Siamo a Casablanca da poche ore, non abbiamo definito un itinerario e partiamo verso Sud. Prendiamo la N1, una strada nazionale lunga 2403 km che collega Tangeri a Lagouira e corre lungo la Costa Atlantica in alcuni tratti.
Percorriamo 350 Km circa e arriviamo a Essaouira, parcheggiamo nella piazza adiacente la porta Bab Marrakech ed entriamo in Medina.
È quasi buio, è estate, ma la brezza salata dell’Oceano si sente forte.
Le strade sono strette, alcune scure, intasate da residui di cibo, viscere di animali e gatti magri.
Veniamo dritti da 3 settimane di Sudafrica, un paese ampio, e l’impatto col Marocco fa l’effetto di un giubbottino in pelle extra slim.
Ci perdiamo quasi subito, cerchiamo un Riad situato nella vecchia Medina, accanto al quartiere Mellah Qadim.
Chiediamo a diverse persone, non capiamo bene il da farsi, andare a destra o a sinistra, poi giriamo l’angolo ed è dritto davanti a noi.
È il tipo di accommodation che cerco, un Riad storico, con arredamento tipico e spazi caldi color ocra giallo, qualcosa che soddisfa gli occhi e la voglia di esotico in perfetto stile maghrebino.
Avevo prenotato per telefono ma al nostro arrivo scopriamo che è in overbooking.
Tra le città visitate Essaouira, l’antica Mogador, è quella che maggiormente rispetta gli standard di un paese in crescita, la parte nuova è un cantiere aperto, la temperatura sempre mite la rende una meta appetibile in tutte le stagioni.
Il turismo è in crescita e gli investitori stranieri non stanno a guardare.
Il proprietario ci accompagna verso un Riad nuovo di zecca: “non c’è ancora nelle guide, ma non resterete delusi”.
Entriamo, appena ristrutturato, manca il fascino di un vissuto da odalische ma sul piano comfort nulla da dire.
Siamo al primo piano con vista sul patio, abbiamo il bagno in camere e fa talmente fresco che dormiamo con le coperte.
Il proprietario è francese, ha rilevato un rudere e l’ha trasformato in macchina procaccia clienti.
La mattina dopo incontriamo Fatima, è pagata per governare gli spazi.
Prepara una colazione mista francese/marocchina con pane arabo e marmellatine riposte in piccoli tajine smaltati, color terra di siena bruciata, di quelli poco turistici che usano i locali. Con la stessa cura versa il te à la mentenella tazzina, dall’alto verso il basso e viceversa.
Andiamo a visitare la citta.
La Medina è patrimonio Unesco, nel 1756 i francesi decisero di fortificarla e il risultato fu un notevole esempio di architettura militare, la Qasba, ovvero la cittadella fortificata che veglia sul porto è tra le cose da vedere.
Poco lontano si trova il Museo Sidi Muhammad ben Abd Allah che raccoglie collezioni entografiche di gioielli, costumi, pitture, tappeti e armi.
Il sapore di Essaouira è malinconico, come la sua insalata zaalouk, la città è ancorata all’Atlantico in un abbraccio violento e la Skala au Port offre quest’immagine ai predatori di emozioni direttamente dalla sua terrazza.
La mattina Fatima si ferma a parlare con me.
Il Marocco è in crescita dice e i proprietari si fidano di lei, mi stringe forte prima di partire.
Lasciamo l’Atlantico con un nodo in gola, inoltre non ho comprato le scarpe di rafia multicolor che ad Essouira vendono in ogni angolo, ma penso che potrò trovarle anche altrove.
Riprendiamo la N1 e giù verso il Sud, prossima tappa Tafraoute.
Passiamo per Agadir e il traffico ci suggerisce quanto il paese macini presenze turistiche.
I negozi di surf la fanno da padrone in un’atmosfera suggestiva e speziata.
Proseguiamo ancora e dopo oltre 5 ore di viaggio raggiungiamo il sito montuoso dell’Anti Atlas, un luogo magico dall’atmosfera rarefatta.
Il mio compagno di viaggio cerca dei blocchi imponenti per fare bouldering e probabilmente siamo nel posto giusto.
Abbiamo prenotato in pieno centro storico, presso l’Hotel Salama, è pomeriggio e andiamo a scoprire il territorio.
L’Anti Atlante è rosso e delicato e non lontano dal paese di 5000 anime circa troverete la Valleé d’Ait Mansour, una palmerie che vi farà dimenticare come vi chiamate e da dove venite.
Dall’altra parte c’è invece un’attrazione turistica che non vogliamo perdere.
Le Painted Rocks, le famose “rocce blu” dell’artista francese di origine belga Jean Vérame che, ha dipinto 12 enormi rocce di blu e rosa con 19 tonnellate di vernice.
L’opera di “arte pubblica” risale al 1984 e leggenda vuole che i locals diano una manina di vernice ogni tanto per ripristinar il colore.
Prendere una posizione a riguardo è difficile, una colata di materiale sintetico su quelle rocce sarebbe da condannare, ma lo spettacolo è incantevole e il sito è diventato un’attrazione turistica importante per il territorio.
A Tafraoute la gente passa tutto il giorno fuori casa, donne, vecchi e bambini compresi. Tutto un brulicare di persone impegnate in attività avvolte nel mistero.
La sera inizia lo spettacolo degli incantatori di serpenti, il tramonto è rosa come i massi che circondano il paese.
I suonatori, i profumi, le creme all’argan, rendono l’aria calma e frizzante allo stesso tempo. Non ci sono stress qui e questo carosello di sensazioni continua fino a tardi, fino alle mille e una notte, e dico sul serio.
Il sapore di Tafroute è lungo e intenso come la zuppa harira, il sapore di Tafroute è quello emanato dalle donne berbere.
Le incontriamo nelle valli e si coprono il volto quando passiamo.
Nascondono la bocca e bloccano il velo con una mano, lasciano intravedere uno zigomo. E mentre loro diventano più donne noi diventiamo più curiosi.
A volte è chiaro che ridacchiano la sotto, mentre i loro occhi raccontano il resto.
Inizio a usarlo nello stesso modo, è un gioco che voglio provare. Mi copro un po’ il volto quando vedo uno sguardo.
D’altronde, l’intelligenza femminile si è adattata nei secoli a qualsiasi tipo di imposizione religiosa e culturale, trasformando consuetudini in momenti di poesia.
TO BE CONTINUED…