La fortuna di essere isola, il vantaggio di essere crocevia
. Questi due aspetti della Sardegna, assieme ad altrettanto fortunate coincidenze latitudinali, climatiche e orografiche, ne hanno forgiato l’unicità e plasmato la varietà naturale e culturale. Della Sardegna, nella Sardegna, si identificano spesso tante isole nell’isola, sia per le mutevoli condizioni del territorio, colline e pianura, montagne e fasce costiere, fertile o paludoso, granitico, vulcanico, argilloso, sia per la diversificazione dovuta al sovrapporsi di migrazioni, popolazioni e culture sincretizzatesi nei diversi distretti dell’isola con differenti usi, costumi, produzioni e approcci con la terra ospitante, e attive nell’importazione di varietà animali e vegetali che hanno trovato habitat ideali nell’isola.
I paesaggi si susseguono sfumano l’uno nell’altro nei colori, nella vegetazione, nella conformazione, accompagnati dallo sfumare antropologico: dalle diverse parlate degli isolani, alle mutevoli abitudini comportamentali, dalle infinite tipicità agroalimentari, al vario tessuto sociale, che da sempre nell’isola è, pur anche questo nella sua diversità da paese a paese, ancora di salvezza.
Non ci sono confini netti in Sardegna, tranne che in pochi occasioni: la Giara che si staglia sulla Marmilla, i tanto famosi muretti a secco, le scogliere a strapiombo… ma per lo più in Sardegna esistono sfumature, che conducono l’occhio da un ambiente ad un altro in maniera graduale. E così pure le sfumature culturali, che portano l’osservatore da un villaggio all’altro in una sorta di continuità che va pian piano diversificando, dando però la netta sensazione di trovarsi in mondi diversi se l’osservazione avviene tra epicentri lontani tra loro. Eppure tutto ha un denominatore comune, la Sardegna, e tutto nell’immaginario collettivo è riconducibile a un solo concetto, la Sardegna.
E l’insularità ha reso questo denominatore comune forte e sentito, come forte e sentito è il rapporto che gli isolani hanno con la loro terra. Rapporto di amore e di timore, di rispetto e risentimento, perché a volte è facile anche addossare le colpe di situazioni negative all’isolamento, o alla sensazione di arida sterilità che trasmette parte del territorio. Ma anche questo sentimento rientra nella letteratura di viscerali e indissolubili storie d’amore. Storie d’amore, e di reciproca appartenenza, istintive, incomprensibili agli stessi amanti, e ancor più agli spettatori o a chi con curiosità ha cercato nei secoli di capire questa affascinante relazione tra i sardi e la Sardegna.
Sarà che tutta l’isola, anche quella a prima vista meno ospitale, selvaggia, e a uno sguardo superficiale inaccessibile, può offrire tante risorse e possibilità; se capita e curata è accogliente e ospitale, e questo grazie alla ricca biodiversità che la contraddistingue, e al sapiente adattamento che l’uomo ha saputo operare.
Certo negli ultimi decenni è un po’ venuta a mancare questa simbiosi tra l’uomo e i diversi ambienti, soprattutto con quegli ambienti che meno si prestano a essere integrati in una visione socio-economica influenzata da nuovi modelli, suggeriti dalla modernità, che sconsigliano di insistere caparbiamente in attività poco convenienti, o troppo difficili e sacrificanti. L’uomo e la natura avevano da sempre vissuto in perfetta armonia, e il problema della sconvenienza veniva superato adeguandosi a un’accettabile e soddisfacente convivenza.
Da millenni l’uomo non sfugge alle leggi della natura: le subisce, ma ne è pure complice. Nei tanti angoli dove ancora sopravvive la Sardegna che si confronta quotidianamente con la natura questo rapporto appare ancora evidente, ma di difficile comprensione a chi da generazioni ha sostituito ai principi della natura filosofie dettate probabilmente più dalla lontananza da quel mondo che non, come erroneamente in tanti affermano, da progresso e razionalità. Così più la natura è una sconosciuta, più le sue leggi universali vengono interpretate come barbarie, retaggio di primitività, per molti da eradicare e da combattere.
Il rispetto totale che sfocia nel sacrificio che ripaga per quel rispetto è visto come un paradosso intollerabile.
In Sardegna sopravvive chi ancora si lascia ispirare dai principi de su connotu (letteralmente il conosciuto, definizione utilizzata per sintetizzare l’insieme delle conoscenze pratiche e filosofiche della cultura popolare sarda), che sa di poter disporre nel tempo delle risorse solo utilizzandole con raziocinio e parsimonia, e solo all’interno di quelle leggi universali, dove anche la proprietà privata non è un diritto assoluto, ma un diritto civile, da rispettare, che però non deve giustificare dannose deviazioni nell’azione sul territorio.
Le risorse non possono essere governate da un pensiero logico ma privo di esperienza; e l’esperienza insegna a considerarle frutto di una natura benigna se curata e assecondata nelle sue leggi. Un pensiero non certo prerogativa del sardo, ma che in Sardegna, più che altrove nel mondo occidentale, ha ancora una buona importanza nell’influenzare il dibattito e le scelte nei diversi livelli decisionali. Scelte come il ricorso alla multifunzionalità, allo sfruttamento qualitativo di tante risorse invece che quello quantitativo di una sola. Insomma l’antitesi della monocoltura che tanti danni sta provocando al patrimonio delle biodiversità. Patrimonio che in Sardegna è incommensurabile, ma che necessita di equilibrio.
Una biodiversità che trova ideale esemplificazione nell’ecosistema della quercia da sughero, regina e custode di una varietà numericamente e qualitativamente da primato.
Le sugherete caratterizzano la Sardegna, sono il maggior scrigno di varietà vegetali e animali del Mediterraneo, fra i più importanti su scala planetaria.
La quercia ben si presta ad accogliere la massima varietà: per la robustezza e profondità delle sue radici, che pescano nutrienti dai sottosuoli granitici per poi metterli a disposizione, trasformati, nel ciclo naturale; per la resistenza agli incendi, in un territorio in cui anche il fuoco ha alta incidenza, e importanza rigeneratrice (ma anche esso appare troppo spesso solo come un nemico agli occhi di chi non conosce l’equilibrio della natura).
Questa resistenza agli incendi ne fa cingolo della rinascita post fiamme: la quercia protegge dal troppo caldo, dalle gelate e dalle raffiche di maestrale la macchia che si rigenera, e ne alimenta la ricrescita col suo humus; E ancora la quercia mantiene umidità nei periodi siccitosi e trattiene il terreno nelle forti pendenze, essenziale per la tenuta idrogeologica. E offre le ghiande, principale alimento per tanti roditori, ungulati, volatili e bestiame domestico.
Le sue chiome a chiazze non coprono mai del tutto il terreno, permettendo il rigoglioso sviluppo della macchia mediterranea (lentisco, mirto, corbezzolo, ferula, euforbia, erica, filirea, cisto, alaterno, infinite varietà di erbe da pascolo e officinali…). Macchia che offre mille possibilità di rifugio e sostentamento alle innumerevoli specie che proliferano in un perfetto equilibrio, quello stesso equilibrio del rispetto ripagato dal sacrificio da cui ha preso esempio su connotu.
Roditori, donnole, serpi, lucertole e gechi, rapaci, lepri e conigli, cinghiali, ricci, volpi, cervi, i cavallini della Giara, insetti, uccelli stanziali e migratori. E animali domestici, altra importante caratterizzazione e grande risorsa economica: capre, pecore, suini, vaccini, cavalli e asini; quadrupedi questi che meritano particolare rispetto in Sardegna, quasi simbolo dell’isola e dei suoi abitanti, caparbi, resistenti, testardi, e tanto utili in passato che ormai sono allevati solo in segno di gratitudine. Molte di queste specie sono endemiche e hanno sviluppato particolari caratteri perfettamente adattati all’ambiente Sardegna.
Ma sono davvero decine gli ambienti, e le specie che li popolano, che si susseguono, a volte sovrapponendosi, in Sardegna. Grandi distese di olivastri e dei loro discendenti, gli ulivi, spesso principale motore dell’economia grazie all’altissima qualità dell’olio che si produce: ancora una volta la natura a prima vista difficile, quali le colline granitiche ad esempio, ripaga con eccellenza qualitativa; oscure foreste di lecci, che lasciano poi il passo alla roverella; la variegata vegetazione, e biodiversità animale, dei corsi fluviali, dei torrenti, degli stagni e delle paludi.
E la ricca agrobiodiversità, selezionata in millenni dall’uomo, che vede punte di eccellenza in tutto il Campidano, o ai piedi dei principali massicci, il Gennargentu, il Monte linas e il Limbara, e nelle colline che compongono gran parte del territorio. Eccellenze con varietà spesso uniche, carciofi, legumi, cereali, decine di ortaggi tipici, centinaia di tipologie di pere, mandorli, castagni e alberi da frutto, vitigni fra i primissimi ad essere addomesticati nel bacino del mediterraneo, almeno dai tempi dei nuragici. Eppoi il mare, forse l’elemento più noto, importante tramite per lo scambio con le altre civiltà sin dalla preistoria.
Ma biodiversità non è solo varietà di specie, è pure varietà di culture, stili, produzioni tipiche, abitudini comportamentali che sono state influenzate e suggerite dal territorio e dalle frequentazioni e sovrapposizioni di popoli.
E anche questa varietà in Sardegna è ricca e affascinante: dalle costruzioni megalitiche alle influenze spagnole, pisane o piemontesi, dai ponti, le strade e i luoghi di villeggiatura degli “odiati” imperialisti romani alle contaminazioni medio orientali, dalle città costiere, avamposti di civiltà marinare del passato, ai castelli arroccati sulle montagne e sparsi in tutta l’isola.
La fortuna di essere un isola ne ha fatto una Terra ricca di varietà tipiche e ha operato una costante difesa e preservazione del patrimonio naturale e della sua peculiarità, e al contempo la fortuna di essere crocevia ha incrementato consistenza e qualità di questa varietà, naturale e culturale. Neanche i sardi, suoi viscerali amanti, conoscono fino in fondo la Sardegna e le sue sfumature, tanto è ricca, cangievole e spesso nascosta.
Che bella storia da innamorati cotti , mi fa venire nostalgia e tristezza perchè la Sardegna non la conosco anche se me la sento nel sangue.
E l’effetto Isola, l’ho capito quando ero in Inghilterra perchè era la stessa emozione che gli Inglesi hanno per la loro terra o anche gli Irlandesi, anzi loro di piu’.
Spero tanto che un giorno avro’ tempo di fare un viaggio come vorrei ma l’età me lo fa diventare sempre un po’ piu’ difficile.
Grazie per avermelo mandato.