Sikitikis
Share

Intervista a Gianmarco Diana, bassista dei Sikitikis

Sikitikis: una forza musicale reale, una volontà di potenza capace di muoversi, di cambiare, e di trasportare nel proprio mondo più generazioni. Il mondo musicale dei Sikitikis è pura volontà, è rappresentazione di una forza che non si arresta, che crea, che cambia; con questo terzo album “Dischi fuori moda”, ci troviamo di fronte ad un momento di sintesi dei due album precedenti, una terza tappa del loro percorso che ci appare come lo sviluppo di una fenomenologia della loro musica in cui ciascuna fase fa parte di un circolo vitale che non starà mai immobile. Entrare nel mondo musicale della città di Cagliari, futura Capitale del Mediterraneo, attraverso i Sikitikis, ci consente di mettere in luce la ricchezza di numerose produzioni locali, risorse preziose in grado di fare cultura e capaci al contempo di offrire un quadro veritiero sulle dinamiche che aprono o chiudono le porte alla città e all’isola che spesso non esprimono il proprio potenziale.

“Sardinia is my nation” è la frase che i Sikitikis enunciano con orgoglio durante i loro concerti. Nel vostro modo di fare e di esprimervi traspare l’amore e il rispetto per la vostra terra e la volontà di non abbandonare le proprie radici. Siete riusciti, dopo dieci anni, a ritagliarvi una fetta di pubblico che vi segue e vi sostiene anche in trasferta, qual è il segreto?

Bisognerebbe chiederlo ai sostenitori e scoprire qual è il motivo che li porta a seguire la band con grande affezione, in vari luoghi della Sardegna e anche fuori dall’isola. I Sikitikis hanno una grande forza che li spinge a continuare, a non mollare. Continuare a fare musica in questo modo, è ormai per tutti noi una necessità.
Il tipo di empatia che si crea tra la band che suona sul palco e il pubblico che sta davanti al palco potrebbe essere una risposta. I Siki sono una band che non crea grandi barriere e questo credo sia uno di quei piccoli segreti per cui ci si lascia trasportare nel mondo vero e proprio della band, seguendone ogni iniziativa.

Sikitikis: un nome nato per caso o nel posto giusto e nel momento giusto?

Per caso direi proprio di no. La scelta del nome fu causa di numerose discussioni interne al gruppo. Ci siamo formati dieci anni fa, inizialmente il nostro repertorio era basato su classici di colonne sonore italiane e americane degli anni ’60 e ‘70 e in quel momento volevamo un nome che richiamasse la cultura del Tiki; per quanto riguarda la prima parte del nome, il Sik (siki- sgrammaticato senza la c) rimanda all’aggettivo inglese sick che ha un riferimento alla malattia mentale, all’essere fuori di testa. Ci piaceva il suono delle due parole insieme e “sgrammaticandole”, ci siamo resi conto che il nome risultava anche palindromo, poteva cioè essere letto nello stesso modo da una parte o dall’altra e questo ci ha definitivamente convinto. (in allegato la breve storia del termine Tiki)

Le conoscenze giuste contano sempre, c’è stato qualcuno che ha creduto in voi e vi ha aiutato ad emergere?

Sarebbe ridicolo dire di no. Tutta la parte d’esposizione mediatica dei Sikitikis, soprattutto al di fuori dalla Sardegna, è nata grazie a Max Casacci, chitarrista e produttore dei Subsonica di Torino, che, per una serie di eventi, fu presente sin dal nostro primo concerto, nel Dicembre del 2000 a Cagliari. Da quella sera, neanche a dirlo, si era già innamorato della band in maniera viscerale soprattutto, a suo dire, per l’attitudine e anche per la capacità rara con cui il gruppo affrontava “il linguaggio” delle colonne sonore, di un certo tipo di musica jazz “colta”, non classica, con gli strumenti del rock e di tutta una serie di esperienze dalle quali noi arrivavamo. Ricordo le sue parole, furono queste: “un gruppo di punk che suona colonne sonore…”; dopo 7/8 anni trascorsi insieme, ci siamo lasciati amichevolmente dal punto di vista professionale. Ora i Sikitikis si sono “accasati” presso un nuovo produttore che è Manuele Fusaroli con il quale abbiamo mandato alle stampe questo nuovo disco “Dischi fuori moda”.

Avrete sicuramente dei riferimenti musicali nel panorama nazionale e internazionale. C’è un legame particolare con la tradizione rock di Cagliari? Penso a quei gruppi molto bravi, dai Dorian gray a Joe Perrino, solo per fare i nomi più famosi. Portate avanti una tradizione cagliaritana rock?

I nomi che hai citato sono dei leoni della scena cagliaritana e tutt’ora sono in pista con i propri rispettivi progetti. In qualche modo, noi siamo figli di noi stessi, non vorrei essere presuntuoso, ma siamo tutti grandicelli, non siamo proprio un gruppo di ventenni, anzi siamo un gruppo di quasi quarantenni. Facciamo musica da tanto tempo e in particolare io e il cantante Alessandro facevamo già parte di un gruppo precedente “Cani da rapina” che, nella scena cagliaritana rock, hanno avuto modo di esprimersi. Erano i mitici anni ’90, cioè erano i miei anni, quelli in cui io avevo 20 anni. I Cani da rapina si sono mossi tra il ‘92 e il ‘97 per poi terminare nel ‘99 e trasformarsi in Sikitikis. I Sikitikis sono figli di quell’attitudine di contaminazione alla luce dell’ulteriore faro delle colonne sonore, che continuo a citare perché sono state l’occasione per fare un vero e proprio laboratorio musicale. Mettersi a suonare musiche da film, composte da Ennio Morricone, Armando Trovaioli o Piero Piccioni è qualcosa che musicalmente parlando “apre il cervello”. E’ cosi che dopo ci siamo ritrovati a scrivere brani e musica con un’attitudine completamente diversa.
Per quanto riguarda gli amici citati, diciamo che, in qualche modo, mi sento affine a Joe Perrino; quando avevo 14 anni, lo vidi su Videolina con le prime immagini girate al Kilton di Assemini, con Nicola che cantava sopra le casse; a lui affettuosamente ricordo di essere stato un po’ il mio “padrino”. E’ stata una delle principali spinte a farmi desiderare di fondare una band, in quel momento una band punk e rockabilly.

Il pubblico sardo è caloroso e partecipa con sentimento ai vostri concerti; la vostra musica parla di alcune situazioni comuni ai giovani e ai meno giovani, affronta delicati temi sociali quali l’emigrazione/immigrazione, la droga, la prostituzione, la solitudine, l’amore, il lavoro. A cosa si deve questa sensibilità alle tematiche giovanili? Avreste anche potuto fare canzonette?

I Sikitikis hanno un pubblico davvero trasversale; ai nostri concerti vedrai la ragazzina di 20 anni attaccata alla transenna in prima fila che fa le fotografie e vedrai nella ventesima o trentesima fila, il quarantenne a cui magari piace tanto la parte musicale. Per quanto riguarda le tematiche, abbiamo trattato principalmente del rapporto di coppia tra uomo e donna, in modo più ermetico nei due precedenti album; per la prima volta invece, in questo terzo album, ci siamo aperti a diversi temi “sociali”. Per esempio in “Salvateci dagli italiani” ma anche in “Avere trentanni” ci troviamo davanti ad una sorta di ritratto generazionale del trentenne/quarantenne inserito in un ciclo di vita fatto di un lavoro che non ti piace ma che ci si tiene stretto, un’uscita notturna dove si usa la cocaina e all’indomani si torna in ufficio ancora sotto l’effetto di questo tipo di schifezze. Questo è un ritratto che ritengo molto forte e forse anche molto “scorretto”, se vogliamo. Ultimamente è aumentata la frangia del pubblico giovane, tra i 19 e i 23 anni, che segue i Sikitikis, mentre prima il pubblico era costituito da giovani tra i 25 e i 35 anni. Di conseguenza abbiamo ritenuto “giusto” offrire anche questo tipo di messaggi.
Per quanto riguarda le canzonette non è detto che non le faremo. “Voglio dormire con te”, il nostro primo singolo estratto da questo ultimo disco, credo sia una canzonetta, nel senso buono del termine, nel senso che Bennato dà a questo termine: “sono solo canzonette”; ma sappiamo bene che una canzonetta è in grado di trasportare l’attenzione e di spostare completamente anche la semiotica di un testo in cui sembra che si stia parlando “solo” di un divano, mentre dietro magari c’è un’intera crisi di valori.

In questi ultimi dieci anni i Sikitikis hanno modificato stile e cambiato pelle?

Nel primo disco, l’approccio era quasi di tipo “fumettistico” e questo riguardava tutto, dal titolo “Fuga dal deserto dei Tiki” alla grafica rappresentata da una pistola stilizzata, il muso di una Giulia della polizia degli anni ’70, fino ai brani contenuti con alcune colonne sonore riprese dai film, e alcuni originali con testi un po’ deliranti come “Amore nucleare”, “Umore nero”, “Donna vampiro” .
Con “B – Il mondo è una giungla per chi non vede al di là degli alberi”, il secondo album, è emersa più la fase di analisi, ma ancora molto arrabbiata; il secondo disco è sicuramente il più scuro, il più rock, un disco totalmente nero, con una grafica rappresentata da un pugnale insanguinato in copertina e una donna stesa morta dietro, molto pulp. Anche qui vengono toccati diversi argomenti nei testi soprattutto nell’ambito delle relazioni personali di uomo e donna.
Con “Dischi fuori moda”, il terzo album, si apre proprio il periodo “solare” dei Sikitikis, e credo che abbia fortemente contribuito la recente paternità del nostro cantante, ma anche la nostra ulteriore crescita, l’essere rientrati in Sardegna, l’aver registrato quel disco nelle campagne di Guspini e di Ferrara; è, da questo punto di vista, un disco “bucolico”, molto più pop, con un’abbondanza di temi trattati con un’ironia un po’ cinica. Penso che l’ironia sia la chiave di volta per questo nostro lavoro.

Conoscete molto bene la storia musicale della città, pensate che la musica possa aiutare a tenere in vita la Sardegna? Il vostro esempio può essere da stimolo per altri?

Direi di si! A Cagliari ci sono diverse band che continuano a produrre, la Sardegna fornisce una serie di gruppi e progetti a 360 gradi, dall’hardcore fino all’elettronica, che la tengono in vita per forza di cose. Quando noi sardi, ed è un procedimento già in atto, impareremo per bene ad essere autosufficienti relativamente alle strutture come gli uffici stampa o di booking le cose miglioreranno. Quello che è successo fino ad ora, e anche noi ne siamo un esempio, è che quando c’è un buon progetto, perché possa essere esportato in un certo modo, è necessario spostarsi fuori dalla Sardegna. I Sikitikis sono dovuti andare a Torino, in Casasonica, per poter “esportare” la band in tutta Italia. Come spesso succede in Sardegna, ci si accorge di quello che si ha, quando ce lo fanno notare da fuori. Quando ti dicono: oh ma, cavolo, in Sardegna avete i Sikitikis? Faccio l’esempio del mio gruppo, ma questo può valere per tante altre cose. Cosi come è successo in ambiti totalmente diversi, recentemente, per Marco Carta e Valerio Scanu. La musica può aiutare la Sardegna a patto che la Regione e le istituzioni, per il benessere culturale dell’isola, riconoscano forza e capacità di promozione anche a progetti che non sono necessariamente di ambito folk-etnico o legati al pop di massa.

Cagliari potrebbe offrire più spazio per far crescere i musicisti locali e la musica in generale? Le amministrazioni pubbliche potrebbero prestare maggior attenzione e stanziare dei fondi per creare e sostenere eventi e festival musicali di un certo livello, piuttosto che soddisfare puntualmente solo un certo target, con valzer e trallaleri vari in piazze che alla fine sono popolate da anziani e famiglie con bambini. Possiamo proporre qualche idea al fine di trasformare Cagliari come meta musicale nel mediterraneo?

Nei nostri dischi abbiamo scritto: “Cagliari ti amo e ti odio”. Cagliari è una città che i Sikitikis sentono fortemente, alcuni di noi hanno inciso “made in Cagliari” sulla propria pelle. L’orgoglio cagliaritano è assolutamente presente, ma questa città ci fa anche molto arrabbiare, perché è una città che non esprime il suo potenziale. Facendo una piccola digressione politica, credo che in qualche modo la classe dirigente della città sia “vecchia” e da svecchiare, e lo dico perché non esiste un’attenzione alle politiche giovanili.
Uno dei simboli culturali e anche di aggregazione culturale e di intrattenimento musicale della nostra città è senza dubbio il lungo mare Poetto. Undici chilometri di spiaggia che però tocca il centro urbano che ancora oggi attende un piano che ne regolarizzi l’uso e le attività. La grande risorsa musicale e di intrattenimento della città era, fino all’anno scorso, l’attività svolta dai cosiddetti chioschetti delle varie fermate del lungomare, in particolare tra la sesta e l’ottava fermata, in forma –ricorderei- “gratuita”, per tutti i cittadini cagliaritani e dell’hinterland e per tanti turisti. Questa risorsa sarebbe dovuta essere regolamentata nei tempi giusti, senza rischiare la paralisi dell’estate. Ciascuno di noi può vedere con i propri occhi il Poetto by night di quest’estate e può verificare da sé che l’affluenza è dimezzata. Senza fare piani apocalittici, né scomodare le lobby e le vecchie attitudini del cagliaritano della classe dirigente, devo dire che i fatti che si stanno verificando incominciano a spaventarci. Noi parliamo chiaro ed esponiamo delle idee, e per questo il gruppo ha deciso di operare a livello comunicativo. Abbiamo deciso di produrre direttamente le nostre date cittadine, senza appoggiarci al promoter esterno, ma impiegando mezzi e capacità d’organizzazione acquisiti con il tempo, dalla logistica all’impianto, alla sicurezza fino al catering, al fine di organizzare eventi musicali e portando a casa, come è accaduto qualche settimana fa, degli ottimi risultati.

Quindi “si può fare”, come diceva Gene Wilder in Frankenstein Junior. Questo può diventare il giusto modo per operare, se si riuscisse a formare una sorta di squadra d’azione compatta che comprendesse esponenti di musica, teatro e cultura in generale. Il pericolo che gli spazi culturali, già pochi in questa città, ci vengano sottratti non è un pericolo astratto, ma concreto. Vorremmo vedere, da parte del Comune di Cagliari, una maggiore attenzione e capacità d’azione nei confronti dello spettacolo, della cultura e dell’intrattenimento musicale; vorremmo che il discorso venisse affrontato una volta per tutte con un piano d’organizzazione generale interessante, con la ricerca di luoghi alternativi all’Anfiteatro di Cagliari che, per quanto tutti noi amiamo, sappiamo che è una struttura difficile da gestire, e per ora deputata ad ospitare eventi molto grossi, tagliando così tutta una serie di piccole-medie realtà che non hanno, in questo momento, la capacità economica di sostenere un’organizzazione là dentro. Ecco dunque che ritorna la questione del Poetto, luogo che dovrebbe essere deputato alla fruizione dello spettacolo; la famosa frase “Cagliari, capitale del Mediterraneo”, visto che siamo su mediterranea online, è una frase “vuota”! Immagino il Poetto come un luogo in cui, per tutta la stagione estiva, dovrebbero esserci grandi eventi, capaci di portare anche stranieri da tutte le pari d’Europa. Vorrei vedere i Chemical brothers sulla spiaggia del Poetto! Si potrebbero fare dei grandi festival. I fatti hanno dimostrato che il Poetto è in grado di reggere grosse affluenze; con due o tre modifiche relative ai trasporti, ai collegamenti e ai parcheggi, si potrebbe riuscire ad affrontare questo tipo d’organizzazioni. Manca la volontà politica. La volontà sembra quella per cui Cagliari è si accogliente, ma fino ad un certo punto; sembra quella per cui si dice: “Si venite ma non in troppi…” oppure “Si venite, stanziatevi ma non rompete troppo le scatole, questo è quello che vi possiamo dare”. L’effetto è quello purtroppo di una città dormitorio in cui alle h. 23.00 tutto parrebbe terminato e cosi ce ne andiamo tutti a letto e l’indomani possiamo ripartire con una proficua giornata lavorativa…

La musica: un modo per riavvicinarsi alle politiche sociali del proprio territorio e scoprire come migliorarle?

Ci sono tante iniziative che l’amministrazione del Comune di Cagliari potrebbe sposare per il benessere della musica locale, bisognerebbe però uscire dai soliti cardini dell’organizzazione stereotipata per cui, ogni anno, sono sempre le stesse associazioni e organizzazioni a ricevere il denaro; c’è poco spazio per le novità. Le cose più interessanti stanno succedendo al di fuori di Cagliari. A San Sperate, Sarroch o Masullas, per non fare che degli esempi, si assiste a diversi eventi, concerti e festival in cui da tutta Europa confluiscono giovani.
C’è da dire che i programmi televisivi influenzano non poco le decisioni di fare musica anche qui da noi. Ogni evento che abbia quel logo “Amici” si pensa sia garanzia di successo maggiore di pubblico. E un’amministrazione che vuole andare sul sicuro si comporta in questo modo, senza arrivare mai ad un momento di confronto tra quelle che sono le esigenze del pubblico e dei gruppi locali giovanili. Oggi è interessante vedere il ruolo della rete nell’ambito della comunicazione efficace. Attraverso internet e la rete, e i sardi sono pionieri, si sta pianificando una nuova epoca di attività per quanto riguarda la cultura e la politica sarda. Non facciamoci spaventare, non siamo immobili; purtroppo l’immobilismo è uno dei problemi più grossi. Non chiudiamo con una nota negativa o di rassegnazione, ma al contrario continuiamo a lavorare, a mandare messaggi, a stimolare le amministrazioni pubbliche ma soprattutto la gente; sono convinto che il movimento dal basso rimanga tuttora quello più importante. Se tu riesci a comunicare con 20 persone, quelle 20 ne parleranno con altre 20 e cosi via… quelle stesse persone saranno 100 al primo concerto, 400 la seconda volta, 1000 la terza e magari 2000 alla quarta, e questo è quello che succede con il vecchio meccanismo del passaparola. Oggi siamo presenti su internet e su tutti i social network, siamo anche un’associazione culturale in grado quindi non solo di produrre musica come musicisti, ma anche in grado di organizzare e promuovere eventi, di provare a fare “cultura”.

La musica può essere una preziosa complice della cultura locale?

Penso al Consorzio Camù, un esempio interessante di grande intelligenza e cultura a Cagliari, con cui i Sikitikis hanno collaborato recentemente in due occasioni per “Monumenti aperti”. Quest’ultimo evento esiste già da parecchi anni; il più delle volte si risolveva in una giornata in cui la gente si rendeva conto dei tanti monumenti della propria città, paese o provincia, splendidi da visitare. Il più delle volte, tutto finiva con una passeggiata a Cagliari, un assaggio di boboietti , una visita alla Torre dell’Elefante, e poi il rientro nelle rispettive case. Da due anni a questa parte, il consorzio Camù, in primis, ha integrato questo momento con la cultura, la musica, il reading cioè con la lettura di racconti in un contesto musicale e culturale molto affascinante. E’ stato fatto un passo in più, chiedendo agli scrittori sardi di produrre racconti originali ambientati negli stessi monumenti storici in cui poi sarebbero stati portati in scena.

I Sikitikis, per due anni consecutivi, hanno fatto parte di questo gioco, scrivendo le musiche originali per gli spettacoli, lavorando a stretto contatto con scrittori eccellenti come Michela Murgia, Marcello Fois, ecc. Queste occasioni dimostrano che le cose si possono fare e che la musica può entrare anche in altri settori dando un valore aggiunto ad eventi di per sé già d’importanza culturale. “Si può fare”, per cui anche l’impossibile diventa possibile! Noi abbiamo una forma mentis di questa natura, altrimenti, già da tempo, avremmo dovuto rinunciare. Siamo convinti, stante l’analisi della situazione, che lo stato di cose possa cambiare; “devi conoscere il tuo nemico prima di affrontarlo”, poi si possono organizzare le controffensive; e in questo momento siamo in una fase di controffensiva. Noi siamo un piccolo punto, quando a questo si uniranno tanti altri punti, se ci uniremo nello stesso percorso, si potrà lavorare per un cambiamento positivo. E’ un momento importante per la Sardegna, finalmente una classe di giovani ragazzi appassionati si stanno in qualche modo avvicinando alla politica. Abbiamo sempre evitato lo schieramento politico, gli slogan ecc, recentemente però, ci stiamo avvicinando al movimento IRS (il movimento per l’indipendenza della Repubblica di Sardegna) che è la via che noi riteniamo utile per uscire da questo stato di cose. Una sorta di distacco dall’apparato centrale dello Stato, che dal punto di vista economico, fiscale e sociale può, secondo noi, portare una serie di migliorie a quest’isola. Ovviamente se mi chiedessi se la Sardegna è pronta a farlo adesso, ti risponderei di no; prima di tutto perché non ci sono ora né i mezzi, né una classe dirigente di riferimento, né le capacità. E’ interessante vedere come tutto questo si sta creando, oggi complice la rete, attraverso cui si sta pianificando una nuova epoca di attività per quanto riguarda la cultura e la politica sarda.

Leave a comment.