Con il termine “artigianato” il dizionario identifica «l’insieme dei prodotti fatti dagli artigiani», ovvero coloro che esercitano, con particolare maestria, un’attività lavorativa a livello familiare o con un numero limitato di operai. Il lavoro artigianale, in ossequio a tale definizione, implica infatti un’esperienza comprovata, spesso frutto di anni di apprendistato, applicata a una manualità quasi innata.
Famosa in tutto il mondo per le sue produzioni artigianali, l’Italia stenta oggi a trovare per i suoi prodotti la posizione di rilievo che questi ultimi richiederebbero. Sarti, calzolai, panettieri, vetrai, parrucchieri e tappezzieri sono ormai prodotto raro e scarsamente messo in rilievo in una società globale e veloce che, prima di tutto per una questione culturale, e in seconda battuta politica, non offre agli artigiani la possibilità di avvalersi di reti economiche e sociali tali da offrire garanzie e vetrine adeguate.
Può capitare che nessuno in una famiglia sogni o decida di intraprendere un percorso da artigiano, desiderando magari per i propri figli un diploma o una laurea. Può capitare, inoltre, che intrecciare cestini, disegnare, tagliare e imbastire vestiti, partendo da un cartamodello, non sia più visto ormai come un mestiere dignitoso e soddisfacente, ma come una strada in salita, spesso poco remunerativa e qualche volta anche umiliante per la persona.
Come afferma il Direttore di Vogue Italia Franca Sozzani, che sull’artigianato si sofferma spesso fra le pagine del giornale che dirige e sul suo blog, «spesso però il mestiere dell’artigiano è visto come manovalanza, rinnegando quella che è invece la vera essenza del termine: l’abilità di realizzare o inventare o ricreare un oggetto. L’industria fa miracoli, ma un abito su misura non ha paragoni. Primo perché è unico, secondo perché creato sul tuo corpo, terzo perché realizzato tutto a mano».
La scomparsa di tali mestieri rappresenta un doppio danno per la società. La perdita di manodopera e lavoro, che in un pase con uno dei più alti tassi di disoccupazione in Europa diventa preoccupante, e l’estinzione o l’assottigliamento di una buona fetta della borghesia la quale dovrebbe rappresentare per un paese la parte viva e vitale dell’assetto sociale.
Tali lavori, veri e propri scrigni di abilità non più tramandate, racchiudono inoltre nelle pieghe degli abiti, nelle cuciture, nelle volute del ferro o nei decori della ceramica, la memoria del passato che, insieme all’avanzare del tempo, si conserva intatta nei gesti che accompagnano la lavorazione della materia prima e la restituiscono, diffusa e condivisa nel mondo, anche grazie al mercato globale. Proprio grazie all’artigianato e agli artigiani, dunque, l’accessorio o l’oggetto fatto mano diventano non solo il biglietto da visita più autorevole di un territorio, ma anche un museo itinerante, nel mondo e nel tempo, della terra che li genera. Veri e propri “Tesori nazionali viventi”, come vengono definiti in Giappone.
In un mondo sempre più generalista si ha bisogno che la cultura della diversità pervada ogni ambito della vita. Dall’oggettistica alla moda, passando per i cibi e l’arredamento, il diverso, il “non riproducibile”, può diventare segno di distinzione e volano di un’economia ormai asfittica. Lo avevano capito Gabriele D’Annunzio e Coco Chanel e lo aveva compreso bene quella meravigliosa donna che era Diana Vreeland, la quale dedicava tanta attenzione all’artigianato per i suoi mirabolanti servizi di moda. Lo capiscono oggi anche coloro che, disposti a molti sacrifici pur di uscire dal pantano dell’autocommiserazione e della disoccupazione, hanno deciso di inventarsi la loro manualità, il loro prodotto e, di conseguenza, il loro lavoro.
Ecco perché diventa necessario che le istituzioni, attraverso azioni organiche mirate, incentivino la cultura dell’artigianato partendo dalle scuole per arrivare al sostegno economico del piccolo imprenditore che, nei nostri tempi, deve affrontare un mercato globalizzato in un territorio depresso economicamente ma ricco in termini di tradizioni e tecniche di lavorazione della materia prima. Bisogna inoltre che il piccolo imprenditore stesso apprenda dal mondo globale le lezioni giuste e necessarie per non chiudersi in un mondo autoreferenziale e proporsi con i giusti strumenti (internet in primis) al mercato.
Per quanto riguarda la terra di Sardegna, ricca di storia e di saperi, il discorso appare quanto mai valido. Dal pane al tappeto, dai cestini al ferro, passando per la pelle, la carne, il vino e il dolce tipico, l’Isola si delinea come la Wonderland dell’artigianato.
Da luglio 2014 è online il nuovo portale dedicato all’artigianato sardo www.sardegnaartigianato.com. Finanziato dall’Unione Europea e realizzato e coordinato dall’Assessorato del Turismo, Artigianato e Commercio e da BIC Sardegna Spa, avvalendosi delle adesioni di numerosi maestri artigiani del territorio, offre al visitatore schede dedicate alla materia prima e ai relativi maestri che la lavorano. Metalli, vetro, intreccio, pellame, tessuti, gioielli, legno, coltelleria e ceramica aprono infiniti percorsi fra i tesori sardi. Capaci di creare i tappeti con il decoro a fiamma o a Pintura bindighi lunas e calighes (disegno a quindici lune e calici), come La Tessile Crabolu a Nule, le ceramiche irregolari e colorate, ispirate alla tecnica giapponese del Raku, o i buccheri intensi, assoluti e primordiali, come quelli di Giampaolo Mameli a San Sperate, le lame risplendenti realizzate da Giacomo Siddi a Sinnai, i ferri battuti leggeri come un soffio di vento, come quelli di Roberto Ziranu a Nuoro, o borse di pelle (“Concetti cuciti a mano”) dal design prezioso come quelle di Matteo Loi, i maestri artigiani si dimostrano stimolati dall’incontro fra la tradizione e l’innovazione.
Il mercato e i meccanismi che lo regolano si adeguano alle spinte del nuovo che avanza e che stenta a trovare spazio. Esplode sul territorio sardo, e non solo (a Roma lo spazio de Le Artigiane in via di Torre Argentina 72 e a Milano il MyTemporaryShop in Corso Garibaldi 44) il fenomeno del temporary shop (pop-up store, pop-up retail, temporary store o pop-up shop, ovvero spazi temporanei offerti agli artigiani) e sorgono piccoli e grandi eventi.
Citiamo nel capoluogo sardo e hinterland gli immancabili Campidarte, Creative Corner Market, Grande Jatte, e il Lunamark, che offrono la ribalta a creatori emergenti come Valentina Schirru, che insieme a Nicoletta Cogotti, inventa il progetto fotografico/artigianale COLORS _Cagliari a colori per raccontare la città di Cagliari dal punto di vista del colore andando a caccia di dettagli e scorci da proporre su cartoline, magneti e pannelli capaci di restituire le emozioni di un’intera città. La Schirru, già ingegnere edile e architetto, dopo svariati lavori inerenti il suo titolo di studio, ha deciso di coltivare la sua indole creativa perché «la chiave della svolta è la contaminazione fra arti e saperi differenti».
Ormai inimitabile anche il prodotto di Foresta Mentale Chiaresca di Chiara Affinito. Fra il design, il sogno e l’artigianale, l’artista propone personaggi, animali, forme e linee ottenuti con i bottoni. Dal gufo al gatto, dal Piccolo principe al pesciolino, tutti creati assemblando bottoni grandi e piccoli di ogni forma e colore, l’artista realizza il suo mondo interiore per suscitare empatia in chi osserva e acquista i suoi lavori. Dichiara: «La difficoltà più grande è economica. Vorrei che almeno ci fossero normative più chiare e che si andasse incontro ai giovani imprenditori. Non parlo di contributi, ma di detassare l’ingegno e la voglia di farcela. Essere artigiana è una follia, però preferisco essere in regola, essere pronta a puntare più in alto!».
Ormai un mito per gli estimatori dell’hand made, Giulia Marini, in arte MicettaMinù, realizza borse, astucci e accessori con tessuto vintage, pom pom di lana e materiali come la perline, le matite e altro materiale sartoriale. Laureata in letteratura con una tesi su Samuel Beckett, sostiene come sia impossibile in questo paese emergere con le sole proprie forze ma di crederci fino in fondo poiché «non farlo sarebbe come non credere in se stessi». Tutte queste esperienze raccontano di un sustrato di persone, alcune giovanissime, che riconoscono nella creazione artigianale la risposta ai problemi economici e alla crisi.
Anche nelle passerelle di Alta Moda, Valentino, Dolce e Gabbana e Antonio Marras affidano la più alta espressione della loro arte, ognuno secondo il proprio stile, alla scelta dei tessuti, alla tecnica dello stampato e alle linee, alcune d’antan e altre nuove. La designer di gioielli Claire Fouché da anni ormai collabora con i maestri artigiani del Kenya. Percorsi nei quali la manualità e la tecnica, ottenuta con anni di lavoro, prendono quasi il sopravvento sul semplice design. Consapevoli o meno del fatto che uno scossone culturale applicato al lavoro artigianale spetti di diritto a questo paese, non possiamo che prendere ancora una volta atto delle parole della Vreeland. Se è vero che «the only real elegance is in the mind», bisogna fare in modo che il resto venga favorito dal giusto contesto. We can!
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Un panorama ricco che esprime pienamente le potenzialità di un territorio. Si legge bene.
Un articolo davvero interessante e fresco. Bravo Matteo per l’articolo e per dare il tuo contributo all’artigianato.
Grazie infinite a Matteo Tuveri per il bellissimo articolo… È un grande onore per me, un motivo di orgoglio che mi spinge, nonostante le difficoltà del momento, a non mollare mai, andare avanti e migliorare sempre. Daltronde “per aspera sic itur ad astra” no? Grazie ancora dal profondo del cuore