di Alice Strano
Follia: una parola, mille sfaccettature. Chi è in realtà il folle? Il concetto di follia è sempre stato collegato alla visione predominante della società in un determinato momento storico. Se guardiamo al passato era considerato folle chi era affetto dalla lebbra o da una malattia venerea, era un mendicante, un ubriacone, un eretico, un libertino o un vagabondo. Soluzione adottata? Internamento o allontanamento dalla società. Spesso i folli venivano lasciati vagabondare o fatti imbarcare coi mercanti. La navigazione aveva una molteplice valenza: da una parte evitava che il folle si aggirasse per le mura delle città lasciandolo all’incertezza della propria sorte (ogni viaggio potenzialmente poteva essere l’ultimo), dall’altra lo confinava in acqua, acqua che imprigiona ma porta con sé la possibilità di purificazione.
Non aveva più una patria. Cacciato da quella di origine non sapeva dove sarebbe arrivato; era costretto a vivere fra due terre che non gli appartenevano.
Si potrebbe quindi dedurre che il viaggio è allo stesso tempo rischio di perdita e promessa di conquista, speranza di ritorno e abbandono all’ignoto.
Lo stesso Nietzsche per trattare il tema del viaggio utilizza la figura del viandante. Il collegamento è d’obbligo con tradizione classica e romantica, dove il viaggio è assunto come simbolo di conoscenza e formazione. I viandanti della tradizione (Ulisse, Enea, Dante) compiono un viaggio nel viaggio per entrare in contatto con l’aldilà dove “le ombre” hanno il dono della profezia. Chiedono indicazioni sulle future azioni e strade da percorrere. Esiste però una differenza: i viandanti classici hanno tutti un’identità definita ed una meta, quello di Nietzsche no. Ha scoperto che nel cammino dell’uomo non c’è uno scopo. Il viandante rappresenta quindi un uomo che tratta la vita come “libero esperimento” senza pregiudizi né luoghi comuni. Lo caratterizzano intraprendenza, rischio e coraggio. È artefice del proprio destino come i grandi navigatori ed esploratori dell’età moderna. Ciò che gli interessa è il viaggio in sé.
Molti studiosi hanno ritenuto che il limite fra ragione e follia dipenda da una mancanza di adattamento verso l’esterno. Tale definizione va però messa in relazione con la cultura ed il momento storico preso in analisi. A seconda del periodo si può ritenere folle chi prima non lo era e viceversa.
Ci son state epoche e Paesi, come la Russia e la Germania durante le rispettive dittature, in cui vennero adottati duri provvedimenti nei confronti della follia. Essere folle non significava più di imbarcarsi, ma affrontare un viaggio verso un altro tipo di internamento. Erano anch’essi “viandanti” lasciati all’incertezza della sorte, come i numerosi oppositori politici ed ebrei che furono rinchiusi ed uccisi. Chi stava però dalla parte della follia e chi della normalità?
L’uomo è considerato sano se ritenuto all’altezza dei compiti che la società gli assegna. La visione cambia nel tempo. Intellettuali di grande valore finirono in manicomio e poi ottennero il premio Nobel. Molti diedero luogo alla “fuga dei cervelli”. Possiamo quindi paragonarli ai viandanti costretti ad imbarcarsi?
Oggi non si parla più di viandanti ma di viaggiatori, non esiste più la concezione del viaggio come penitenza.
La navigazione oggi è resa più sicura. La società è cambiata. Il rischio nel viaggio è sempre presente e non si sa chi possa salire sulla nave in futuro. La mentalità cambia ma non bisogna dimenticarsi che molti ritenuti folli ci hanno lasciato un’eredità di enorme importanza. Allora c’è da chiedersi: erano ritenuti folli, ma lo erano davvero? Chi sarà il prossimo ad essere dichiarato folle dalla nostra società?
“La ragione è la follia del più forte. La ragione del meno forte è follia” (E. Ionesco).
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