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Il fenomeno sociologico del momento è senza dubbio l’erosione del “ceto medio”, come ormai attestano economisti insigni e osservatori attenti delle dinamiche sociali. Tra tutte, si è imposta all’attenzione generale dell’opinione pubblica la disamina dell’economista francese Thomas Piketty, che, nel testo Capitale nel Ventunesimo Secolo (Bompiani Editore), lancia un grido d’allarme al mondo postcapitalista , dichiarando che chi detiene capitale continuerà ad accumulare ricchezza a spese di chi vive di lavoro.
In pratica Piketty afferma che lo strapotere della rendita sul lavoro è ormai palese, e propone di invertire la tendenza imponendo una tassa progressiva e globale sulla ricchezza. In modo epidermico se ne sono accorti in molti, a dire il vero; così come altri autorevoli analisti avevano già fatto le stesse considerazioni. Del resto che attualmente esista una polarizzazione della ricchezza, con un gap notevolissimo tra i detentori di tale ricchezza e gli altri “comuni mortali”, è sotto gli occhi di tutti. Ma Piketty ha esposto tale assioma con particolare efficacia e capacità persuasiva, pur avendo ricevuto critiche per una visione probabilmente un po’ troppo dicotomica. Inoltre, se il suo libro ha scatenato dibattiti e meritato l’attenzione dei media, non va sottovalutato il suo messaggio, poiché la battaglia per rendere la società più egualitaria è ardua, e ben vengano tutti coloro che studiano tale problematica , cercandone soluzioni.
E’ evidente, poi, che il fenomeno non è prettamente economico, nascondendo tra le sue pieghe molte implicazioni di varia natura. Una tra tutte quella culturale: lo smantellamento del ceto medio implica un appiattimento della conoscenza e dell’istruzione, a discapito della qualità di queste ultime.

La cultura digitale stessa, simbolo della nostra società attuale, pur essendo di così apparentemente facile accesso ai più, sta rischiando di creare un mondo di informazione approssimativa, superficiale, sbrigativa. Da alcune statistiche risulterebbe che se da un lato una larga fascia di italiani quasi ignora internet, dall’altro quelli che lo adoperano lo fanno nel segno di una pseudocultura del tutto gratis: scaricare musica, films, guide, oppure adoperare chat e social network. Non che una democratizzazione ed una globalizzazione delle informazioni sia di per sé deprecabile, ma la portata e la potenzialità del web è infinitamente superiore all’uso che realmente viene fatto dalla stragrande maggioranza della gente. Come mai? E come questo si collega alla progressiva sparizione della classe media? La crisi economica, la riduzione del potere d’acquisto di fasce un tempo ritenute abbastanza benestanti, la perdita di posti di lavoro e la disoccupazione intellettuale, il taglio di fondi destinati alla cultura e alla scuola, tanto per fare degli esempi, poterebbero essere degli elementi che stanno pesando sulla qualità della cultura e sulle modalità di fruizione della stessa.

Se cala il livello culturale è abbastanza evidente che le conseguenze non possono considerarsi così trascurabili e marginali. Anzi, l’accentramento del potere anche culturale nelle mani di pochi e l’oligarchia intellettuale, oltre che economica, sono di certo socialmente destabilizzanti. “Una società fortemente polarizzata rischia di essere più instabile e insicura…soprattutto rischia di essere più infelice”, come argutamente sostiene Ronny Mazzocchi, docente di economia monetaria, finanziaria e macroeconomia all’Università di Trento. Piketty nel suo testo mostra come la crescita economica occidentale e la diffusione del sapere dopo la seconda guerra mondiale ci hanno permesso di evitare disuguaglianze apocalittiche, secondo quanto previsto da Karl Marx.
Tuttavia, oggi il motore principale dell’ineguaglianza, la tendenza a tornare sul capitale per gonfiare l’indice di crescita economica, minaccia di ricreare disuguaglianze tali da esasperare il malcontento e minare i valori democratici. L’analisi storica, però, può darci qualche suggerimento: in passato, azioni politiche hanno arginato pericolose disuguaglianze, e possono fare altrettanto anche per l’attuale società.

1 thought on “Capitale nel Ventunesimo Secolo, o scomparsa della classe media

  1. Bellissimo articolo.
    Di sicuro la progressiva scomparsa della classe media è stata causata dalla pseudocrisi organizzata ad hoc dall’oligarchia che detiene il potere ed il capitale. I ricchi diventano sempre più ricchi e la classe media impoverita ha smesso di consumare causando un circolo vizioso di impoverimento.
    In questo contesto il cosiddetto Quarto Potere ha acquisito maggiore forza con lo sviluppo delle tecnologie ed in particolare di internet. In un mondo virtuale dove tutti possono dire tutto ed il contrario di tutto, la verità dei fatti non esiste più. Tutto è opinabile e le certezze che avevano i nostri padri sono svanite nel nulla che la società moderna offre a tutti noi.

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