La storia, così come per la maggior parte degli autori americani, inglesi e italiani di fine ‘800, vorrebbe l’invenzione del jenever, che poi gli inglesi hanno chiamato gin, sia stata realizzata da Franciscus de la Boë, o de la Bouve, medico olandese originario di Leyda che iniziò a distillare il ginepro per ottenerne una bevanda tonica, utile per i reni affaticati e con proprietà diuretiche. D’altronde le bacche di ginepro hanno avuto da sempre specifiche caratteristiche medicamentose, essendo antinfettive, antiossidanti, antifungine e antireumatiche, oltre ad essere considerate utili persino per la cura di disturbi quali la gotta, gonfiore intestinale e la dispepsia, migliorando quindi il processo digestivo.
Un po’ di storia del gin…
In effetti le origini del gin sono documentabili a partire dal XIII secolo in Olanda appunto, per quanto non avesse le odierne caratteristiche, acquisite nel corso del tempo col miglioramento dei processi produttivi e dell’arte della distillazione. Il gin divenne effettivamente popolare nel Regno Unito quando il condottiero olandese Guglielmo d’Orange si insediò sia sul trono scozzese che inglese. Incoraggiando oltretutto la distillazione di bevande alcoliche, tanto che il volume produttivo del gin superò quello della birra; fu da allora che le distillerie britanniche iniziarono a produrre la lor versione di genever, abbreviandone il nome in gin. La bevanda era chiamata anche “coraggio olandese” e iniziò ad essere apprezzata anche durante la Guerra dei Trent’anni, oltre che impiegata nelle colonie infestate dalla malaria, così da contrastare il sapore amaro e sgradevole del chinino, impiegato appunto come antimalarico.
E se il gin fosse nato a Salerno?
Tuttavia alcune scuole di pensiero vorrebbero le origini del gin conducano in Italia, come sosterrebbe Gary “Gaz” Regan, famoso bartender di origini inglesi, diventato celebre scrittore negli Stati Uniti con libri quali The Joy of Mixology, Gaz Regan’s Annual Manual for Bartener’s e, fra i tantissimi altri, The Bartender’s Gin Compendium. La tesi sull’origine italiana del gin avrebbe, in particolar modo, tre fondamenti:
L’esistenza della Scuola Medica Salernitana, la più importante istituzione in Europa durante il medioevo che, oltre ad avere avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo della medicina e ritenuta la prima università, diede un fortissimo impulso al processo di distillazione, custodendo i segreti dell’acqua teriacale; la creazione, sempre ad opera della Schola di Salerno, del primo orto botanico, il Giardino della Minerva, che oltre ad essere diffuso nel resto d’Italia, divenne un modello per lo svedese Carlo Linneo, padre della nomenclatura binominale per la classificazione scientifica degli organismi viventi; infine la riconosciuta eccellenza italiana nella coltivazione del ginepro, attestata da Pietro Andrea Mattioli già a partire dal 1544 e che individuerebbe nella Toscana, in particolare a Siena, il luogo di elezione, per quanto un’ampia diffusione di questo grande arbusto sempreverde si evidenzi in tutte le regioni dove regna la Garriga e la Macchia Mediterranea, quindi anche in Sardegna.
Molto probabilmente i medici ed i botanici della Scuola Medica Salernitana si cimentarono nella distillazione di tantissimi elementi, anche al fine di applicare la teoria degli umori di Galeno: attraverso gli alambicchi passava la vinaccia, la birra e il sidro, e il risultato non poteva che essere aromatizzato al ginepro. A supporto della tesi del Regan ci sono anche numerosi riferimenti, presenti in testi italiani e stranieri che, dal Medioevo ad oggi, confermano quanto distillati e liquori di ginepro fossero utilizzati e diffusi in tutta Italia: spesso si trattava di acqueviti ed acque aromatizzate per scopi medicinali, dalla filiera produttiva lunga e difficoltosa, ove la quantità di ginepro utilizzata come eccipiente era quadrupla rispetto ad ogni altro elemento, e quindi da considerarsi affini ai gin come li intendiamo oggi. È pertanto indiscutibile il contributo che alchimisti, medici, monaci e fabbri, diedero perché l’acquavite e il gin evolvessero, come non di meno l’interessante ricetta di Alessio Piemontese, risalente al 1555 e contenuta nel suo libro “De’ Secreti”, il cui risultato al termine della distillazione vedeva un liquido “chiarissimo come l’acqua” e sicuramente contenente le profumatissime bacche di ginepro.
Sarà il tempo e l’approfondimento delle evidenze tramandateci che sfaterà o confermerà la tesi di Gaz Regan sull’italica paternità del gin, fatto sta che nel 2023 il mercato globale di questo distillato si è attestato su 16 bilioni di dollari, cifra che pare destinata a crescere di 4,1 punti annui percentuali fino al 2032, mercato che in Italia ha visto un consumo superiore agli 815 milioni di litri lo scorso anno.
Il gin secondo Pasquale La Piccirella…
Nel mare magnum di aziende che producono gin, a dispetto dei pochissimi distillatori censiti presenti sul territorio nazionale, non mancano artigiani di eccellenza della distillazione e tra questi è proprio il caso di annoverare Pasquale La Piccirella.
Pasquale è nativo di San Severo, in provincia di Foggia, ed è classe del ’74. Dal suo sito è possibile sapere molto di lui, potrete leggerlo da qui, ma quel che è certo è che è uno spirito libero, un mediterraneo e una persona a cui piace la musica rock fatta come Dio comanda e il cinema d’autore. Nel 2021, all’età di 47 anni, fonda la Mattia’s Spirits a San Paolo di Civitate ed inizia la sua avventura artigiana nel mondo della distillazione, con una particolare predilezione per il gin. Nel giugno del 2022 esce Billie Gin, la sua prima bottiglia. Ve la raccontiamo…
Note di degustazione del Billie Gin…
L’effluvio alcolemico è lieve, a dispetto dei quasi 44°, ed è calibrato benissimo, creando un piacevole pizzicore al naso, una carezza delicata e stuzzicante al tempo stesso. Dopo un’idea iniziale di lieve brezza marina, una profusione di ginepro di tutte le sfumature ammanta ed ammalia l’olfatto, facendo da apripista al profumo di dragoncello e ad un concerto di pepi: verde, nero tostato e del Sichuan, con il suo tocco aromatico e floreale al tempo stesso; non mancano le note agrumate di pompelmo rosa, limone e lime, poi un ricordo di daikon e radice fresca di zenzero, d’alga marina e acqua di rose.
In bocca è equilibrato grazie a un gioco di contrasti e contrappesi che si fondono e fanno coro, grazie ad una rotondità iniziale e, in successione, freschezza agrumata e rintocchi salmastri, con un certo kokumi effect e il ritorno dell’acqua di rosa, del pepe e del pompelmo rosa con rintocchi di piccantezza. Consiglio vivamente di annusare il calice una volta prosciugato del gin e percepire il ricordo di limone e rosa, riscoprendo il profumo nascosto di origano. Finalmente un gin in stile London Dry non fatto a stampo, da meditazione. Ostriche come se non ci fosse un domani, ma non un abbinamento qualsiasi: le ostriche San Michele, allevate nella laguna di Varano, proprio in quella bellissima riserva naturale che è parte integrante del Parco Nazionale del Gargano.