Dice il giornalista di civiltà cattolica Padre Francesco Occhetta, relatore a Cagliari del convegno-lezione Giornalismo e democrazia organizzato dall’ordine dei giornalisti, che il futuro del giornalismo sarà sempre più locale, “meglio concentrarsi su un tipo di informazione locale”. Rimarranno pochi quotidiani nazionali che potranno contare su grandi nomi, copertura economica e capacità di innovazione.
Democrazia e giornalismo: il futuro del mestiere di scrivere
Il convegno ha affrontato il rapporto tra democrazia e giornalismo, e per spiegarlo si è discusso su cosa sia diventato oggi questo mestiere: quali sono i motivi per cui si è arrivati a questa crisi di identità. Si, perché oltre ai problemi economici, dati dal crollo abissale del numero di lettori (si calcola che in vent’anni si sia perso il 50% degli acquirenti dei quotidiani) e dell’acquisto di spazi pubblicitari, c’è un problema di definizione del mestiere di giornalista. Insomma, a cosa serve la professione in un mondo dominato da una sovrapproduzione abnorme di informazioni?
Arrivano dalla rete, dal lavoro sul campo e in misura sempre crescente da un esercito di opinionisti. Questo è un aspetto preoccupante, perché se il “giornalismo è comunicazione, la comunicazione non è giornalismo”. Il mestiere è cambiato, la funzione di informare e formare deve realizzarsi diversamente. Ci vogliono certamente più competenze per poter arrivare a più lettori possibili, ma non si possono dimenticare le regole d’oro del giornalista, il quale deve puntare alla qualità. Deve poter scrivere sui fatti e farlo con la massima libertà, per arrivare ad una “verità sinfonica”, (felice definizione del relatore).
La crisi
La crisi dell’informazione è causata anche dal cattivo rapporto tra giornalismo e democrazia. I due aspetti fondamentali della vita civile si comportano come due vasi comunicanti, se prevale l’uno scompare l’altro. “E’ un discorso lunghissimo”, afferma Occhetta, “si può però affermare che per poter fare questo mestiere, e difendere la struttura democratica, non si debba mai abbandonare gli insegnamenti della nostra Costituzione. Ancora oggi possono costituire un punto fermo nella infinita navigazione che rappresenta la vita contemporanea”.
Fino a vent’anni fa, la nostra vita si poteva definire come un cammino, dove c’era un principio e una conclusione, dove i passi per l’apprendimento erano chiari, dove si andava sempre avanti e mai si tornava indietro nella conoscenza. Oggi la dimensione della crescita è molto più complessa, si potrebbe chiamare l’era della navigazione. La metafora dice che non esiste una direzione chiara, si può andare avanti o tornare indietro. Ci si salva se si riesce a trovare fonti attendibili, sfruttare la ricchezza di informazioni e conoscenze a disposizione, oppure perdere alcune tappe del processo di conoscenza e apprendimento, mettendo in pratica una sorta di analfabetismo di ritorno. Si chiama, d’altronde, società liquida, senza confini definibili chiaramente.
Certo, i padri nobili che i nostri genitori hanno potuto ammirare e usare come punti di riferimento non ci sono più. Oggi, per contro, dobbiamo faticare parecchio per riconoscere la qualità. Non è scomparsa, ma è confusa nella smania di protagonismo quotidiano. Bisogna, insomma, saper riconoscere le vere fonti, sapere a chi dare la nostra fiducia.
Stesso identico discorso vale per il giornalista, deve instaurare un rapporto di fiducia con il lettore. Non un rapporto solo affettivo, ma deve anche saper dire verità scomode che possono anche non piacere al pubblico. Non basta poi dare la notizia sul fatto, ci sono una infinità di canali che portano notizie. Il giornalista, deve fare di più: contestualizzare e interpretare la notizia. Ciò che può fare solo lui, poiché è deputato e certificato a farlo.
Futuro possibile
Ci sono stati diversi interventi amari dal pubblico. Alcuni ragazzi hanno chiesto come si può portare avanti degnamente questa professione se la precarietà economica è una infinita condizione, non più come la giusta gavetta ma una condizione sempiterna. La paura di perdere il lavoro condiziona la libertà del giornalista nei confronti dell’editore, del potere politico o economico.
“È tutto vero e vi capisco”, dice ancora Occhetta, “ma la nostra non è una crisi economica passeggera, è una crisi strutturale. Bisogna progettare diversamente il mestiere, impadronirsi degli strumenti multimediali, cercare di mantenere alta la qualità e la fiducia dei lettori. Usare il web in modo molto più organizzato, insistere infine sull’informazione locale”. Gli editori, per ora, sembrano non ascoltare.
Certo ci sembra un po’ deludente pensare che il destino dell’informazione sia quello di restringere sempre più il campo. Occuparsi solo del locale: regione, città, quartiere, vicino di casa. E ciò è ancora più paradossale quando la rete occupa ormai le nostre vite. Non si rischia di impoverire ancora di più l’informazione lasciando spazio ad un oligopolio che non avrà più interesse ad indagare davvero sulla realtà? E il rapporto tra giornalismo e democrazia non verrebbe alterato ancora più di quanto non lo sia oggi?