Basilicata e briganti: alcune lettere
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Omme se nasce, brigante se more, ma fino all’ultimo aimme sparà e si murimme menate nu fiore è ‘na bestemmia pe stà libertà, è ‘na bestemmia pe stà libertà

Sempre alla ricerca di avvenimenti e personaggi che riuscissero a catturare l’interesse degli spettatori delle piazze, la tradizione dei cantastorie meridionali, che come sappiamo risale al medioevo, ad un certo punto incontrò i Briganti, che entrarono a pieno titolo nel repertorio musicale del tempo. I briganti entrati in guerra per difendere la loro terra. Passati dal canto alla guerra, dalle chitarre alla scoppetta, da un tempo di pace, alla lotta contro l’invasore. Ma se la diffusione dei testi dei cantastorie a quei tempi era il principale strumento di comunicazione di massa, i cantastorie vennero quindi investiti inconsapevolmente di fini politici e sociali, soprattutto nell’Italia post Unitaria, quando la figura del brigante carico di quell’aurea leggendaria di umanità e spirito di sacrificio per la patria non poteva essere accettata in nessun modo. Così la figura del brigante meridionale cambiò dal periodo preunitario a quello post unitario, e mentre il popolo continuava ad idealizzare la figura del brigante come eroe leggendario e benefattore, gli intellettuali tentavano in tutti i modi di denigrarla in nome della creazione di un identità italiana unitaria.

Amm pusat chitarr e tambur
pecchè ‘sta music s’adda cagnà.
Simm brigant e facimm’ paur,
e cu ‘a scupett vulimm cantà.
E le brigantesse?

Tra i tanti nomi che sono giunti fino ai giorni nostri quello di Maria Oliveiro, “ La brigantessa delle brigantesse”, pare essere quello che maggiormente ha stimolato la produzione musicale dei cantastorie dell’epoca. Nata nel 1841, non conosciamo con precisione la data della sua morte, ma sappiamo però in che modo è morta, condannata mediante fucilazione alla schiena, venne alla fine condannata al carcere a vita da scontare nella prigione delle Finestrelle in Piemonte. La sua storia è legata con forza al tema dell’onore e della famiglia. Decise di entrare in lotta dopo l’ omicidio di sua sorella Teresa. Si travestì da uomo, e sì unì al marito nella lotta, come molte altre sue coetanee, e quando lui perse la vita in battaglia, decise di prendere il comando. Ciccilla, così veniva chiamata. La narrazione che esce fuori dal racconto delle vite dei briganti, dalle storie, dalle parole dei cantastorie e della musica popolare, e della letteratura, è quella reale? I cantastorie possono rappresentare alla luce del nostro modo di intendere la comunicazione come giovani antenati dei mass-media, che con i loro canti, la maggior parte scritti in ottave, fungevano da specchio della realtà del tempo, maneggiandola con la musica, e creando auree leggendarie attorno ai personaggi che rendevano protagonisti. L’attendibilità storica dei cantastorie deve però sempre scontrarsi con la questione che riguarda la tradizione orale. Lo strumento orale rimane infatti sempre libero e aperto alle trasposizioni di significato,e anche alle idealizzazioni leggendarie. E’ difficile fare quindi una distinzione netta tra realtà e mito nella cultura che aleggia attorno alle storie dei briganti e delle brigantesse Italiane.

La musica popolare tradizionale legata alla vita delle brigantesse, chiamate con un termine dispregiativo anche “ drude”, sembra idealizzare fino all’osso la vita di quelle che furono donne coraggiose, abili, forti e desiderose di libertà, ma che non bisogna mai dissociare anche da una carica di violenza e spirito sanguinario non indifferente. Tanti gli aspetti di queste donne che si potrebbero analizzare, dall’aspetto fisico, estremamente mascolinizzato, al rapporto con la femminilità, forte ma a tratti contrastato, alla questione dell’onore, all’importanza della loro lotta in relazione all’emancipazione femminile del tempo. Una battaglia nella battaglia quella delle brigantesse, la loro partecipazione alla lotta era un modo per fuggire dalla gerarchia familiare e imporre la propria presenza nella società, così come nella battaglia.

“ Chiamateci Brigantesse e avete ragione
non dite assassine perchè anche noi abbaiamo sentimenti,
ma abbiamo scelto questa vita
montagna e dolore
per difendere questa terra dall’invasore”.

“ Tu, che stai li prigioniera, perché sei donna del sud, così bella così fiera, nella consapevolezza, che più forte del brigante, non puoi esserci che la sua brigantessa”.

Ribelli e spietate, violenti e crude, non possono essere lasciate in disparte nel dibattito relativo a quegli anni per un solo motivo, combattevano una loro guerra personale, ancor prima di combattere una guerra di popolo. Le brigantesse, infatti, con il loro modo di essere donne, e con la loro partecipazione alla battaglia, compirono il primo passi verso quel processo di emancipazione femminile, che tutt’ora non è concluso

“ sul tuo cuore una bandiera che non hai tradito mai, sul tuo viso un sorriso che per sempre porterai.” .

L’immagine che ci è giunta è quella di una donna vestita in abiti maschili, dalla femminilità nascosta, molto spesso repressa, forti e audaci come gli stessi uomini che sostenevano in battaglia. Ma erano veramente così , Luigia Cannalonga, Maria Rosa Marinelli, Maria Capitanio, Gioconda Marini, Mariannina Corfù, Chiara Nardi, Filomena Pennacchio, Arcangela Cotugno, Elisabetta Blasucci, Teresa Ciminelli, Filomena Pennarulo, Luigina Vitale, Giovanna Tito, Maria Lucia Nella, Maria Consiglio, Filomena di Pote, Maria Orsola D’Acquisto, Carolina Casale, Maria Pelosi, Rosa Giuliani, Michelina De Cesare, e tutte le altre giovani donne delle quali non ci è giunto il nome ne la storia? Partiamo da Michelina de Cesare, la donna a cui Eugenio Bennato, sempre nel solco della tradizione della musica popolare, ha dedicato una canzone, “ Il sorriso di Michela”. Sottoposta ad atroci torture Michelina de Cesare, preferì morire piuttosto che tradire la fedeltà della sua banda. Aveva solo vent’anni quando venne catturata insieme a suo marito Francesco Guerra e ad altri compagni, il giorno successivo venne spogliata ed esposta nella pubblica piazza . “Donna del sud, donna bianca, donna nera”, dice ancora Bennato. Donna dalla doppia faccia, amante fedele, ma anche spietata giustiziera.

Femm’na bell’ ca dat’ lu cor’
se ‘stu brigant’ u vulit’ salvà
nun c’ cercat’ scurdat’v’ o nome
chi ce fa a guerra nun tien’ a pietà
chi ce fa a guerra nun tien’ a pietà

Donne per salvarci, dimenticateci, abbiate paura di chi ci fa la guerra, poichè non ha pietà.

Quel modo di essere donna, così viscerale e profondo ma non tanto da non poter affrontare una guerra, non troppo per non scegliere di ritrovarsi nude di fronte alla lotta e alle battaglie, che con la loro crudeltà riuscirono a cacciare da queste donne la parte più nera e assassina. E allora cancellare la femminilità diventava una necessità, un opportunità per combattere insieme agli uomini, per rendersi utili. Ma nonostante tutto, quando venivano incarcerate ritornavano ad essere donne devote e femminee, tornando a dedicarsi al ricamo di fazzolettini dedicati ai loro uomini. Sono tante le storie di queste donne del sud, Filomena Pennacchio, la regina delle selve, Maria Maddalena de Lellis, la Padovella, la scrittrice di lettere sanguinarie, ecc ecc. Mentre molte di loro sono rimaste nell’anonimato, altre invece hanno lasciato i loro nomi e le loro storie incise negli annali dell’unificazione di questo paese. Le possiamo immaginare, idealizzare, anche grazie a quell’aurea romantica che le loro esistenze si sono lasciate dietro, anche grazie a coloro che hanno musicato la loro idea di femminilità, anche grazie a coloro che raccontandole ci ha dato la possibilità di leggere di loro e di provare a concretizzare la loro idea. La musica spesso crea un aurea romantica della storia, e in questo caso delle storie. Idealizza in musica vite passate, passate alla storia e da alcuni forse anche dimenticate.

… Contro ‘e surdate ‘e rre Vittorio
mò c’è rimasto sulo sta paranza,
ma nu brigante nun cagna ‘a storia
quanno cumbatte sulo, senza speranza.

E quann’o pigliano ‘ncopp’a muntagna
more senza paura, senza rimpianto,
e quanno ‘e ppigliano dint’e paise
diceno: quann’e bello murire acciso.

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