Iran il paese delle rose
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Articolo di Daniela Zini

Viaggiare è il più personale dei piaceri. (…)
con questa frase Vita Sackville-West introduce i suoi ricordi di viaggio in Persia.

(…)
Hame-ye alam tanast va Iran del
Nist qaviyande zin qiyas khejel
(…)

Nezami Ganjavi, Haft peykar

VI. Nel Paese delle Mille e Una Cortesia

A Toi dit J qui, en me donnant Toi, m’a donné Je.

“Ah! Ah! Monsieur est Persan? C’est une chose bien extraordinaire! Comment peut-on être Persan?”

Charles-Louis de Secondat, baron de La Brède et de Montesquieu, Lettres Persanes

La domanda che Montesquieu pone cade, particolarmente, a proposito, oggi, per scoprire la tolleranza e l’unità.

L’avventura umana non ha più orizzonti geografici. Non ha più continenti vergini, più oceani sconosciuti, più isole misteriose. E, tuttavia, i Popoli restano, per molti aspetti, stranieri gli uni agli altri e i costumi, le speranze segrete, le convinzioni intime di ciascuno di loro continuano a essere, largamente, ignorate dagli altri.

Ulisse non ha, dunque, più uno spazio fisico da percorrere, ma una nuova odissea da intraprendere, urgentemente: l’esplorazione dei mille e un paesaggio culturale, dell’infinita varietà dei pensieri e delle saggezze viventi; la scoperta delle molteplicità dell’uomo.

Nella Grecia antica, lo straniero era accolto come un inviato degli Dei. Nell’India rurale contemporanea, è, sempre, ricevuto come una divinità. Tra i beduini, diviene il protetto del suo ospite e del suo clan. Dividere con lo sconosciuto di passaggio il pane e il sale, sedersi accanto al fuoco o all’ombra di una veranda, offrirgli un giaciglio, per la notte, sono, dall’alba dei tempi, un dovere sacro. Nel tempo in cui non era, ancora, protetto da leggi, lo straniero poteva, grazie all’ospitalità, trovare rifugio in una casa o in una città. Nelle regioni dal clima rude, dalla natura ostile – deserti, alte montagne, steppe – l’ospitalità era una necessità vitale. Con lo sviluppo degli scambi e dei viaggi su vasta scala, l’ospitalità si è estesa ai pellegrini, ai mercanti, agli agenti diplomatici, che si garantivano dalle esazioni, le violenze. I grandi viaggiatori, quali Marco Polo o Abu ‘Abd Allah Mohammad ibn Battuta, ci offrono, nei loro racconti, molteplici esempi di ospitalità loro accordata, senza la quale non avrebbero potuto attraversare l’Europa, l’Africa o l’Asia.

Dell’ospitalità di un tempo, che sussiste, oggi?

Persiste ancora, forse, una convivialità erosa dalla vita frenetica delle grandi città, dalla mancanza di spazio vitale, dalla banalizzazione dei viaggi, dal turismo di massa. Ma, soprattutto, l’ospitalità è istituzionalizzata, entra nelle leggi, diviene più anonima. Trattati bilaterali e convenzioni internazionali supportano lo status di straniero, nell’esilio o l’immigrazione, salvaguardano la sua persona e i suoi diritti. Così, la tradizione di ospitalità sposa i nuovi valori della libertà e della democrazia. Nei principi, in ogni caso, se non sempre nei fatti. Lo straniero si scontra, infatti, molto sovente, con l’incomprensione e il disprezzo della società dove passa. I pregiudizi razziali o nazionali pesano, talvolta, pesantemente, su chi si chiama “immigrato”. Non è, dunque, inopportuno, qui, ricordare alcune usanze di questa ospitalità che, un tempo, fu una virtù così diffusa e, oggi, attende di essere riportata all’onore sotto il doppio segno della tolleranza e della unità.

Arte, sapori, IranSal-e nou mobarak!
1 farvardin 1391- 20 marzo 2012

Abramo, tramanda una tradizione persiana, volle un giorno – per non mangiare solo – dividere il suo pasto con un vecchio straniero incontrato nel deserto. Al momento della preghiera, si accorse che l’ospite era zoroastriano e volle cacciarlo, giudicandolo indegno di essere suo commensale. Un Angelo lo trattenne:

Dio lo ha nutrito per cento anni e tu gli rifiuteresti un pasto?

Il rispetto dell’anziano e l’ospitalità allo straniero sono parte integrante della cultura iraniana.

Se vi recherete in Iran, potrete sperimentarlo di persona!

Quali che siano l’ora, la ragione della vostra visita o la vostra classe sociale, vi sarà offerto, innanzitutto, da bere: entrare in una casa è come arrivare da un viaggio attraverso la polvere del deserto e dissetarsi in un giardino. Il tè sarà preparato alla russa, tenuto a lungo in infusione e servito tagliato con acqua in piccoli bicchieri; la teiera resterà sul samovar; non si metterà lo zucchero nel tè, ma sulla lingua. I dolciumi più diversi, profumati al gelsomino, farciti alle noci, ai pistacchi o alle mandorle accompagneranno, sempre, la bevanda dorata. Ma non crediate di cavarvela con una breve visita e di andarvene senza tanti complimenti. Una visita, anche se non si hanno molte cose da dire, non potrebbe durare meno di un’ora, diversamente, offenderebbe i vostri amici, insinuando in loro il dubbio di avervi mal ricevuto. La conversazione seguirà un ritmo rituale: si inizierà con uno scambio di informazioni sulla salute, evitando, sulle prime, le cattive notizie. E, quando la conversazione languirà, si rilancerà, ponendo, di nuovo, una domanda elementare:

State bene?

Non spazientitevi, avreste torto!

Si cerca, semplicemente, di non lasciar cadere il silenzio. Dopo aver placato la vostra sete, vi presenteranno coppe di frutta secca e di stagione. Si sarà deciso di trattenervi e ogni pretesto sarà buono.

Non andrete via senza aver gustato la nostra frutta!

Come rifiutare davanti a un assortimento di uva, fichi, pesche e cetrioli disposti, armoniosamente, per accendere i vostri occhi?

Tra una degustazione e l’altra, noterete che la stanza dove siete ricevuti sembra non essere, abitualmente, utilizzata: non è là che si guarda la televisione o si leggono i giornali. Anche nelle famiglie più modeste, lo spazio per il ricevimento è riservato all’ospite e ci si sforza di preservarlo. È là che si fanno dormire gli invitati venuti da lontano, per i quali si tengono, sempre, pronti, accuratamente ripiegati, materassi, lenzuola e coperte da stendere, per la notte, sul tappeto. L’urbanizzazione degli ultimi trenta anni, la vita stressante negli imbottigliamenti dopo il lavoro, l’esiguità degli appartamenti rendono meno facile accordare ospitalità. I viaggi, del resto, non hanno più nulla di eccezionale e l’arrivo di un parente, dopo qualche ora di volo, non somiglia affatto a quello del viaggiatore stremato che, fino a non molto tempo fa, ingoiava la polvere della strada e soffriva il caldo e il freddo, senza potersi riposare per diverse notti. Le grandi riunioni di famiglia, meno numerose, oggi, hanno tendenza a tenersi, soprattutto, per le principali feste religiose o civili. Le tovaglie spiegate sul tappeto riuniscono, allora, fino a venti o trenta persone e sono inondate di pietanze prelibate. Il pasto si prende, parlando il meno possibile. Le portate sono preparate in grande quantità e il cibo va lasciato nel piatto, diversamente, il padrone di casa avrebbe l’impressione di non essere stato generoso. Terminato il pasto, si servirà ancora del tè. Il padrone di casa vi pregherà, allora, di scusarlo per la modestia della sua ospitalità, ma voi protesterete, rassicurandolo di aver fatto tutto quello che poteva, vale a dire molto, e di essergliene grati. Ma, se il padrone di casa si mette, letteralmente, “a vostro servizio” per cercare di soddisfare i vostri minimi desideri e vi riserva il posto d’onore, non crediate che il vostro ruolo di invitato sia di tutto riposo. Dovrete, innanzitutto, sottomettervi, umilmente, agli onori che vi sono tributati, servirvi dei cibi che vi saranno presentati, anche se non ne avrete voglia, tutti segni di buone maniere, che indicheranno al padrone di casa che i suoi sforzi di ospitalità non sono stati vani. In verità, l’invitato perde la sua indipendenza, divenendo, come dice, ironicamente, un detto popolare persiano, “l’asino del padrone di casa”. Il primo dovere dell’invitato è restituire la cortesia. Può sembrare sorprendente che persone, appena ricevute, insistano per ricambiare l’ospitalità, già dall’indomani, ma sarebbe imbarazzante rifiutare, perché ciò le renderebbe tributari di una generosità e, dunque, debitori. Giunta l’ora del commiato, il vostro ospite vi accompagnerà alla porta. Tra le formule di saluto, sentirete, sovente, quella che vi attendevate all’arrivo:

Siate i benvenuti!

Non vi è alcuna ironia!

Non si cerca, educatamente, di mettervi alla porta, ma di mostrarvi che la vostra visita è stata una benedizione per la casa e che sarete sempre attesi, in futuro, con la stessa benevola disposizione.

Daniela Zini

Copyright © marzo 2012 ADZ


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