“Mi piace la Coca Cola, la musica pop, adoro il rock e i giochi a premi”. L’estate scorsa, il giovane libanese Mohammed Bazra descriveva così il proprio desiderio di “vivere come i giovani di oggi”. Nell’agosto 2006 combatteva la guerra contro Israele tra i militanti di Hezbollah – il “Partito di Dio”, radicato nella comunità sciita – oggi vive sotto falso nome rifugiandosi fra le montagne del Libano.
La Coca-Cola, così come alcuni generi musicali, è diventata il simbolo dell’American Dream, del desiderio di uno stile di vita “occidentale”. Lo stile di vita a cui si oppone Hezbollah, partito politico ispirato al nazionalismo, che trova la propria linfa nella resistenza all’opposizione a Israele e alle potenze che lo sostengono, come gli Stati Uniti.
Un nazionalismo che si riflette anche nelle pratiche della vita quotidiana della “società della resistenza”, investite di una serie di significati identitari e collettivi: dal divieto di frequentare discoteche e Mc Donald’s, alle abitudini alimentari. Prima fra tutte, l’abolizione della Coca-Cola, multinazionale simbolo del potere americano.
Il celebre marchio bianco e rosso, presente nei club alla moda di Beirut e sui cartelloni pubblicitari che colorano i quartieri alla moda della città, scompare completamente non appena ci si sposta nei quartieri sciiti della capitale e nel Sud del Paese. Qui, nel cuore della resistenza contro l’occupazione israeliana, nelle regioni controllate dalle forze militari della missione Unifil dove è forte la presenza di Hezbollah, i manifesti pubblicitari lasciano il posto alla propaganda dei partiti politici che godono del consenso della popolazione. Le bandiere gialle del Partito di Dio e quelle verdi di Amal si alternano ai volti dei giovani martiri caduti nella guerra contro Israele.
Nei locali di Sidone e Tiro, nei villaggi del Sud e della Valle della Bekaa, roccaforte sciita, è quasi impossibile trovare una lattina di Coca-Cola. Anche a Tiro, sede di numerose organizzazioni internazionali, accanto a bibite, succhi di frutta e frullati, non è facile sorseggiare una lattina di Coca-Cola, spesso sostituita dalla Pepsi.
Nella censura-boicottaggio alla Coca-Cola il nazionalismo e le ragioni politiche si mescolano alle motivazioni religiose, come accade frequentemente non solo in altri Paesi nel mondo arabo ma anche in Europa e in Asia, in cui si assiste a un aumento delle marche locali alternative alla Coca-Cola, identificata come simbolo della politica americana. Sono le cosiddette “Muslim Colas”, un fenomeno che ha invaso il mercato negli ultimi anni: dalla Mecca Cola in Francia, alla Zam Zam-Cola in Iran; da Salsabeen in Pakistan, alla Qibla Cola in Inghilterra, che alle proprietà della bibita abbina l’attivismo, destinando il 10% dei profitti a organizzazioni benefiche musulmane, impegnate in attività umanitaria, in particolare a favore della popolazione palestinese.
Il nazionalismo predicato da Hezbollah trova espressione anche in altre abitudini alimentari del Paese, che assumono valenza politica. Parallelamente all’abolizione di prodotti considerati simbolo dell’America o associati al nemico Israele, il nazionalismo e la salvaguardia delle proprie origini si esprimono attraverso la rivendicazione dei “diritti d’autore” su alcuni piatti tipici mediorientali: dall’hummus, al tabbouleh, al felafel, le celebri polpettine di farina di ceci. Proprio queste ultime, circa un anno fa, furono oggetto di una diatriba tra Libano e Israele, che ha coinvolto produttori di felafel, gestori di ristoranti, associazioni di categoria. La polemica, che ha suscitato accesi dibattiti anche nei forum in internet, è nata in seguito all’intenzione dell’Associazione degli industriali libanesi di rivolgersi al tribunale internazionale accusando Israele di aver fatto propri prodotti alimentari con marchio del Libano.