La fenomenologia dell’acquirente dei dischi si articola da sempre in una variopinta serie di manifestazioni. Dal consumatore saltuario all’audiofilo, dal collezionista al cultore di un genere all’onnivoro. Ognuna di queste figure, fino alla metà degli anni ’90 ha popolato con alterne vicende i negozi di dischi e prima dell’avvento della musica liquida – file digitali, spesso compressi; ascolto via computer e lettori portatili; piattaforme in rete – ne ha fatto un punto di incontro e socialità.
Tutti abbiamo chiaro cosa sia avvenuto nel consumo di dischi a partire da quel momento. Si è verificata una drastica diminuzione delle vendite, la chiusura di punti-vendita, il collasso del reparto dischi di molti grandi magazzini e megastore ad un cestone di superofferte. Unico baluardo, mai messo in discussione, le grate di cassette presenti da tempo immemore al di fuori delle stazioni di servizio in autostrada: le custodie ingiallite dal tempo, probabilmente inutilizzabili in qualunque piastra. Naturalmente, scherzi a parte, si è verificato anche un riflesso nel pubblico presente un tempo nei negozi: è venuta meno la “classe media” dei consumatori, le persone che fungevano da raccordo tra il consumatore saltuario e l’acquirente appassionato. Mi riferisco a chi – ogni mese, massimo due – comprava un disco e – ogni settimana o al massimo due – si ritrovava dentro un negozio di dischi e di tanto in tanto valutava l’idea del disco come regalo per un compleanno o per una ricorrenza. Ne Il tempo di un altro disco, libro pubblicato nell’autunno del 2014, ho focalizzato un ragionamento simile su un concetto differente ma decisamente connesso, vale a dire la presenza in casa di un impianto stereo: nel prossimo volume il punto verrà ripreso e ampliato per puntare a una valutazione più complessiva, comprendente i negozi e il rapporto con i dischi, oltre che con l’impianto.
Il punto è la disabitudine – se mi passate un termine tanto brutto – a desiderare l’oggetto. La traduzione concreta di classe media – in un consumo o in un’abitudine – è la maggior parte del campione preso in esame, il centro di massa che guida gli spostamenti e le intenzioni della maggioranza e stabilisce la normalità di un comportamento. Essere circondati da soggetti che si comportano come noi… Mi metto per un attimo nei panni a me ignoti del consumatore saltuario di musica, della persone che entra in un negozio di dischi una volta l’anno, che compra un disco solo per fare una cortesia ad un fratello febbricitante. È chiaro, vedere intorno a sé qualcuno che si comporta in modo poco diverso dal proprio conforta: se i nostri vicini trovano normale avere un rapporto meno saltuario del nostro con il disco, ma comunque commensurabile ci fa apparire la cosa possibile e può innescare un meccanismo di piccoli passi per approdare a nuove scoperte. Oggi il consumatore saltuario ha intorno a sé solamente altri consumatori saltuari e pochi rarissimi collezionisti, in grado di spaventarlo ulteriormente: se l’unica alternativa all’acquisto di un disco all’anno è comprare sette cofanetti da cento euro al mese, va da sé che ci si spaventi un po’. E, senza entrare in una casistica così estrema, altro fatto da non sottovalutare è la mancanza di interesse per una persona poco appassionata alla musica riguardo tutte le questioni tecniche legate alla qualità dell’ascolto e, ancor peggio, l’attitudine a non considerare come punto cruciale le differenze tra ascolto del disco e della sua versione compressa in un file di pessima qualità, tra disco originale e non originale. La risposta sarà veloce e incredula: «Ma, alla fine, si tratta della stessa canzone, giusto? Non capisco dove sia tutta la questione.»
La classe media nel nostro esempio dava la possibilità di compiere i piccoli passi. Soggetti estremamente diversi nei gusti e nelle finalità con cui utilizzare la musica, ma comparabili rispetto alle quantità di fruizione. Un gruppo capace però di far muovere il mercato e farne sopravvivere i vari attori. Nella traslazione di classe media fatta nella nostra brevissima e rapida riflessione, l’accento si poggia anche su altri fattori come la curiosità, la voglia di non accontentarsi e l’atteggiamento da tenere nei confronti del proprio gusto, dalla creazione delle prime griglie agli sviluppi successivi, fino alla continua ricerca, all’aggiornamento delle conoscenze.
E non è un caso che sia stata la nuova onda del vinile, minoritaria quanto si vuole, a riportare nei negozi un pubblico di affezionati clienti anche diverso dai collezionisti più assidui. La sintesi potrebbe essere presto fatta: per convincere qualcuno a spendere dei soldi, bisogna offrirgli qualcosa che non potrebbe avere altrimenti, magari rivestito da una idea vintage, dal concetto – per quanto vago o indefinibile – di calore del suono, dalla rivisitazione 2.0 dell’acquisto del 33 giri con tutta una serie di contenuti multimediali affiancati alla confezione concreta.