L’incontro che è avvenuto ieri 29 giugno presso l’Istituto Enologico “Francesco De Sanctis” di Avellino, dal titolo “Taurasi, the king of Southern Italy”, ed organizzato dal Consorzio di Tutela Vini d’Irpinia, ha avuto successo, ha ricevuto un largo consenso ed ha visto la partecipazione di numerose cantine presenti al convegno, non solo della Verde, associazioni del territorio, stampa ed istituzioni.
Tutto ciò, oggettivamente tangibile agli occhi dei presenti, è stata la dimostrazione di una fiducia diffusa e meritata nei confronti del neo eletto presidente del consorzio Teresa Bruno e verso tutto il cda di questo organismo vitale per la vitivinicultura irpina, consorzio che si accinge con non poche difficoltà a raccogliere grandi sfide, con spirito di determinazione e sacrificio, recuperando possibilmente i gap ereditati dal precedente ventennio.
Entro le mura della Regia Scuola Enologica di Avellino, tra le tre più antiche e prestigiose d’Italia, l’organizzazione ha dato appuntamento a relatori ed invitati al fine di discutere sul tema “Come costruire un marchio territoriale: creiamo il Brand Irpinia”, dando al dibattito un certo tocco di internazionalità. Infatti, oltre al coinvolgimento di Teresa Bruno, vi hanno preso parte Gianfranco Sorrentino nel ruolo di presidente del Gruppo Italiano, associazione di stakeholders molto in voga negli States, nonché proprietario del noto ristorante newyorkese “Il Gattopardo”, il presidente Matteo Ascheri, a capo del Consorzio Tutela del Barolo, Barbaresco, Alba Langhe e Dogliani e, in rappresentanza della Regione Campania, la dott.ssa Mariella Passari, direttore generale dell’Assessorato delle Politiche Agricole. Malgrado gli ingenti mezzi di comunicazione non è stato possibile entrare in collegamento con Stevie Kim, managing director di Vinitaly International, così come si è rilevata la grande e significativa assenza di Rino Buonopane, presidente della provincia di Avellino, per quanto pare avesse confermato l’impegno.
A modulare la frequenza di un eccesso di democristianità, da parte della referente regionale, arriva l’intervento di Maurizio Petracca che perlomeno ha tenuto a fare pubblico voto di ammissione rispetto ad una condotta politica sul territorio quantomeno mediocre, ribadendo l’importanza di rientrare in un disegno di legge regionale, da lui proposto sulla sporta del modello marchigiano, a favore dell’Enoturismo. D’altro canto è bene far rilevare che anche stavolta si è persa l’occasione di parlare seriamente dell’assenza delle strade del vino nella loro funzione e, sempre qualche politico presente, ha accampato a scuse citando i tanti chilometri da ricoprire, manco se in altre aree d’Italia i percorsi enoturistici fossero fatti per aria.
Significativo è stato l’intervento di Matteo Ascheri, non soltanto per gli oggettivi spunti di riflessione da trarre sulla capacità di un consorzio di essere autonomo, dinamico ed orientato al compito, contando sulla responsabilizzazione di tutti i soci e sulla volontà di intraprendere innumerevoli iniziative, ma anche di essere promotore di una politica del marketing mirata all’Estero. Lo stesso presidente del consorzio piemontese ha tenuto a ribadire che la compagine vitivinicola da lui rappresentata non presenzierà al Vinitaly nella prossima edizione e che le fiere, pur certo utilissime per anni, abbiano fatto il loro tempo, così come le guide ed un certo modo di fare enocritica d’altronde.
Altrettanto interessante l’intervento del prof. Pietro Caterini, dirigente scolastico dell’Istituto Enologico irpino, che ha molto sollecitato alla coesione, ribadendo da buon padre di famiglia la necessità di trasmettere alle nuove generazioni l’eredità di una terra rigogliosa e ricca, mettendo a disposizione come sede del Consorzio dei Vini di Avellino l’istituto stesso, location emblematica e simbolo della vitivinicultura per tutto il Mezzogiorno d’Italia.
Visto il titolo dell’evento “Taurasi, the King of Southen Italy”, verrebbe da dire che di questo vino emblematico si è parlato sin troppo poco durante il dibattito, eccetto quando Franco Mazzariello, consigliere provinciale, ha citato Arturo Marescalchi, famoso enologo piemontese, affermando che “il Taurasi è il fratello maggiore del Barolo”, oltre a fare buone osservazioni sullo spaccato sociale irpino; per quanto ci si renda conto che lo scopo fosse trattare tematiche inerenti alla edificazione del “Brand Irpinia”, legittimo però da parte del pubblico il desiderio di assistere ad una relazione sull’evoluzione del disciplinare, sulla zonazione e la provenienza delle uve, inclusa i diversi caratteri del rosso più famoso del Sud Italia, relazione che incautamente o volutamente non c’è stata.
Altrettanto legittime le osservazioni da parte di alcuni tra i presenti rispetto all’eccesso di termini anglofoni e proclami, fosse null’altro per il titolo della manifestazione, in una terra in cui l’analfabetismo della lingua inglese interessa l’80% circa degli imprenditori e degli attori della vitivinicoltura, incluso il dubbio su una sorta di propensione all’esterofilia nell’esprimere la volontà di formare brand ambassador attraverso la rinomata Academy del Vinitaly, quando invece si dovrebbe forse avere più considerazione delle risorse interne, poiché la sostenibilità e la difesa di un territorio, oltre ad essere ambientale ed economica deve poter essere anche sociale, soprattutto in una terra che vede sempre meno nascite e la fuga di giovani in altre aree, quando invece bisognerebbe investire prima su di loro.
Facciamoci pertanto due domande sul perché ad Atripalda, tra le città irpine più popolose, le nascite oggigiorno stanno a 65 annue, perché la provincia è a grave rischio di spopolamento e per quale motivo i giovani, malgrado tutte le aziende e la ricchezza del territorio, non trovano lavoro.
Meglio addestrare soldati in patria che mercenari all’estero, mi verrebbe da dire… e tutto sommato anche questo dovrebbe fare brand, visto che di donne e uomini capaci ad assolvere al compito ce ne sono a iosa e molti di loro da anni lo fanno anche gratuitamente, senza che nessuno se ne accorga talvolta, forse perché troppo distratti a trafficare con certe agenzie di comunicazione che, se stiamo ancora a dover edificarlo questo benedetto brand, in fondo avranno lasciato il tempo che trovano, mancando evidentemente l’obiettivo. Oltretutto prima di investire per un’immagine esterna al paese, la riconoscibilità di questo territorio dovrebbe essere ricostituita dalle fondamenta per dare il valore che merita anzitutto entro il panorama vitivinicolo nazionale, rimodulando al rialzo il costo medio delle referenze enologiche irpine visto che sono anche fin troppo cheap rispetto a prodotti di altre aree d’Italia, evidentemente meno validi qualitativamente.
Lavorare quindi per far conoscere meglio le eccellenze enologiche irpine, facendo in modo che vengano apprezzate da campani ed italiani anzitutto, studiando opportune strategie per collocarli in una più degna e meritevole fascia di prezzo, visto il loro indiscusso valore qualitativo e raffinatezza. E questo, a scanso di equivoci, con la benedizione che possano aprirsi al più presto delle ottime negoziazioni coi mercati esteri e che si instaurino proficue sinergie coi wine top players internazionali, esattamente come auspicato durante il dibattito.
Non si è parlato però di educazione alle imprese, di formazione sui mercati esteri, di strategie di neuro marketing, indicizzazione e posizionamento, di quali modelli di leardership un capitano di industria debba conoscere e quando applicarli e neanche della blockchain che d’altronde, per quanto attiene alle certificazioni, riveste un ruolo fondamentale sulla reputazione aziendale, oltre che del prodotto, ed ha effetti garantiti sulla penetrazione di mercato proprio in diverse aree del globo di grande appetibilità da parte del consorzio, tecnologia questa confacente agli obiettivi come si riscontra da ben oltre un lustro in Nord Europa, Cina, Canada e Stati Uniti. Ne vogliamo davvero fare tutta una questione di brand ambassador o vogliamo pensare a rendere l’imprenditore vitivinicolo irpino più responsabile del suo destino economico, più performante e più propenso a fare gioco di squadra anzitutto, piuttosto che dar delega sempre a terzi?
Lodevole la disamina del presidente Bruno, persona che si è dimostrata energica, appassionata e capace di guardare avanti, oltre che a dedicarsi completamente e con abnegazione al duro compito che le è stato assegnato. Il suo saggio intervento non ha mancato di chiarire che occorre anzitutto evitare i personalismi e ribadire che serve una chiara identificazione tra denominazioni preesistenti e territorio, troppo spesso identificati con i nomi di cantine blasonate.
Durante la manifestazione sono stati consegnati due riconoscimenti per omaggiare chi quotidianamente da anni si adopera in maniera concreta per questa terra: il “Premio Consorzio Vini d’Irpinia”, pensato per una istituzione o per un soggetto che abbia contribuito alla notorietà territorio, e “Orgoglio Contadino”, nato con l’obiettivo di valorizzare questa fondamentale figura, creato per essere assegnato ad un agricoltore che si sia distinto lavorando con impegno per portare il proprio contributo alla crescita del territorio. Il primo è stato assegnato a Pietro Caterini e il secondo, uno dei momenti più toccanti di tutta la manifestazione, a Teresa Peluso, un’arzilla contadina di 92 anni che si prende cura da sempre delle sue vigne.
Impeccabili come sempre i sommelier di scuola AIS chiamati alla mescita ai banchi di degustazioni e a narrare le peculiarità dei vini offerti, sotto l’attenta guida di Annito Abate, delegato della sezione irpina, e alla presenza di uno smagliante Tommaso Luongo, neo presidente dell’Associazione Italiana Sommelier al timone della Regione Campania.
L’auspicio è che questo Consorzio possa farsi valere, perseguire tutti i suoi obiettivi e riscoprire che tutto ciò che occorre è attorno a sé, poiché grande è il tesoro su cui l’Irpinia del vino siede, un blocco granitico che solo gli abitanti di questa terra possono scolpire, tirando fuori un’anima che già esiste e che attende di venire alla luce con un impeto ben maggiore di come è stata raccontata fino ad oggi. Forse quello che Matteo Ascheri intendeva dire era proprio questo: siate ambasciatori di voi stessi ed affermatevi meglio sul suolo patrio, senza delegare altri se non i vostri vini, le vostre genti e la vostra bellissima terra, prima di ogni altra cosa.