Le prime tracce sulla viticoltura a Maiorca compaiono attorno al VII e al VI secolo a.C. e, durante l’epoca Romana, grazie a testimonianze scritte, datate attorno al 121 a.C., è nota la produzione di vino nelle isole Baleari; inoltre, nella sua Naturalis Historia, Gaio Plinio Secondo, meglio noto come Plinio il Vecchio, asseriva che i vini di quest’arcipelago erano paragonabili ai migliori vini italici.
Tra i vini di Maiorca che maggiormente hanno goduto di fama in epoche più recenti, tanto da essere esportata e apprezzata sia in Inghilterra, che in Olanda e Germania, merita certo una menzione la Malvasia nella sua versione dolce. Purtroppo, a falcidiare questa cultivar viticola maiorchina è stata la fillossera verso la fine del XIX secolo, decretando oltretutto la scomparsa di diverse altre specie autoctone coltivate alle Baleari fin dall’antichità.
Tuttavia, grazie al forte radicamento culturale alla viticoltura da parte della comunità maiorchina, vengono allevate varietà straordinarie, sopravvissute alla sciagura del ragno rosso e dal dna inconfondibile: tra i vitigni a bacca bianca è il caso di annoverare il Girò Blanc e il Prensal Blanc, anche detto Moll, poi quello a bacca rosa Giró Roz ed infine il Manto Negro, il Callet e il Fogoneu, a bacca nera. Naturalmente esistono anche vitigni provenienti dall’area continentale della Spagna e vitigni internazionali, tra cui il Merlot di cui si parlerà a seguire.
Sencelles, una cittadina di poco più di 3000 anime, si trova sull’isola di Maiorca, ed è inequivocabilmente una terra del vino. La sua storia, la sua cultura, già radicata nel Medioevo, e i suoi paesaggi profumano di vigna, ecco perché molti winelovers da tutto il mondo vengono in visita, concedendosi una sana vacanza mediterranea, affrontando gli itinerari che collegano le varie cantine, in bicicletta magari, e assaporando la gastronomia locale.
È qui che nel 1984 Stellan Lundqvist, viticoltore di origine svedese innamoratosi di Maiorca, decise di eleggere dimora e fondare la sua cantina: Santa Catarina. Il primo tratto caratteristico è nella visione pioniera del fondatore di impiantare uve tipiche francesi, come appunto Merlot, Cabernet Sauvignon, Chardonnay e Syrah, principalmente, oltre che puntare su uno stile qualitativo che guardasse al terroir in vigna e al gusto internazionale come interpretazione enologica.
Verso gli anni ’90 la cantina Santa Catarina raggiunse una posizione di prestigio nel mercato locale e la sua produzione vitivinicola acquisì una grandissima reputazione, per quanto, a causa di circostanze personali, Lundqvist decise di interrompere l’attività vitivinicola nel 2002, affittando tutti i suoi vigneti e la piccola cantina, ubicata ad Andratx. Dopo anni senza che la cantina producesse più i propri vini, nel 2014 la famiglia di Stellan Lundqvist ha deciso di recuperare il progetto che il fondatore era riuscito ad edificare, quando i figli erano ancora bambini. Oggi sono loro a tenere le redini della cantina, ritirando i 49 ettari di vigneto originari, cioè tutti i vigneti di Son Aloy a Sencelles e di Es Rafal Blanc ad Andratx. Le operazioni di recupero e di risanamento degli impianti, dopo un’aratura profonda, hanno visto l’inclusione di molte più varietà locali e mediterranee, con alta densità per ottenere rese più modeste, inoltre è stata realizzata anche la costruzione di una nuova cantina, proprio nella tenuta di Son Aloy, dove oggi viene coltivata la quasi totalità delle uve delle tenute di Santa Catarina. La proprietà, per poter realizzare le proprie aspirazioni e portare avanti il sogno di Stellan Lundqvist, si sono rivolti a Roberto Cipresso, celebre winemaker italiano e di fama internazionale, cui è affidata la conduzione enologica della bodega sin dal nuovo inizio.
Lo “Stellan Lundqvist” Merlot 2016 di Bodega Santa Catarina ha una foggia dal color rosso rubino intenso, vivo e impenetrabile. Fitta anche la consistenza di questo vino, territorialmente espressivo ma dal taglio globetrotter. È stato prodotto integralmente da viti di Merlot vecchie di 30 anni, le cui uve hanno fermentato in acciaio, tenendo sotto controllo la temperatura, quindi affinando in botti di rovere francese per almeno 10 mesi, prima di toccare vetro. Le note olfattive parlano chiaramente, grazie alla spiccata pulizia enologica: ribes nero, confettura di gelsi neri e gelatina di lampone, poi la carruba, il cioccolato amaro, poi un calibrato tocco boisè, foriero di tostature, tabacco andullo e vaniglia, oltre che note balsamiche di erbe mediterranee.
In bocca è materico nella sua compattezza, succoso e tondo: il tannino entra nella sorsata in maniera non invadente, volge verso una nota saporita, da kokumi effect, per poi cedere il passo alla piacevole freschezza. In retronasale ritornano le note odorose percepite alla via diretta, con in aggiunta la nota citrica del tamarindo e del caffè. Ricco e dalla bella persistenza. Da dimenticare in cantina per i prossimi cinque anni almeno, è di ottima compagnia con il civet di cinghiale al cacao amaro e funghi porcini.