Per quanto la famiglia del Refosco sia composta da diversi vitigni non si può dire che il Refosco dal Peduncolo Rosso sia strettamente associabile a loro: infatti durante gli anni ’80 e ’90 sono state effettuate diverse ricerche su questo varietale e fatte verifiche ampelografiche, isoenzimatiche e molecolari, persino comparazioni con altri cultivar viticoli, i cui risultati hanno dimostrato non solo che il Refosco per antonomasia è appunto quello dal peduncolo rosso ma persino che questo vitigno sia più prossimo alla Corvina, al Pinot Nero, al Piculit Neri ed al Primitivo che non agli altri cosiddetti refoschi; d’altronde negli anni addietro numerosi studiosi quali Lodovico Bertoli, il primo ad associarlo al Pinot borgognone, Gottardo Canciani e Guido Poggi davano maggiore rilievo a questo vitigno, rispetto alle altre tipologie, esaltandone le caratteristiche sia dal punto di vista agronomico che enologico. Le origini di questo vitigno, così chiamato per via della colorazione rossiccia del peduncolo ad invaiatura e maturazione compiuta, sono antichissime e le prime tracce storiche, quelle più attendibili, riconducono ai comuni di Faedis e Torreano in provincia di Udine, per quanto il nome col quale viene chiamato oggi verrà assunto soltanto alla fine dell’800 ed entrerà nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite nel 1971.
La cantina di Euro Parovel è stata fondata nel 1898 dal suo trisavolo Pietro Parovel, anno in cui vennero impiantati i vigneti e gli oliveti che in buona parte si possono ammirare anche oggi, tutti nel comune di San Dorligo della Valle sulle colline del Rio Ospo. In pieno territorio del Carso il piccolo paesino confina proprio con Koper, la nostra vecchia città di Capodistria, fa circa 5700 anime e si trova a poco più di 100 metri sul livello del mare. Il nome di questa cittadina risale almeno al XIV secolo e deriva dal dialetto tergestino “Dorligo” o “Durlic” chiaramente riconducibile al Sant’Ulderico, suo patrono. In realtà le prime tracce di insediamenti umani risalirebbero alla preistoria, insediamenti stanziali che per conformazione e fattura sono stati messi dagli studiosi in correlazione con la popolazione degli Istri e di cui sono ben visibili le tracce: infatti nell’area in cui si apre la Val Rosandra si possono ammirare due imponenti villaggi protostorici, sono i cosiddetti castellieri di monte San Michele e monte Carso. Dopo una probabile sconfitta dell’esercito romano questi luoghi sono stati successivamente testimoni della caduta dell’antico regno istro, diventando la colonia romana di Tergeste, una volta fondata la quale venne principiata la costruzione dell’acquedotto, oggi conservato ancora in perfetto stato, unitamente a ville rustiche e necropoli. Tanto la viticultura che l’olivicultura sono state praticate da tempi remoti in queste terre, considerate crocevia per scambi commerciali anche in epoche successive come il Medioevo e fino all’Età Moderna.
Il vigneto di sei ettari da cui provengono le uve di Refosco dal Peduncolo Rosso è ubicato in un territorio cerniera tra l’Italia e la Slovenia, guarda a Sud praticamente verso l’area istriana ed affonda le radici in terreni di matrice calcareo argillosa con presenza di marna, magnesio e ferro. Le viti, accarezzate dal clima mediterraneo con influenza continentale, hanno un’età variabile compresa tra i 30 ed i 60 anni, vengono trattate con cura e durante la vendemmia, verso fine settembre, vedono una selezione dei grappoli molto accurata sul posto; al termine della vendemmia manuale si procede con la diraspatura ed una pressatura soffice con macerazione prefermentativa a freddo, quindi fermentazione alcolica in inox a temperatura controllata, dopodiché fermentazione malolattica in barrique di rovere francese, dove il vino affina per circa 10 mesi, ed infine successivi 6 mesi in bottiglia.
Il Barde Imà Refosco dal Peduncolo Rosso Igt 2010 alla vista è limpido, sfoggia un colore rosso rubino di grande profondità e si presenta di media struttura grazie agli archi abbastanza fitti ed alle gocce che lentamente si srotolano. L’esame olfattiva rivela una nota fruttata piacevole e baldanzosa di melograno, ribes nero e mora selvatica, l’erbaceo del timo serpillo e del basilico essiccato ed un piacevole sentore di tè nero con un finale sottile, quasi balsamico, incuso tra il cuoio e la posa di caffè. La superfice liquida investe il palato con sapidità e freschezza innanzitutto, poi affiora una trama tannica garbata che fa in modo la beva snella non sia scivolosa. I sentori retronasali sono interessantissimi nei riconoscimenti del fruttato annusato in precedenza, adesso con la marasca sotto spirito persino, ma si avverte anche il raspo d’uva, l’aromaticità mediterranea ed una nota di radice di liquirizia che ne estende la persistenza, abbastanza buona. La degustazione conferma un vino di espressività tanto varietale che territoriale che dopo 10 anni svela di poter dare ancora di più tra qualche anno, senza tradire il suo nome: infatti Imà, dallo sloveno “on ima“, significa “lui ha”. Abbinamento sublime con medaglioni di sella di cinghiale marinato al Barde Imà con ginepro ed alloro, su purea di castagne di Montella Igp e salsa di ribes nero.