Pensare a un porto rimanda spesso all’atmosfera fascinosa tipica dei luoghi in cui si mescolano le culture, in primis da un punto di vista economico ed in fin dei conti anche culturale. Soffermarsi a osservare un porto dà una sensazione quasi straniante, quel via vai di imbarcazioni, magari di lusso, magari ordinarie, magari mercantili.
Il porto ha una funzione molto importante, quasi un ruolo chiave per la vita di un paese: è un punto di fiorente ricchezza, non tanto perchè ricco in se stesso quanto perchè punto di diffusione di essa.
E questo i popoli conquistatori l’avevano capito subito.
Il Mediterraneo ha rappresentato il baricentro del commercio medievale fino al 1492, data ufficiale della scoperta dell’America, quando il fulcro degli scambi marittimi cominciò a spostarsi verso l’Atlantico.
I prodotti maggiormente in “voga” presso i porti erano per lo più materiali di uso comune, stoffe, metalli, ceramiche edilizie, soprattutto alimentari, che venivano spesso esportati o importati dal momento che non tutto era reperibile facilmente.
Ma ha grande rilevanza anche la funzione del porto nel suo versante artistico. Infatti bisogna considerare che nel Medioevo l’arte era un mero prodotto commerciale. Un artista aveva una libertà pressochè nulla sulla sua opera, dal momento che era il committente a decidere l’iconografia, le dimensioni ed altri parametri del lavoro.
Arte era sinonimo di potere, sempre carica di messaggi iconologici ben precisi, legati spesso al potere politico. L’artista era poco più che un artigiano e più che altro si occupava delle forma e dello stile. Chiusa questa parentesi, che ci è utile per capire quanto sia distante il sovracitato sistema di arte-su-ordinazione dall’arte odierna, in cui l’artista opera per propria volontà e secondo i propri canoni estetici, infischiandosene di tutto e di tutti, possiamo valutare con occhio più obiettivo la capacità di irradiazione posseduta da un porto: in quel sistema è chiaro che un prodotto artistico veniva esportato o importato esattamente come poteva farsi con i lingotti, con la seta o con il pesce.
Anche oggi succede su per giù la stessa cosa, basti vedere la vivacità del mercato dell’arte, o i siti d’aste on-line in cui con un click ci si può appropriare di lavori più o meno meritevoli.
E come giravano le opere, giravano le culture, filtrate (ma non troppo) dai porti mediterranei per insinuarsi nell’entroterra e dilagare, diffondersi e radicarsi per poi essere di nuovo spazzate via e nuovamente ricostruite.
Le popolazioni dei conquistatori spesso miravano ai porti perchè dominarne uno situato in posizione centrale o comunque strategica significava avere un ruolo di egemonia, sia dal punto di vista politico-militare che commerciale e quindi economico; infatti, ad esempio, le nuove scoperte geografiche miravano proprio a quello. Pare ovvio che con la conquista vada di pari passo la diffusione della cultura e dell’arte di quel popolo, a volte per imposizione forzata, talvolta per integrazione spontanea tra due popoli di etnie differenti.
Un caso splendido di area portuale scenario di movimenti di agguerrite conquiste nel corso dei secoli è sicuramente il Corno d’Oro, in Turchia.
La leggenda narra che i bizantini vi avessero gettato un numero tale di oggetti preziosi da rendere le sue acque luccicanti d’oro. Infatti Bisanzio, attuale Istanbul, la perla della penisola, ha una posizione favorevole per gli scambi, ma un po’ periferica rispetto al mondo greco e per questo spesso isolata dai movimenti militari (ma questo non fermò le popolazioni più accanite). Fu un luogo ideale per l’insediamento, il preludio a una città che avrebbe visto fiorire una delle civiltà più raffinate e squisite.
Bisanzio, fondata dai coloni di Megara, divenne Nova Roma o Costantinopoli sotto l’enorme Impero di Costantino che ne fece la nuova capitale (precedentemente Roma). É così che cominciò l’ascesa di questa città circondata dal mare.
Un profondo progetto di innovazione architettonica fu pensato e messo in atto da Giustiniano per il quale abbellire architettonicamente la città equivaleva affermare la sua potenza politica. Gli attacchi che la città dovette subire furono innumerevoli, ed ognuno contribuì a costruire la fascinosa storia di questa città, che nel corso dei secoli ha preso il nome di Istanbul, ufficializzato solo nel 1930.
In ogni caso la leggenda del Corno d’Oro ha ragione d’esistere dal momento che l’oro è uno degli elementi che maggiormente caratterizzano l’arte bizantina, un’arte ricca e colma di sfaccettature, spesso malcompresa vista la sua apparente staticità dal punto di vista figurativo, ma di certo grandiosa poiché affascinante punto d’incontro di culture orientali, contemporaneamente centro di emissione e propagazione d’arte.
Infatti Istanbul risente di forti influssi turco-ottomani, dal momento che proprio da questi fu conquistata nel 1453, e sotto di essi rimase fino alla prima guerra mondiale, in cui questi furono sconfitti, diventando parte della Repubblica di Turchia, la cui capitale fu spostata ad Ankara.
La dominazione ottomana portò molte modifiche alla città, che era un importante punto di riferimento spirituale. Tutte gli edifici religiosi furono convertiti in moschea, secondo l’usanza del popolo conquistatore.
La Basilica di Santa Sofia, uno dei simboli primari della città portuale di Istanbul, ben si ricollega alla leggenda del Corno poiché i mosaici che costituiscono le sue decorazioni interne sono ricchissimi d’oro: inizialmente aniconici (cioè privi di icone, secondo i canoni indetti imposti dal moto iconoclasta, in cui i santi non potevano essere raffigurati come uomini ma solo come simbolo) furono successivamente integrati con cicli evangelici e scene che poi diventarono canoniche del Dodecaorton1.
La luce è un elemento di vasta importanza, infatti la basilica possiede numerose finestre ed aperture, soprattutto nel corpo centrale, sotto la cupola maggiore, che risulta anche più ampio rispetto alle altre aree.
Essa si riflette sulle parti auree delle decorazioni, creando effetti molto suggestivi, come se l’interno della basilica fosse naturalmente illuminato di luci dorate, che conferiscono alla struttura leggerezza e dimensioni più estese, creando inoltre un effetto di contrasto con gli ambienti più nascosti delle navate laterali che risultano invece più bui.
Purtroppo lo stato dei mosaici non rispecchia più la radiosità che essi dovevano possedere ai tempi d’oro -consentitemi il gioco di parole- ma possiamo arrivare a capire quanto per i Bizantini il prezioso metallo fosse uno status symbol che affermasse la loro supremazia, non solo nella basilica di Santa Sofia, ma di conseguenza in tutte le loro costruzioni religiose e nei loro manufatti. Con un po’ di deduzione la conclusione viene spontanea: se l’oro era usato in maniera così diffusa non è difficile immaginare cosa sarebbe successo se i Bizantini l’avessero disperso tutto nelle acque del Bosforo. Sarebbe diventato un mare dorato, e così la storia lo ricorda per ribadire nel corso del tempo la meraviglia e lo splendore di questa antica civiltà.
[1] Il Dodecaorton è la rappresentazione delle dodici grandi feste dell’anno liturgico bizantino: Nascita della Madre di Dio e sua presentazione al tempio; Annunciazione; Natale di Gesù; Presentazione di Gesù al Tempio; Battesimo; Trasfigurazione; Ingresso in Gerusalemme; Resurrezione; Ascensione; Dormizione della Madonna; Esaltazione della Croce.