Venerdì 10, Sabato 11 novembre alle 21.00 e Domenica 12 novembre alle 18.00, sul palco de La Vetreria, nell’ambito della Stagione Teatrale diretta dal Cada Die Teatro, debutta Cielo nero.
Conoscere anche solo un breve frammento della vita di un qualsiasi essere umano coinvolto in conflitti vicini o lontani, è forse il miglior antidoto all’indifferenza con cui si ascoltano i freddi numeri dei bollettini di guerra che i media snocciolano quotidianamente. (Pierpaolo Piludu)
Lo spettacolo, scritto da Francesco Niccolini e Pierpaolo Piludu con la regia di Mauro Mou, è l’ultima tappa di una lunga ricerca sulla seconda guerra mondiale a Cagliari, quando i bombardamenti distrussero oltre il 70% della città, realizzata da Pierpaolo Piludu, in collaborazione con l’Università di Cagliari e con l’Istituto etnografico sardo. La ricerca, iniziata nel 2005, ha generato: un video-archivio con i racconti di 130 testimoni dei bombardamenti, uno spettacolo teatrale dal titolo Cagliari 1943. La guerra dentro casa, un libro edito da Aipsa e il documentario Quando scappavamo col cappotto sul pigiama, prodotto dalla sede Rai della Sardegna, con la regia di Pierpaolo Piludu e Cristina Maccioni.
Al termine della rappresentazione domenicale si terrà un incontro dal titolo Armati di parole, raccontare la guerra per riflettere sul percorso teatrale e antropologico portato avanti in questi anni dal Cada Die Teatro, e in particolare da Pierpaolo Piludu, sui bombardamenti del ’43 a Cagliari. Coordinati da Giancarlo Biffi, interverranno Gianni Filippini, Mauro Mou, Francesco Niccolini, Lorenzo Pavolini, Pierpaolo PIludu e Walter Porcedda sul teatro come opportunità di riflettere, commuovere, indignare, o mostrare i dolori che generano tutte le guerre.
Cielo nero
di Francesco Niccolini e Pierpaolo Piludu /con Pierpaolo Piludu /voci bimbi Luca Pisano e Ousseynou Seck /disegno luci Giovanni Schirru /sonorizzazione Matteo Sanna /organizzazione Barbara Mascia /regia Mauro Mou / produzione Cada Die Teatro
Ortiche. È strano, giocare alle ortiche. Ma ai bimbi di Cagliari, negli anni Venti, piaceva molto: vince chi resiste più a lungo a piedi e gambe nude in mezzo alle ortiche. Sono gemelli, Efisio e Antioco Mereu, e questo racconto li accompagna dai cinque ai trent’anni. Due gemelli che più gemelli di così non si può: si scambiano alle interrogazioni, e pure le ragazze, si scambiano. Eppure sono diversissimi. Efisio è un buono, è riflessivo, incapace di prendere grandi decisioni, studia filosofia, fa il pittore; Antioco è l’opposto: studiare non gli piace, preferisce il lavoro fisico. Se il primo è indifferente al fascismo che si avvicina, il secondo è anarchico e antifascista nell’animo. Uno è fortunato, l’altro un po’ meno. Efisio finisce in Marina e quando scoppia la guerra, la vive al sicuro sul lungo mare di Cagliari, mentre Antioco finisce sul fronte peggiore che ci sia, la Russia. Fino al ’43, quando anche Efisio – insieme a tutta Cagliari – scopre il dolore e il sangue dei bombardamenti americani. La strada verso casa, una casa completamente devastata dalle bombe, dalla fame e dai lutti, sarà molto dura, e quando i sopravvissuti si ritroveranno, quello che li aspetta sarà una grande sorpresa.
“Volevamo raccontare i bombardamenti di Cagliari del ’43, io Pierpaolo e Mauro, ma – studiando quegli anni, le testimonianze e subendo il fascino di Cagliari, della Storia e di tutta la Sardegna – è bastato poco per capire che dovevamo raccontare un arco più grande, e una geografia più estesa: geografia di paesi e città, ma soprattutto di uomini e donne che non vogliamo dimenticare. Protagonisti controvoglia di una storia tragica infinitamente più grande di loro, Efisio e Antioco Mereu sono testimoni silenziosi della rovina di quegli anni, della follia dell’Italia fascista e del delirio collettivo di cui si ammalò il popolo italiano. Testimoni muti, senza voce e senza peso, soldatini di piombo, carne da macello che tutto ha visto e ancora si domanda perché. Un film in presa diretta, un folle volo lungo venticinque anni, dove si torna da una guerra e si parte per un’altra, ci si innamora e si fa a botte, si gioca, si ride e si fa l’amore: insomma si diventa adulti, si soffre di gelosia e solitudine, si seppelliscono i propri cari e una città bellissima e amata diventa un cumulo di macerie. Tutto in un presente continuo dove retorica ed eroismo non hanno spazio, perché la vita è più dura di quello che cantano i poeti, la guerra fa schifo, e non c’è gloria per chi sopravvive né – soprattutto – per chi alla “patria” ha sacrificato la vita.” Francesco Niccolini