Facce
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di Veronica Paniccia

Mi proietto e vi proietto in questo sistema di segni e significati con cui interagiamo con l’Altro, ogni giorno, ormai quasi ogni momento. Oggi che i diversi mondi, grazie alla globalizzazione un fenomeno non interamente postmoderno (è bene rammentarci che già le popolazioni del Medioevo e soprattutto del Rinascimento tessevano rapporti sociali ed economici transcontinentali). Globalizzare, in fondo, vuol dire esattamente questo: comunicarsi nella/alla globalità. Decentralizzare il locale in favore del globale.

La storia, la musica, l’arte, oggi internet, la telefonia e le tecnologie varie sono impiegate a tal fine: trasportare messaggi nel mondo. La comunicazione è innanzitutto un bisogno dell’uomo in quanto animale sociale. Sarebbe però riduttivo non calcolarne, oltre al bisogno, la forma estetica scelta e il modo.

Una struttura di atteggiamento e di riferimento che cela identità e le pone in relazione. Una maniera che tende ad esaltare l’estraneità o la relativizzarla piegandola al progetto comunicativo. Come atto, la comunicazione è un – esserci – hic et nunc tra gli uomini, in qualsiasi contesto o a qualsiasi livello.

Cosa sto facendo ora, se non tentare di comunicarvi ciò che penso?

Ma elaborare un messaggio virtualmente non è comunicare fisicamente. La comunicazione elettronica, la disponibilità di entrare in contatto con tutti nell’esatto istante in cui desideriamo farlo, non è reale. Forma eletta oggi a modello, che rende vicino l’angolo più remoto del pianeta nell’immediato, ma non ci avvicina realmente a quell’angolo. Pratichiamo con l’immagine della comunicazione in sostanza. La modalità scelta infatti è virtuale.
In un sistema così costruito non posso guardare il mio interlocutore, non posso ascoltare le inflessioni della sua voce, vedere i suoi cambiamenti espressivi etc… Posso limitarmi a formulare ipotesi memoriali o costruite al momento sull’obiettività del suo messaggio.
Ecco perché l’accento, oggi che le risorse rendono così facile la comunicazione, va posto soprattutto sul modo scelto, oltre che sul contenuto dichiarato.

Conoscerne la struttura comunicativa, o perlomeno tenerla sempre presente, sollecita la comprensione e aiuta a difendersi dalla demagogia, dal populismo e dalla mistificazione che dietro apparenti e semplici dichiarazioni possono celarsi.
Scegliere il come è già una dichiarazione. Prendiamo ad esempio uno scrittore: egli appartiene prima che al suo libro alla folla. E’ il pubblico a giudicare, a consacrare il suo atto comunicativo. Un sistema a tre teste sottoposto alle variazioni del tempo, dello spazio, del gusto..

Attraverso internet, la TV, i Mass Media in generale invece,il sistema originario è interpolato dalla variante ‘immagine’. Questa conferisce quel fittizio accento di realtà che abolendo la distanza fisica altera il fenomeno comunicativo e le sue relazioni. Ciò in favore di un’ingannevole prossemica dell’immediatezza esibita.
Riflettiamo sui – come – oltre che sui – perché – di ogni azione, la comunicazione del pensiero non è esente. In quanto atto che agisce sulla coscienza e la determina, va indagata: cosa, chi, perché, dove e come vuole dirci ciò che ci dice?

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