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Carloforte

, l’unico comune di un’isola dell’isola di Sardegna, è sede di minoranze fra le più insolite del Mediterraneo. La storia dell’unica città dell’Isola di San Pietro, lunga 278 anni, ha dato origine a una popolazione, a una minoranza non solo linguistica, che conserva ancora oggi la sua identità e le sue tradizioni. La natura del luogo è essa stessa una minoranza rara e meravigliosa di specie animali e vegetali endemiche tipiche di un territorio distante 10 km dalla terraferma.

mare
scogliere di Carloforte

La storia di Carloforte affonda le sue radici nel 1540 quando un certo numero di famiglie liguri provenienti dalla cittadina di Pegli s’insediò nell’isolotto di Tabarca in Tunisia per la pesca del corallo e per dar vita a una via preferenziale di commercio marittimo. Tabarca divenne un luogo di incontro fra le culture cristiane e musulmane, una sorta di porto franco per il commercio e il traffico di ogni tipo di merce. La fortuna dell’isolotto tunisino durò però solo fino al 1738 quando il sovraffollamento, l’esaurirsi del corallo e le ingerenze tunisine sempre più pressanti portarono al trasferimento dei tabarchini nell’Isola di San Pietro per volontà di Carlo Emanuele III Re di Sardegna. Nell’Isola di San Pietro, vista la posizione geografica, i traffici marittimi potevano continuare, vi erano ricchi banchi di corallo, in vicinanza alcune tonnare e la possibilità di costruire saline prospettavano un importante sviluppo. 100 famiglie giunsero così da Tabarca e altre 26 giunsero dalla Liguria per popolare questa terra. Venne fondata la città di Carloforte, il “Forte di Carlo” in onore al Re, che presto divenne un importante centro frequentato da bastimenti di tante nazionalità e sede di consolati.

Nel 1793 la città subì la dominazione francese e dal 1798 un’invasione barbaresca fece schiavi gran parte degli abitanti deportandoli in Africa da dove furono liberati solo 5 anni più tardi per intercessione del Papa Pio VI e di Napoleone Buonaparte. Da allora e fino all’avvento del fascismo l’attività dei cantieri navali, legata all’esperienza della marineria carlofortina e all’estrazione dei minerali delle miniere del Sulcis, incrementò il commercio tanto che Carloforte divenne il secondo approdo per le merci della Sardegna.

Gli abitanti di oggi conservano la memoria storica degli antichi mestieri, dell’arte marinaresca, delle tradizioni e soprattutto della lingua. Quella carlofortina non è una minoranza linguistica retaggio del passato e memoria degli anziani, è la lingua presente e viva tra i 10.000 abitanti di Carloforte e la vicina Calasetta, ma anche la lingua di chi per ragioni della vita ha lasciato la piccola isola.

Abbiamo incontrato Marilena Rivano discendente da antica famiglia tabarchina che racconta la sua identità carlofortina, un’identità forte di una minoranza sarda che non è sarda.

Quali sono le sue origini? Che lingua parlavate nella sua famiglia?

Sono nata nel 1941 a Carloforte, vivo oggi a Quartu Sant’Elena. I Rivano derivano dai Riva di Pegli che andarono a Tabarca nel 1540, dell’originario gruppo di famiglie ricorrono ancora oggi i cognomi. Sono tabarchina, mio marito invece, Tiragallo di cognome, discendeva dalle 26 famiglie genovesi insediate a Carloforte dopo il 1738. Mio padre era maestro d’ascia. Nella mia famiglia ci sono state tre generazioni di costruttori navali di piccolo e medio cabotaggio. In famiglia e fra compaesani si è sempre parlato il tabarchino.

Recenti statistiche riportano che oltre l’86,7% della popolazione carlofortina parla il tabarchino, lei lo parla ancora oggi? E la sua famiglia di oggi? I figli, i nipoti, conserveranno la tradizione?

Io ho sempre il piacere di parlarlo quando ho occasione. I figli lo capiscono, ma non lo parlano perché sono cresciuti via da Carloforte. I miei nipoti anche se piccoli dimostrano un forte attaccamento a questa città e vogliono imparare il tabarchino per parlarlo. Sentono me che parlo, e spesso li portiamo lì. E’ una tradizione viva, i bambini che oggi nascono a Carloforte si può dire siano bilingue. Quando giocano nessuno parla italiano.

A che età il primo viaggio verso Cagliari? Ci racconta il rapporto con la terraferma?

Non ricordo la prima volta che andai a Cagliari. Ero molto piccola, ma ci andavo molto spesso, con mio padre che ci andava periodicamente per immatricolare le barche. Anche vivendo in una piccola isola noi carlofortini abbiamo una mente più aperta di chi vive in Sardegna. Per me è sempre stato facile spostarmi. Quando mio marito navigava e arrivava con la nave a Napoli, Venezia, Trieste, lo raggiungevo. Non mi sono mai creata problemi. Molti uomini intraprendevano la carriera marittima, c’è sempre stato così uno scambio di conoscenze perché raccontavano dei viaggi. Veniva naturale il desiderio di andare a conoscere altri posti. Per noi è normale prendere il traghetto e poi dalla Sardegna spostarci e andare in giro.

Cosa ha voluto dire lasciare l’Isola di San Pietro? Si sente più sarda o più carlofortina?

Il distacco c’è, la voglia di tornarci sempre. Ho lasciato l’isola da oltre 40 anni. I primi 10 anni tornavo a Carloforte ogni fine settimana. L’idea è sempre quella che comunque ci torni. E’ come se nel punto dove sei non dovessi mettere radici. Vivo a Quartu, da decenni, ma la radice non l’ho messa. Capisco a malapena il sardo, non lo parlo. No non sono sarda, carlofortina sempre. Il richiamo della mia terra è forte, siamo come pattelle attaccatte allo scoglio e con le radici che trasmettiamo ai figli. Rispetto ai Sardi, che tendono a non spostarsi, noi andiamo via senza problemi, ma con l’idea che tanto ci torniamo al nostro scoglio.

Rispetto alla Sardegna e all’Italia vi sentite una minoranza?

Ci sentiamo come un ceppo tutto nostro, una realtà a parte. Il mio mondo è anche l’odore del mare, un mare particolare che sento di nuovo mio quando il traghetto si avvicina all’isola.

Ama la Natura? La sua sensibilità per l’ambiente deriva dall’essere cresciuta in un luogo ricco di bellezze naturali?

Marilena sul "suo scoglio"
Marilena sul “suo scoglio”

Amo tantissimo la natura del mio paese e sono molto sensibile verso l’ambiente. E’ un ambiente dove tutto è spontaneo, le piante, gli animali. Mi sono sempre incuriosita alle piccole piante endemiche che crescono fra le rocce o sulla sabbia, sono piccoli miracoli colorati della natura di ambienti così particolari. Mi attira molto l’ambiente marino. Questa mia sensibilità è dovuta al fatto di provenire da un contesto piccolo dove devi proteggere quel poco che hai, lì nessuno ti portava niente e quindi c’è sempre stato l’istinto di proteggere quello che c’è.

E’ vero che tutti i carlofortini hanno un soprannome e che mugugnano sempre?

Molti si, io non ho proprio un soprannome, ma la cosa strana è che a Carloforte tutti sanno benissimo chi sono e che mia sorella si chiama Giovanna. Quando mi vedono però mi dicono “Ciao Giovanna”. Mio padre che si chiamava Quintino lo chiamavano Quintino Du Ciarin. Mugugnare è un nostro tratto caratteristico, c’è un detto che dice “toglietemi quel che volete, ma lasciatemi mugugnare”.

Ci sono piatti tipici della cucina carlofortina? Qual è la sua specialità?

La cucina tradizionale ha spesso fuso tradizioni di origine genovese a tradizioni tunisine e arabe. Spesso sono piatti legati al mare come il tonno salato e lo stocafisso. Il tonno salato con le gallette, i pomodori e le facüsse, una varietà di cetrioli, erano il piatto tipico del marianaio quando stava fuori tutto il giorno per andare a caricare i minerali delle miniere. Il piatto tipico per eccellenza e la mia specialità è il cascà: una variante del cus cus tunisino. La matrice è la semola cotta a vapore, il tunisino lo condisce con la carne di montone, noi con le verdure. Abbiamo poi tanti dolci come le fantine, le lune e i cavagnetti che facciamo nelle festività.

Pensando a Carloforte quali immagini le vengono più spesso in mente?

Mio padre che costruiva le barche a partire dai disegni che egli stesso realizzava seguendo le forme naturali dei rami dei pini d’Aleppo che utilizzava. La piazza con le magnolie dove tutti si ritrovano per chiacchierare nella nostra amata lingua. Il faro di Capo Sandalo, uno dei più potenti del Mediterraneo, che illumina le notti carlofortine.

Lascia a mediterranea un detto, un aneddoto?

E paule è cumme e sceje, approü ün-a ne vegne deje

Le parole sono come le ciliegie, dietro una ne vengono dieci.

tramonto carlofortino
tramonto carlofortino

1 thought on “Carloforte: una minoranza arabo-genovese in Sardegna. Intervista a Marilena Rivano

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