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Tra i comuni del Golfo di Castellammare, in provincia di Trapani, figura Alcamo, situato alle pendici del Monte Bonifato, il cui tessuto urbano dolcemente digrada verso il Mar Mediterraneo sino alla frazione di Alcamo Marina, raggiungendo nel complesso più di 44 mila abitanti. La storicità di Alcamo è profonda, soprattutto se si considera che il territorio è stato abitato sin dalla Preistoria: infatti, presso la contrada Mulinello, sono stati trovati reperti risalenti al Mesolitico, approssimativamente tra il IX e il VI millennio a.C., ed altre testimonianze del Neolitico.

Tra le ipotesi sull’etimologia ve ne sono di diverse: alcune vorrebbero il nome di Alcamo abbia origine dalla parola araba al-qamah, che starebbe a significare “terra fangosa” o “terra fertile”, altre invece lo farebbero derivare da al-Qāmūq, condottiero musulmano che avrebbe fondato la cittadina nell’828, anche se si suppone che il nome della città possa derivare da “caccamu“, parola dialettale che indica la pianta Citrullus Colocynthis. Infine, un’ultima tesi fa riferimento alla leggendaria città di Camico, sede di Cocalo e re dei Sicani, ubicata in cima al Monte Bonifato, dove tuttora esiste un insediamento molto antico, non ancora bene identificato. Per quanto le citazioni di Licofrone vorrebbero che anticamente sul Monte Bonifato vi fosse un centro abitato chiamato “Longuro“, che secondo un antico racconto pare fosse un insediamento fondato da una colonia di greci sfuggiti alla distruzione della città di Troia, le prime testimonianze ufficiali sull’esistenza di Alcamo risalgono al 1154: in un passo del Libro di Ruggero II, scritto dal geografo arabo Idrisi per ordine dello stesso re normanno al fine di ottenere una raccolta di carte geografiche, viene descritto che la posizione di Alcamo, rispetto al castello di Calatubo, sia posta a circa un miglio arabo di distanza, definendo l’abitato come “manzil”, ossia casale, circondato da terreni fertili e in cui aveva luogo un fiorente mercato. In quest’epoca tale casale veniva chiamato dagli arabi “Alqamah”, i cui abitanti erano tutti di fede musulmana.

Innumerevoli sono le vicende storiche che hanno avuto per protagonista Alcamo ed hanno visto la presenza di personaggi famosi, dal Medioevo all’Età Moderna, e tantissimi sono i siti di interesse che vale la pena di visitare: tra questi meritano certo la menzione la Casa di Ciullo d’Alcamo, vicino alla Chiesa di San Francesco d’Assisi, e l’Ex Loggia Comunale del 1500, la Chiesa di Santa Maria della Stella e l’Ex Chiesa di San Giacomo de Spada, ma tantissimi sono gli eremi, gli edifici civili e religiosi, per non parlare della bellezza paesaggistica della Riserva Naturale Bosco di Alcamo e della rilevanza artistica del Santuario di Maria Santissima dell’Alto.

L’azienda agricola di Nino Asta, portata avanti dal padre fino al 2015, è un esempio di territorialità e rispetto per la Natura attraverso valori tramandati da una famiglia dedita all’agricoltura, all’olivicoltura ed alla cura dei vigneti da generazioni. Nino, siciliano originario di Alcamo e classe del ’74, ha saputo raccogliere l’eredità familiare, utilizzando i criteri della viticoltura biologica, ricevendo la relativa certificazione proprio nell’anno del passaggio di testimone, ponendo meticolosa attenzione in tutte le fasi della filiera, sia nel vigneto che in cantina, improntando la propria filosofia enologica sul vino artigianale e non filtrato, lavorando mediante fermentazione spontanea, e quindi l’uso di lieviti indigeni.

Ad una distanza di circa 20 km dalla cantina, i vini prodotti da Nino Asta provengono anche dalle uve allevate nei tenimenti aziendali di Bosco Falconeria, una contrada di Partinico in provincia di Palermo: così Astavini si fa interprete di due aree in perfetta linea di continuità, grazie al clima mediterraneo dispensato da due golfi e alla geomorfologia dell’entroterra, realizzando così vini di grande sostenibilità e carattere, espressi in poche bottiglie ma dall’alto valore qualitativo. Infatti Partinico dista 7 km circa dal mare e tra i 25 e i 70 km da alcune tra le mete turistiche di maggior rilevanza regionale quali Castellammare del Golfo, la Riserva dello Zingaro, Scopello, San Vito Lo Capo e Erice. Poiché Partinico si eleva di soli 175 metri di altezza sul livello del mare, la temperatura durante l’anno è piuttosto mite, con temperature medie che oscillano tra i 10 e i 18° durante i mesi invernali e tra i 23 e i 32° durante i mesi estivi, per quanto la siccità e il cambiamento climatico rendono sempre più ardua la vitivinicoltura in Sicilia ed i picchi di caldo raggiungano livelli significativi.

Delle sole tre referenze espresse da Astavini Matri è il vino dedicato alla Terra Madre e il suo nome non solo sta a significare “madre” in lingua siciliana, ma costituisce al tempo stesso un composto aplologico tra macerazione e tre, in quanto figlio di un contatto sulle bucce della durata di tre giorni. La stessa etichetta indossata dalla bottiglia è efficace, freschissima e immediata: disegnata dalla piccola Maya, figlia di Nino, raffigura una madre nell’atto di allattare il proprio pargolo.

Le viti di Catarratto per la produzione del Matri sono state impiantate nel 2007 con una esposizione Nord-Est e vengono allevate col sistema a spalliera, con una resa per ettaro complessiva di 80 quintali. È opportuno rilevare che la tessitura del terreno di Partinico è tra i più complessi e, dalle tavole geologiche nazionali, si evidenzia la presenza del caratteristico Flysch Numidico, con arenarie quarzose e glauconite, composti prevalentemente sabbioso-calcarei, ciottoli e rocce clastiche verdastre di origine fangosa, e marne di vario tipo. La vendemmia è avvenuta verso la fine di agosto e, dopo una fermentazione spontanea e macerazione in acciaio per tre giorni, il Matri è stato affinato sui lieviti, sempre in inox, per 6 mesi, svolgendo malolattica e quindi imbottigliato senza essere filtrato.

Il Matri Igt Terre Siciliane 2023 di Astavini ha visto una produzione di sole 3000 bottiglie e si esprime alla vista con un color ambra che riluce oro antico misto a rame, con archi fitti e una consistenza che si affetta al coltello. Al naso il ricordo del vino lambiccato delle feste lascia spazio ad un accenno di magnolia e fiori secchi di camomilla, alla pesca tabacchiera, all’uva passa e all’albicocca disidratata, poi mela infornata, uno scampolo di tabacco nostrano e zafferano. In bocca l’astringenza da leuco-antociano rende rustico e materico il sorso senza irruenze, alleggerita da una vibrante acidità ed un finale umami. La retro-nasalità riporta frutta disidratata a polpa gialla, poi tamarindo e mela cotogna al forno, adesso più definita che alla via orto-nasale, e note di tè nero con ritorno di zafferano. È un vino schietto, corposo e genuino con una buona persistenza aromatica intensa, che mette sana allegria, non fa venir sete, non fa percepire i suoi 13°,5, digeribilissimi, e che si apprezza nella sua complessità. In famiglia Nino Asta lo accompagna ad un tipicissimo piatto di pasta con le sarde e noi non possiamo che seguirne il consiglio.

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