È proprio nel cuore del Parco Nazionale del Vesuvio l’ubicazione di Somma Vesuviana, storica città di oltre 33 mila abitanti e dalle origini antichissime, come testimoniano i reperti archeologici e la villa romana, tra le più maestose, ove si reputa l’imperatore Cesare Augusto sia passato a miglior vita, dove è stato rinvenuto un grande cellaio a testimonianza di una fiorente attività vinicola. Ad appena 16 chilometri da Napoli, Somma Vesuviana rappresenta uno tra i comuni più importanti dal punto di vista culturale: è possibile visitare il Museo Etnostorico delle Genti Campane, incuso nell’antico Convento delle Suore Carmelitane, proprio vicino al Santuario di Santa Maria a Castello, oltre che passeggiare lungo le viuzze del Casamale, il più antico quartiere sommese, circondato tuttora dalle mura aragonesi che il re Ferrante d’Aragona volle fortificare nel 1467. Presente a Somma Vesuviana anche il Museo di Arte Contadina, dove sono stati conservati ed esposti svariati utensili di uso quotidiano della Civiltà Agricola di un tempo. Naturalmente non mancano altre importanti attrattive come la Chiesa di San Domenico, costruita da re Carlo II D’Angiò nel 1294 su consenso del papa Nicolò IV, Palazzo Torino, la Chiesa di Santa Maria del Pozzo, voluta dal re Roberto D’Angiò nel 1333, e la Chiesa di San Giorgio Martire, ma il pregio di Somma Vesuviana si esprime anche attraverso prodotti agricoli come le albicocche e i pomodorini, le preparazioni storiche a base di baccalà e da una lunghissima tradizione vitivinicola.
Il paesaggio sommese è lussureggiante, grazie ai suoi boschi di latifoglie e castagno, i frutteti e gli eroici terrazzamenti in cui dimorano i vigneti che risalgono la china verso il vulcano, figli della zona vitivinicola più antica del Vesuvio, costituita dopo l’eruzione del 79 d.C.
È qui, nell’area di Monte Somma Terra, ove spirano la Tramontana e il Maestrale d’inverno e il Ponente d’estate, che Tenuta Augustea affonda le sue radici, in un’area di superba bellezza, con altitudini variabili tra i 250 e i 600 metri sul livello del mare, da terreni ricchissimi di sabbie vulcaniche, con forte presenza di materiale piroclastico, ed interessata da un clima mediterraneo temperato.
Al timone della cantina Marco Vincenzo Nocerino, coadiuvato dal padre Angelo, eredi di una stirpe di vignaioli da altre 100 anni di operosa attività, fondata da Vincenzo Nocerino, classe del 1898, detto “Scatena” per la sua intraprendenza, il quale ha dato il volto a quei filari di cui ancora oggi si assapora la storia, passeggiando nella vigna Madonna delle Gavete, la più alta del vesuviano. Insomma, una storia di famiglia con una tradizione che si ripete da quattro generazioni e che oggi vanta dieci ettari di vigneto di proprietà, gran parte dei quali a piede franco.
Decisamente ciascuno dei vini di Tenuta Augustea meriterebbe una sua trattazione, ma avere il bene di assaggiare il Catalunae del 2017 richiede sicuramente accurate osservazioni su quella che è una delle uve più emblematiche di questo territorio: il Catalanesca.
Questo vitigno, iscritto ufficialmente nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite nel 2007, fu importato, a quanto pare, in Campania per la prima volta attorno al 1450 dalla Catalogna da Alfonso I d’Aragona, re delle Due Sicilie, e fu impiantato proprio sulle pendici del Monte Somma. È presente in molti testi e trattati di ampelografia del ‘500 e, per quanto classificata come uva da tavola e non ne fosse consentita la vinificazione, i maggiori studiosi del passato erano dell’unanime parere che avesse un potenziale enologico, quindi, malgrado il veto, la saggezza contadina ne faceva ugualmente del vino già secoli addietro.
Il Catalanesca è un vitigno abbastanza vigoroso, presenta un grappolo spargolo e la buccia dell’uva è piuttosto spessa, offrendo un succo di elevato tenore zuccherino ed un’acidità totale soddisfacente.
Il privilegio di assaggiare il Catalunae Catalanesca del Monte Somma Igt 2017 di Tenuta Augustea ha sortito le seguenti osservazioni dopo l’analisi sensoriale: giallo dorato vivo, suadente e luminoso nei suoi riflessi carichi di aspettative, con archi stretti e lacrime a lenta discesa. Dopo un fugace scampolo di brezza marina, arrivano note tostate insospettabili per un vino che non ha visto botte; vino evolve in maniera quasi cadenzata alternando sentori di legno a noci tostate, che diventano poi scatola di sigaro e burro di nocciola, avviluppati in una costante da idrocarburo, non senza il frutto scarnificato della pellecchiella del Vesuvio, dei profumi essiccati di kiwi golden e nespola, dell’alga kombu e di una carezza olfattiva al pan brioche. In bocca è denso e materico; una sottile astringenza si percepisce alle gengive, subito portata via da una freschezza, da un tocco umami e da una sapidità che fanno del Catalunae un nettare succoso in cui tornano le note burrose e fruttate percepite in precedenza, cui vanno ad aggiungersi sfumature agrumate di tamarindo e miele di corbezzolo. Finale lunghissimo. Il Catalunae, oggi evolutosi in Cataluna nel nome e vinificato con l’aiuto del giovane e valente enologo Antonio Felaco, esprime decisamente tre volte il potenziale del Catalanesca: per territorialità, per edonistica eleganza e per longevità. Che sia di terra o di mare, questo vino straordinario non teme affatto un sontuoso piatto di candele spezzate alla genovese, ma trovandoci a Somma Vesuviana che sia una genovese al baccalà.