In occasione della Giornata Internazionale dei diritti della Donna, scelgo di lasciarmi ispirare da una donna che, fra tante, è in grado di farmi sognare un mondo lontano e di uscire, per citare Dante nel settecentenario dalla sua morte, dalla “natural burella”, che rappresenta l’Inferno dei nostri tempi, “a riveder le stelle”, per ritrovare un po’ di luce e di speranza.
“Un periodo difficile come quello attuale, nel quale l’umanità vive un’esperienza globale e simultanea di fragilità – spiega l’astrofisica Ersilia Vaudo, Chief Diversity Officer dell’ESA – ha mutato il nostro sguardo. Pensavamo di poter controllare il futuro prossimo, ma l’inaspettato ci ha colti di sorpresa. E’ stato anche un periodo in cui la scienza è tornata al centro dell’attenzione pubblica, le competenze hanno fatto la differenza ed il linguaggio della comunicazione è stato fortemente tecnico, creando una più larga familiarità con concetti come probabilità, percentuali e crescita esponenziale. Inoltre la spinta verso la open science, preprints e la rapida disseminazione di risultati, che era già in corso prima della pandemia, ha avuto un nuovo impulso che potrebbe stabilire nuove consuetudini”.
Tuttavia le donne sono ancora sottorappresentate nella comunità scientifica, e affrontano numerose barriere per affermarsi in ambito accademico e lavorativo, e il divario è alto anche a livello salariale. Come si spiega questo gap e come può essere colmato?
Questo è un tema molto importante, che comincia a diventare anche un problema politico. Per esempio al G7 di Taormina del 2017, i Paesi più industrializzati hanno approvato per la prima volta una Roadmap sulla gender equality che prevede obiettivi e azioni da intraprendere per promuovere l’empowerment economico delle donne, al fine di garantire maggiore equità di genere. E’ stata affrontata in questa occasione anche la questione della scarsità di donne in ambito STEM, relativo cioè a scienze, tecnologia, ingegneria e matematica,. Occuparsi di questo tema non è più solo la cosa giusta, ma anche la cosa più intelligente da fare.
Immagino sia anche un problema di formazione. In Italia solo il 16,5% delle donne si laurea in materie scientifiche, contro il 37% degli uomini. Come se lo spiega?
Esiste un paradosso. Dal 2012, nei paesi OECD, la maggioranza dei laureati sono ragazze. Le giovani donne che oggi entrano sul mercato del lavoro sono infatti più istruite dei loro coetanei praticamente ovunque. Dovrebbe quindi essere naturale dedurne che questa dinamica risulti pervasiva anche nei passi che seguono. E invece no. Dopo la laurea comincia un processo di dispersione di talenti e competenze che si accentua ad ogni passo. Le donne hanno più difficoltà a trovare un lavoro e i divari si intensificano ulteriormente col tempo. Le carriere delle donne risultano ancora mediamente più difficili di quelle degli uomini. A parità di posizione e competenze, guadagnano meno; a parità di qualifiche, hanno carriere più lente o limitate, finendo così per occupare raramente ruoli di vertice e manageriali. Sono poi ancora molto poche le ragazze che scelgono di studiare le materie STEM, che sono quelle col maggiore potenziale di empowerment, cioè di emancipazione, di indipendenza economica, e a più grande progressione occupazionale e salariale, ma sono soprattutto le materie che permettono di occupare quegli spazi dove si immagina e si rende possibile il futuro..
La relativa scarsità di studentesse STEM ha a che fare con i pregiudizi e gli stereotipi di genere?
Il perché di questo fenomeno ha varie dimensioni. Sicuramente è forte l’influenza del contesto in cui si vive, a partire già dalle scuole primarie, quando le bambine formano la loro identità STEM. Cominciano ad aver paura di sbagliare, a sentirsi inadeguate, a pensare che i maschietti possano essere più intelligenti di loro. Ma ha grande importanza anche il contesto familiare: è più probabile che i genitori modulino i discorsi fra maschi e femmine con un contenuto scientifico diverso. Già in tenera età dunque avviene una divaricazione e un allontanamento femminile dalle materie scientifiche. Nelle fasi successive della crescita di una bambina intervengono poi fattori sociali come appunto gli stereotipi, che sono ancora molto forti rispetto alle donne nella scienza. Restare poi fuori dalla matematica significa non poter costruire quelle pari opportunità future su cui poter scegliere in libertà se fare una materia STEM, fare l’astronauta o, perché no, il poeta.
Cosa l’ha spinta a fare l’astrofisica?
Dicevo del ruolo che l’infanzia gioca nella costruzione di sé. Sono nata e cresciuta a Gaeta, una cittadina sul mare. Sono convinta che la possibilità, offerta ai bambini, di vivere all’aperto, a contatto con la natura e i suoi misteri, sia una condizione che getta le basi per una curiosità culturale sulla vita e sui fenomeni che la caratterizzano. Nel mio ambiente familiare inoltre la scienza era molto valorizzata: mia madre era una chimica biologa appassionata di matematica. Nei barattoli della cucina, anziché scrivere “sale”, “zucchero” o “bicarbonato”, scriveva le formule chimiche. In generale, il linguaggio della natura è entrato a far parte della mia vita in modo divertente e naturale. La matematica, per me e per i miei fratelli, era un gioco: mia madre ci leggeva i gialli di Aghata Christie come si risolverebbe un problema di matematica. Soprattutto è importante dire che non c’era un antagonismo tra umanesimo e scienza, erano considerate entrambe sfere importanti della formazione. Avrei potuto tranquillamente studiare filosofia: era nelle mie corde adolescenziali. Ho scelto però di studiare fisica per guardare al di fuori di me, nell’oggettività dello spazio lontano, lasciandomi trasportare in una dimensione che mi faceva sentire libera e mi dava il superpotere di non essere nulla, in confronto all’universo, eppure parte attiva nel cammino della conoscenza.
Molte Agenzie Spaziali, fra cui l’ESA, investono molto sulla parità di genere. Com’è la situazione attuale delle donne nello spazio?
Mi piace ricordare che la terza persona nel mondo ad andare nello spazio fu una donna, Valentina Tereškova, già nel 1963. Ci vollero quasi vent’anni perché arrivasse la prima americana, Sally Ride. Le racconto un aneddoto. Quando la Ride si preparava al volo, gli ingegneri della NASA davano per scontato che ci tenesse a “essere carina” anche nello spazio e progettarono un kit di trucchi adeguato, che l’astronauta rifiutò. Oggi il kit è custodito al National Air and Space Museum di Washington. Da quando è cominciata l’avventura spaziale, le donne sono state circa il 12% degli astronauti, che nell’arco di 60 anni è molto poco. Se guardiamo alla selezione dell’ESA di 11 anni fa, che permise di selezionare Samantha Cristoforetti e Luca Parmitano, le donne che fecero domanda erano solo una su sei. Quindi anche nell’esplorazione spaziale c’è più che mai bisogno di inclusione e di incoraggiamento alla diversità.
In cosa consiste il suo lavoro all’ESA orientato alla gender equality?
All’ESA siamo consapevoli della ricchezza che la diversità culturale e geografica del nostro staff rappresenta, per poter innovare e avvicinarsi al futuro. Ora si tratta di rafforzare altri aspetti, quali la presenza femminile, ma anche la possibilità di includere persone con disabilità. Recentemente l’ESA ha lanciato il progetto di fattibilità “parastronauta” per valutare le condizioni necessarie ad includere astronauti con disabilità nell’avventura dell’esplorazione spaziale. L’esplorazione per noi è anche l’opportunità di affermare i nostri valori europei, tra cui l’inclusione.
Anche lo spazio ha i suoi stereotipi?
Le carriere dello spazio sono tante, e non solo legate a competenze tradizionali come quelle dell’ingegneria aerospaziale. Lo spazio è l’opportunità di esplorare, di svelare i misteri dell’Universo ma anche di contribuire alle sfide di domani, come il cambiamento climatico, la povertà, la pace, o la trasformazione energetica, e fare la differenza. La nuova narrativa che accompagna i mestieri dello spazio ha dato i suoi frutti: siamo passati dall’avere solo il 16% di donne che faceva domanda per lavorare all’ESA all’attuale 30%. L’Agenzia ha anche ottenuto recentemente una certificazione che conferma l’impegno ad adottare misure in supporto all’equilibrio di genere.
E’ possibile conciliare la carriera di astronauta con la vita di una donna nella società?
Assolutamente sì. La vita dell’astronauta richiede il sacrificio di dover passare lunghi periodi fuori casa, ma questa condizione ha un impatto nella vita di uomini e donne allo stesso modo, e del resto capita anche in molte altre professioni di doversi allontanare dalla famiglia per diverso tempo. Credo che per un figlio/a sia molto importante anche vedere la passione di un genitore per il suo lavoro. Dopo di che, la possibilità di conciliare la vita professionale con la vita privata dipende anche dalle misure adottate in seno all’organizzazione per facilitare questo equilibrio, e l’ESA è molto impegnata in questo senso .
Ieri il rover Perseverance ha effettuato il test drive percorrendo i suoi primi metri sul suolo marziano. E’ possibile ipotizzare per il futuro un viaggetto su Marte a scopo di vacanza?
Atterrare su Marte è estremamente difficile. Finora le missioni che sono riuscite ad effettuare l’”ammartaggio” sono solo il 40%. Perseverance fa parte di una serie di missioni cui parteciperà anche l’ESA a partire dal 2026 insieme alla NASA, che avranno lo scopo di prelevare, raccogliere e riportare sulla Terra dei campioni di Marte allo scopo di studiarli. Marte è fondamentale per dare risposta ai grandi quesiti dell’umanità: comprendere le origini della vita, studiare l’evoluzione del pianeta che per un periodo aveva condizioni ambientali simili a quelle degli albori del nostro Pianeta, e preparare per una futura presenza umana. Riguardo a questa ipotesi dovremo aspettare ancora un po’, probabilmente dal 2040 in poi, e riuscirci sarà un’emozione straordinaria.