La Cantina Bello è stata fondata nel 2016 ad Albanella, cittadina di poco più di 6200 abitanti in provincia di Salerno, in bilico tra il Golfo di Salerno e i Monti Alburni, ubicata su una collina da cui è possibile ammirare tutta la Piana del Sele; territorialmente Albanella tende a svilupparsi nella parte pianeggiante e sui piccoli colli dai dolci declivi, compresi tra il fiume Sele e il Calore Lucano a Nord e il Monte Soprano a Sud.
I tenimenti di Ciro Bello, affermato dottore commercialista salernitano che ha deciso di vivere una seconda esistenza tra i filari, per amore della serenità rurale e del vino, non sono lontanissimi dalla rete idrografica comprendente anche il torrente la Cosa e il rio Lama, si trovano approssimativamente a 50 metri sul livello del mare e le vigne insistono su un suolo calcareo-marnoso, con formazioni arenarie e limo, con presenza di ciottoli, tipico delle pianure alluvionali.
Il vigneto di Primitivo, utile alla produzione del rosato Amemì, si trova precisamente in località Tempone Gianpietro e, riguardo all’annata in questione, si è dovuto vendemmiare entro la prima settimana di settembre, per poi diraspare ed avviare la fermentazione in inox a temperatura controllata per una settimana, con una preliminare macerazione delle bucce per non più di un’ora, e il conseguente affinamento, sempre in acciaio, per circa 6 mesi.
L’Amemì Rosato Colli di Salerno Igt 2022 di Cantina Bello sfoggia una veste decisamente voluttuosa e intrigante, a partire dal colore: buccia di cipolla ramata intensa, tendente al colore dell’ambra, con quei riflessi e quella viva luce che riscalda il cuore a prima vista. Dopo un tuffo nella cromaticità di un nettare che promette vivacità, attraverso la sua brillantezza, si nota una consistenza piuttosto generosa. Al naso la sensazione salmastra e di alghe è un barlume che cede spazio a riconoscimenti desueti per un vino rosato: da un delicato riconoscimento di fiori di garofano essiccati, si passa ad una velata nota di agrume e di more di rovo, poi il riconoscimento vegetale della felce e il balsamico di elicriso, con una scia recondita di pietra focaia. Elementi olfattivi niente affatto strabordanti, anzi piuttosto timidi, ad evidente dimostrazione di totale assenza di giochi coi lieviti che pretendono di ammaliare. Se i sentori all’analisi olfattiva sono pacati, al sorso l’Amemì risulta a dir poco dirompente con una sapidità che si contende il podio con la succulenta freschezza in un continuo rimescolio. La retro-olfattiva svela l’arcano e il sentore d’agrume percepito alla via diretta diventa cetrangolo, per niente invadente, poi arriva il timo limonato, la maggiorana e una nota gusto-olfattiva di teina. Il sorso è altresì saporito, intendendo quel tocco umami che non dispiace affatto. Insomma: naso pacato e gusto complesso per un rosato in completa controtendenza e che richiede quella garbata pazienza di chi sa che col vino occorre parlarci, non dissetarsi, per quanto l’Amemì riesce in entrambe le cose.
Il rosato di Ciro Bello ha staccato quest’anno 95/100 nella guida “Rosa, Rosati, Rosé”, curata da Renato Rovetta, e questo dovrebbe portare a chiedersi quanto riuscirebbe ad ottenere nel 2025, vista la baldanzosa acidità che certo non gli fa difetto. Bella la persistenza oltretutto. L’abbinamento? Insomma, chiunque sarebbe capace di suggerire un risotto all’olio evo e parmigiano reggiano con erba ostrica, ma vuoi mettere una Paola Maugeri che nel frattempo sussurra all’orecchio “Sete Perenne” di Alda Merini mentre lo si sorseggia?