo davvero sovrani in termini di indipendenza alimentare? E in Italia?

Particolarmente efficaci per descrivere l’attuale situazione si sono rivelati i concetti di poli-crisi e permacrisi, coniati dai politologi e dagli economisti per indicare, rispettivamente, una situazione connotata da una molteplicità di crisi contestuali, sovrapposte le une alle altre, e una situazione connotata da una crisi unica che si dilata nel tempo senza soluzione di continuità, ma nel cui ambito si stagliano occasioni di spiccata emergenza. Si tratta di due canoni interpretativi, due modalità di lettura, due visioni di uno scenario poco rassicurante che per l’alimentazione ha preso le mosse dal 2008: la crisi dei prezzi agricoli ha segnato, in un contesto di già iniqua distribuzione degli alimenti, il rafforzamento del potere delle industrie alimentari e di distruzione, contrapposto all’indebolimento delle tutele degli agricoltori. Nel decennio successivo, se per un verso, la politica agricola comune/Pac, anche nel pilastro dello sviluppo rurale, non è riuscita a ridurre lo squilibrio tra gli operatori, per altro verso, la pandemia da Covid 19, pur nelle difficoltà non trascurabili dei primi mesi di lockdown, per lo più legate a questioni logistiche, ha dimostrato la resilienza del modello alimentare europeo, che ha continuato a garantire l’approvvigionamento in tutti i Paesi membri e, a tutela del quale modello, la Commissione europea ha varato un ampio programma strategico, denominato piano di emergenza, per garantire l’approvvigionamento alimentare, e la sicurezza di tale approvvigionamento, in tempi di crisi (COM 2021/689), da valere per tutte le possibili crisi, di qualunque natura e da qualunque causa generate, che si dovessero ripresentare in Europa.

Oggettivamente, il successivo conflitto Russia-Ucraina non ha mancato di avere ulteriori ripercussioni sul settore agricolo e delle trasformazioni alimentari: l’introduzione di dazi e restrizioni, il forte aumento dei costi di produzione, unitamente all’aumento del prezzo dell’energia ha toccato in particolare la produzione di cereali, oli vegetali e allevamento ma ha inciso anche sui vini, le bevande spiritose, i prodotti ortofrutticoli, il cioccolato, i dolciumi e gli alimenti per lattanti e per animali di compagnia, i cui dettagli sono visionabili nel documento COM 2023/17119.

E anche il conflitto Israele-Palestina, potenzialmente estensibile a Paesi che rivestono un ruolo fondamentale nella produzione di fonti energetiche, non esclude il rischio di veder compromessi gli sforzi compiuti per limitare l’inflazione, con possibili conseguenze in termini di fortissima instabilità nei mercati e di pressione sui produttori di beni agricoli che operano in contesti caratterizzati da livelli bassissimi di liquidità. Neppure trascurabile anche la minaccia alla navigazione nel Mar Rosso, a causa dei ripetuti attacchi alle navi commerciali da parte della milizia sciita degli Houthi con la conseguente sospensione, riduzione ed azzeramento del transito nello Stretto di Bab el-Mandeb, da parte delle principali compagnie di container-shipping che stanno riprogrammando le rotte marittime prevedendo la circumnavigazione dell’Africa lungo il Capo di Buona Speranza, aggiungendo almeno due settimane alla durata complessiva del trasporto per mare e con un incremento di costi per carburante e dell’assicurazione sui noli,  che viene a gravare su materie prima, gas naturale liquefatto, petrolio greggio e prodotti raffinati come il diesel e i carburanti per aerei.

Tutto ciò per gli alimenti si traduce non soltanto in aumento di costi diretti ma anche in problemi di conservazione dei prodotti freschi, quindi deperibili, con evidenti possibili contrazioni dei rapporti commerciali verso l’Asia, non senza dimenticare l’ulteriore costo, più nascosto ma non meno grave, rappresentato dalla perdita della centralità del mare Mediterraneo con la penalizzazione di tutti i nostri hub portuali, in particolare quelli dell’Adriatico che sono la porta commerciale verso il Nord Europa.

Quanto alla sovranità alimentare, dovremmo intenderci innanzitutto sul significato di un concetto che è polisenso e multidimensionale insieme, sgombrando il campo da posizionamenti ideologici. Direi che più di un’autarchia alimentare, di per sé poco interessante, e a cui invece molti pensano, abbiamo il dovere di garantire, in Italia e in Europa, la tutela del valore lungo tutta la filiera e cioè garantire l’effettiva remunerazione ai produttori, i quali restano il tassello più debole dell’intera food supply chain. Quindi lo strumento resta quello di mettere mano alle regole del gioco in termini di recupero delle terre incolte e abbandonate, di tutela del paesaggio agrario, di incentivo all’innovazione dei processi produttivi e non soltanto come incremento della meccanizzazione che in Italia ha già raggiunto livelli elevati, di sostegno alla formazione e di supporto al passaggio generazionale nelle aziende agricole e di prima trasformazione.

Ma le regole del gioco devono migliorare anche in termini di concorrenza, per quel che attiene ai prodotti importati, di nuovi modelli relazionali, soprattutto nei rapporti con la distribuzione, di più incisive norme sugli appalti, soprattutto con riguardo agli effetti sulla ristorazione collettiva, e via dicendo, fino a pervenire alla previsione di sempre più efficienti ed efficaci strumenti di tutela del consumatore che, ampiamente protetto sul piano della qualità dei prodotti alimentari, merita oggi una maggiore considerazione quale destinatario della comunicazione, rispetto alla quale finalmente lo scorso febbraio l’UE è intervenuta con la Direttiva n. 825/2024, il cosiddetto greenwashing, mettendo al bando pratiche commerciali ingannevoli e informazioni fuorvianti.

Nel racconto e nella promozione dell’alimentazione i professionisti del diritto non si notano tanto o comunque risultano molto meno visibili rispetto a tutte le altre categorie di professionisti che operano nel settore del F&B Management.  Di per contro abbondano HR manager, storyteller, Brand Ambassador, blogger e un nugolo di guide per prodotti e per strutture ricettive, Awards e Financial Report. E i giuristi dell’agroalimentare se ne stanno a guardare?  

Nell’alimentazione confluiscono un gran numero di scienze e di tecnologie, oltre alle discipline giuridiche, sia sul versante pubblicistico che sul versante privatistico del diritto costituzionale, internazionale, euro-unitario, amministrativo, penale, agrario, societario, industriale, sanitario, pertanto vi si affiancano conoscenze extra-giuridiche tra cui agronomia, tecnologia alimentare, etica, etologia, ecologia, informatica, elettronica, economia e tutte cosiddette scienze esatte, dunque logico ma anche necessario che ciascuna professionalità coinvolta possa, anzi debba, occuparsi di cibo. 

La scarsa visibilità del giurista deriva dall’oggettiva maggiore simpatia che suscita la divulgazione dei profili storici, sociologici, culturali, organolettici e conviviali dell’alimentazione, perché parlare di ristorazione, chef, ricette, prodotti, degustazioni, masterclass, premiazioni e classifiche, significa coinvolgere il pubblico in esperienze piacevoli e anche più semplici da comunicare, rispetto alla complessa normativa che pure accompagna sempre la nascita, la distribuzione, il consumo e lo smaltimento di ogni alimento.  Ma che il giurista alimentare non si veda, o almeno non lo si veda subito, non significa che sia distratto: il giurista alimentare non potrebbe permettersi la distrazione anche se lo volesse, considerando, per fare soltanto un primo macroscopico esempio, che la gestione della sicurezza dei prodotti alimentari richiede grande velocità di intervento e quindi i legali di settore sono chiamati a operare innanzi ai problemi al pari dei vigili del fuoco in presenza di incendi.  

Certamente un giurista alimentare è tendenzialmente schivo, nel senso che è generalmente più schivo dei giuristi di altri settori; in generale si muove dietro le quinte più che sui palcoscenici e, d’altra parte, lo si trova poco dietro la scrivania perché abituato a stare dentro alle aziende, a contatto con i meccanismi produttivi e le dinamiche distributive.

Nell’ultimo decennio, e precisamente dal 2015, ossia da quando l’Expo di Milano ha suscitato una nuova e più consapevole attenzione verso i temi alimentari, si è assistito ad un progressivo riconoscimento pubblico dei giuristi dediti all’alimentazione, che all’indomani del Covid hanno raggiunto una mai vista prima visibilità grazie ai blog, ai webinar divulgativi, al diffuso associazionismo anche interdisciplinare su tali topic. Ancora di troppo pochi giuristi invece consta la progettazione territoriale, nel senso che il giurista alimentare non si cimenta nell’elaborazione di progettualità riassuntive di esperienze e di asset materiali, immateriali, come lo è la Dieta Mediterranea, o per la definizione di concept finalizzati alla promozione territoriale. 

In particolare al di sotto del Garigliano, si tende ad escludere che il giurista, seppure sia dotato di competenze tecniche di settore, sia anche capace di generare quella creatività propria della progettazione, come se il diritto non potesse fare il paio con le intuizioni, le visioni complessive e la razionalizzazione dei contenuti, ma dovesse limitarsi all’analisi normativa quando non al contenzioso delle aule giudiziarie.  Il rischio di questa limitazione è privare la progettualità di un apporto tecnico essenziale e che consentirebbe di non commettere errori, giungendo efficacemente alla meta.

Parlando di progettazione, tra i vari progetti di cui lei è autrice, ho sentito parlare di “Costiera Vesuviana”. Potremmo soffermarci su di esso, rispetto al quale l’opinione pubblica sa poco, giacché in più riprese e in più contesti se ne parla senza contezza o chiarezza di contenuti?

Mi occupo di progettazione dagli anni ’90 sia come progettazione di moduli formativi sia come progettazione destinata al cd. marketing territoriale e guardando a tempi più recenti, tra le tante esperienze, ricordo qui il progetto della Filiera Vitivinicola per le cantine ipogee del comune di Cairano (Fabrica del vino) e nell’ambito della feconda collaborazione con il Museo dell’Arte, del Vino e della Vite di Portici, tra l’altro, ricordo il progetto del Mediterranean Wine Art Fest 2022 e del Manifesto finale di quell’edizione, il coordinamento della progettazione del POC Vesuvio 2023 (percorsi turistici di tipo culturale, naturalistico ed enogastronomico) e del Museo del Vino per il comune di Torrecuso (L.R. 28/2018), anche se il progetto più amato resta Campania, destinazione enologica inserito nell’ambito del Fondo Sviluppo e Coesione 2021 e 2027 (regione Campania, itinerari turistici e valorizzazione tradizioni enogastronomiche). Venendo al progetto della Costiera Vesuviana, concordo sulla necessità di passare da una narrazione ad uso di pochi alla narrazione destinata alla storia collettiva perché soprattutto nell’epoca in cui i social possono prestarsi a costruire legittimazioni (talvolta anche a fronte del nulla) diviene necessario fare piazza pulita delle menzogne, delle omissioni, delle illazioni a tutti i livelli diffuse, su persone e vicende, per posizionare persone e vicende nella collocazione che loro compete, a tutela delle ragioni e dei diritti di ciascuno, oltre che a scanso di equivoci.

In relazione al progetto che mi riguarda, denominato “Costiera Vesuviana”, dobbiamo partire da lontano, partire dalla conoscenza del diritto europeo che mi appartiene sin dagli anni ‘90, ma anche dai programmi e dalle iniziative europee di sviluppo territoriale che ho seguito nei decenni, dall’esperienza di Expo 2015 a Milano e da tutto quanto in Italia è successo dopo ed ha visto la mia partecipazione: un patrimonio di conoscenze e di esperienze che mi hanno consentito sin dal 2017 di immaginare e costruire, proprio per l’area vesuviana ed intesa sotto la denominazione Costiera Vesuviana, come area comprensiva di sei comuni costieri abbinati ad un determinato numero di comuni interni situati in prossimità del Vesuvio, una possibile candidatura come Regione Europea della Gastronomia, un riconoscimento talmente poco noto in Italia da non essere neppure previsto dalla progettazione dei territori italiani. Ad oggi, a dispetto dell’enorme qualità e quantità del patrimonio enogastronomico italiano, poche aree geografiche si sono rivelati capaci di cogliere le opportunità derivanti da questo strumento e ciò giustifica che siano solo due i vincitori italiani rispetto alle candidature di tutt’Europa: la Lombardia orientale (province di Crema, Cremona e Bergamo) all’indomani dell’Expo 2015, e la Sicilia (capacissima) che è riuscita ad aggiudicarsi il riconoscimento per il 2025. 

Il progetto di detta candidatura, ancora in bozza embrionale, venne presentato, in occasione di una conversazione informale, all’attenzione del dr. Antonio Limone, a capo dell’Istituto Zooprofilattico del Mezzogiorno, che generosamente ne riconobbe la validità concettuale e mi incoraggiò ad approfondire lo studio e l’analisi dei territori coinvolti; quindi nel marzo 2019 in occasione della Borsa Mediterranea del Turismo il progetto venne presentato all’allora Assessore regionale al turismo e nel maggio successivo anche all’Università di Napoli Federico II, presso il Dipartimento di Scienze Agrarie di Portici all’epoca diretto dal prof. Matteo Lorito. Al momento non si riuscì a promuovere il coordinamento necessario tra cittadini e imprese: l’animazione sul territorio, quale attività operativa affidata ad un’associazione partner, non sortì l’effetto desiderato; le Istituzioni, il cui apporto era essenziale, non ritennero di aderire nei tempi necessari a formulare la candidatura europea e il Covid, nei primi mesi del 2020, ha costretto al fermo definitivo. 

Nel 2021, anche grazie agli ulteriori approfondimenti teorici in corso, mi sono dedicata all’elaborazione di un nuovo progetto, sempre destinato all’area vesuviana e ancora intesa come integrazione tra comunità costiere e comunità interne, ma diversamente articolato e del tutto disgiunto dalla candidatura quale Regione gastronomica europea, in attesa di raccogliere la disponibilità delle Istituzioni verso la candidatura medesima. Mi sono dunque concentrata sui profili immediatamente operativi con la previsione di gruppi di lavoro distinti per aree tematiche. Detto progetto, presentato nel 2022 / 2023 all’Assessorato Regionale Agricoltura, a diversi Comuni dell’area vesuviana, al Parco Nazionale del Vesuvio e alla Città Metropolitana di Napoli, vede nel Museo dell’Arte del Vino e della Vite di Portici il soggetto incaricato in via esclusiva della complessiva gestione e realizzazione delle fasi operative.  Alla luce di tutto quanto sopra, dunque, sia con riferimento alla maternità dell’idea e del progetto sia in relazione all’individuazione dei soggetti coinvolti in fase esecutiva, non c’è spazio a confusione, anche solo potenziale, con qualsiasi altra progettualità, da qualunque altro soggetto proposta, avente in comune il territorio di riferimento e cioè l’area vesuviana.

Comprendo il preambolo ed è evidente la maternità del progetto, confidando nessuno sia così avventato da attribuirselo impropriamente, anche perché risulterebbe evidente il plagio. Intanto però vorremmo esprimere meglio il concetto di Costiera Vesuviana? Non si comprende quali e quanti attori siano presenti sul territorio e neanche con quale progettualità concreta destinata all’area vesuviana, intesa come area costiera e area interna in prossimità del Vesuvio. Parliamone…

È un fatto incontestabile che sull’area vesuviana (terra bellissima e ricca di potenzialità) ci sia da sempre una grande attenzione e che attori qualificatissimi se ne siano da sempre occupati.  Non ho mai neppure immaginato di proporre la mia progettualità come unica o assoluta per il territorio cui questa mia idea è sempre stata destinata. 

Ho sempre sostenuto invece, supportata in questo anche da continui confronti con professionisti operativi a livello nazionale, che la progettualità da me proposta per l’area vesuviana fosse meritevole di attenzione almeno da due punti di vista rispetto ai quali, ancora oggi, ritengo possa esprimere forza innovativa: per un verso, individua un focus unico e preciso intorno al quale costruire tutte le relazioni tra gli stakeholders territoriali, per cerchi concentrici, senza dispersione di risorse e sovrapposizioni di competenze, che ha spesso rappresentato un limite alla concretizzazione dei progetti; dall’altra parte, costituisce una metodologia di lavoro suscettibile di venire utilizzata in altri contesti con le opportune rettifiche ed integrazioni per garantire la compresenza e la concertazione di tutti gli interessati, oltre che una buona replicabilità in altri areali.  Non c’è dunque possibilità di confusione tra quanto da me realizzato e quanto realizzato da altri: siamo tutti nella medesima paritaria condizione di costituire occasione di spunti, sollecitazioni ed idee a favore del territorio.

Se poi per taluni attori del territorio si preveda anche la partecipazione a tavoli di lavoro, ovvero l’intervento in commissioni e organismi di vario genere, siamo dinanzi ad una naturale dinamica dove le Istituzioni assumono decisioni e ponderazioni discrezionali in termini di meritocratica considerazione di quanto viene loro sottoposto. Un’Istituzione può ritenere interessante la mia progettualità e un’altra Istituzione invece ritenere di doverla accantonare, preferendo altro soggetto ovvero altri soggetti, senza che il rifiuto alla mia idea costituisca un problema per la mia attività o per la mia autostima. Ciò che conta è che le Istituzioni abbiano esatta contezza dei contenuti sottoposti alla loro attenzione e che non diventino inconsapevolmente vittime di distorta informazione: la promozione territoriale, che coinvolge tutti gli asset materiali/immateriali, giustifica naturalmente la presenza di una molteplicità di persone attive a livello locale sotto le forme giuridiche più diverse, ciascuno con preparazione, estrazione e obiettivi diversi. Lo spazio deve essere consentito a tutti purché, attraverso l’uso dei social come preferenziale veicolo di diffusione delle notizie, non si generi il falso sia in ordine all’autolegittimazione e autoreferenzialità dei singoli sia in ordine ai contenuti, in molte occasioni sottratti ai legittimi proprietari, perché il falso e il plagio necessitano allora di venire smascherati.

Ecco, veniamo al punto centrale, quello della distorta informazione, sollevato dall’opinione pubblica che di recente si è trovata a doversi confrontare con un logo denominato “Costiera Vesuviana” e che viene presentato in diversi contesti, ma senza che a quella immagine poi corrisponda un collegamento ad un progetto concreto.  Chiarisca origine e titolarità di detta immagine. Inoltre, quali potrebbero essere gli atteggiamenti delle Istituzioni coinvolte anche solo indirettamente nell’utilizzo delle dette immagini, laddove si rivelino immagini non pertinenti rispetto ai contesti?

L’immagine di cui parla è la rielaborazione di uno schizzo disegnato dal collega Roberto Iodice, per sugellare un mio compleanno.  Il grafico che da anni collabora con lo Studio legale Iodice ha poi proceduto alla realizzazione della veste grafica di vari formati come richiesti in relazione alle varie necessità, e lo scorso anno si è resa disponibile anche la versione animata, oggi in uso al Museo dell’Arte, del Vino e della Vite di Portici.

Preciso che, come noto, l’immagine è stata ovviamente registrata a favore del proprietario/titolare e gode dunque delle tutele di legge.  Non può escludersi che taluno intenda provare ad appropriarsi della proprietà intellettuale e industriale altrui: sarebbe una riprova dell’efficacia di quel disegno a riassumere una precisa concettualizzazione e nel contempo un’attività fallace e inutile perché la verità viene sempre a galla e la bugia si ritorce contro i bugiardi.

Non è mio compito né interesse sindacare la capacità ovvero il livello di competenza di quanti si (auto) qualificano progettisti di qualcosa. Resta l’evidente differenza tra le cose che ciascuno realizza e non c’è sicuramente possibilità di confusione soprattutto guardando il curriculum individuale.

Per quanto mi riguarda, ferma la piena libertà e autonomia di ciascuno, è sufficiente che per qualsivoglia progetto destinato all’area vesuviana si utilizzino denominazioni e immagini di originale elaborazione, senza plagio, usurpazione, confusione di altrui proprietà intellettuale, e quindi lasciando in pace anche le immagini e i contenuti che mi appartengono.

Quanto alle Istituzioni, seppure teoricamente esposte al rischio di venire avvicinate da soggetti non titolari dei contenuti e delle immagini che propongono come proprie, nella pratica dispongono di tutte le risorse necessarie a individuare la verità distinguendo la vociante cialtroneria dalla professionalità anche considerando che è libero l’accesso alla documentazione che accompagna e supporta la proprietà intellettuale. Da sempre confido nelle Istituzioni, nella capacità di ciascuna Istituzione di leggere i curricula, evitando l’eccessiva benevolenza verso i lamentosi questuanti che affollano corridoi e sale di attesa; di distinguere tra chi ha sempre approcciato i temi alimentari/turistici/territoriali in modalità scientifica e chi invece si è limitato a fare caciara. Confido nella capacità delle Istituzioni di smascherare la violenza predatoria sull’altrui genio, anche se celata dietro languori senili o giovanili spiriti competitivi. Soprattutto confido nella capacità delle Istituzioni di trovare le strade più idonee ad evitare conflitti inutili e sanare contrapposizioni ingiustificate, riportando ciascuno nell’alveo della legittimità.  La via più semplice resta la migliore e, a volte, lo strumento più idoneo sta nell’accoglimento della garbata richiesta di un colloquio informale. Gli amministratori, quelli bravi, lo sanno e lo sanno fare.

Chiudiamo in maniera propositiva questa conversazione ricca di spunti e riflessioni. Di cosa ha bisogno l’area vesuviana per essere rilanciata, cosa fare per lottare contro l’Italian Sounding che affligge i prodotti locali? D’altronde, rispetto alle altre province campane nel napoletano esistono diversi consorzi del vino?  Insomma cosa propone lei a riguardo di tutto ciò?

Comincio da lontano, dalle parole di Guterres (segretario generale ONU) “I sistemi alimentari sono il principale strumento per pervenire ad un mondo migliore” e da Agenda 2030 dove, rispetto ai 17 previsti Obiettivi, il cibo è direttamente/indirettamente connesso a tutti gli altri e costituisce una pre condizione diretta per il conseguimento di almeno otto obiettivi; d’altra parte non è un caso che la FAO sia stata nominata custode di 21 degli indicatori relativi alla realizzazione degli SDGs. La tutela e la promozione/diffusione/accessibilità del cibo, tanto di qualità organolettica che nutrizionale, costituiscono dunque un obiettivo collettivo che investe l’umanità e rappresentano uno strumento per pervenire alla transizione gemellare, verde e blu, prevista dal paradigma prismatico della Sostenibilità.   L’impegno non è facile perché la visione monoculare, quella cioè che ha guardato alla sola componente ambientale, ha rivelato la propria insufficienza e giustificato anche i cambiamenti di rotta attivati nell’ultimo semestre dall’UE in materia di Farm to Fork Strategy, che del Green Deal costituisce il documento riassuntivo della strategia verde europea in materia alimentare. Attendiamo adesso la nuova legislatura europea per capire cosa intende modificare per il raggiungimento dell’obiettivo della sostenibilità.

Di sicuro ciò che non cambia è la tutela e la lotta contro la contraffazione alimentare che è destinata a venire incrementata. Quando dunque parliamo di Italian Sounding si intende l’utilizzo di denominazioni, riferimenti geografici, immagini, combinazioni cromatiche e marchi che rievochino l’Italia e in particolare, alcuni dei suoi più famosi prodotti tipici per promuovere la commercializzazione di prodotti inducendo ingannevolmente a credere che siano autentici italiani pur in assenza delle caratteristiche tipiche. Può trattarsi dii aziende situate all’estero o di aziende site in Italia che acquistano materie prime dall’estero. Spesso in etichetta o in confezione si presentano figure di luoghi italiani accompagnati da diciture come “genere”, “del tipo”, “in stile”, “secondo la ricetta”.  La rilevanza del fenomeno è tale che nella relazione del 2021 e del 2022 i Servizi per la Sicurezza della Repubblica italiana qualificano il falso Made in Italy e il cibo pirata come una questione di sicurezza nazionale. 

Oggi la tecnologia viene in aiuto dei produttori onesti con meccanismi di tracciabilità che consentono di verificare l’origine del prodotto e della filiera ma certamente riveste un ruolo essenziale anche l’attività di promozione da svolgere all’estero, dove il fenomeno è molto più diffuso, con campagne di informazione di promozione per garantire un consumo consapevole soprattutto su mercati dove la concorrenza sleale è particolarmente agguerrita.  Quanto ai Consorzi di tutela, di qualunque prodotto si parli, continueranno a costituire il fulcro della promozione delle produzioni e dei territori: basti pensare che il nuovo Regolamento UE sulle denominazioni dei prodotti agroalimentari ne sottolinea il ruolo centrale anche per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità e che la legge regionale sull’enoturismo, la legge 7/2024, prevede la presenza dei Consorzi di Tutela Vino nell’Osservatorio Regionale Enoturismo Campania. Spetta dunque a Consorzi di tutela innovare metodi e contenuti di lavoro anche in termini di un sempre maggiore coinvolgimento degli stakeholders presenti sul territorio che si rivelino utili al rafforzamento di denominazioni, all’incremento del fatturato degli operatori e all’ingresso dei prodotti in nuovi mercati.

Che tipo di percorso formativo suggerirebbe ai giovani che intendono intraprendere la sua strada? Di cosa ha più bisogno il mercato del lavoro in ambito giuridico alimentare?

Rifiutare l’improvvisazione e scegliere la strada dell’approfondimento. Rifiutare l’autodidattismo e accettare di seguire i maestri delle diverse scuole di disciplina agraristica, con incursioni presso le istituzioni unionali.  La passione per l’enogastronomia può essere una molla idonea ad attivare l’attenzione verso una branca del diritto probabilmente non ancora diffusa, come meriterebbe, ma resta la necessità di rimanere fedeli al percorso scientifico.   Abbiamo necessità di giuristi che si sappiano cimentare sul tema a livello europeo e internazionale, e quindi mi permetto di suggerire una formazione interdisciplinare, dove al diritto si accompagnino gli studi politici ed economici, ma anche la conoscenza di modelli teorici per l’analisi finanziaria, perché il cibo rientra tra le commodities e della tecnologia alimentare non escludendo la filosofia, la letteratura e l’etica, perché il cibo non è solo nutrimento: il cibo è conoscenza, emozione, condivisione, convivialità; il cibo esprime identità territoriale e rapporto con l’ecosistema; il cibo delinea dinamiche economiche; il cibo è un prodotto multi-value e come tale deve venire approcciato, studiato e soprattutto rispettato.

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