Abbiamo intervistato per il numero speciale dedicato a Grazia Deledda la dottoressa Alessandra Guigoni, antropologa specializzata nella storia e cultura dei cibi. Collaboratrice del progetto che l’ISRE ha dedicato alle celebrazioni del 150° della nascita della scrittrice nuorese, dove ha illustrato il legame tra cibo e letteratura deleddiana.
Hai portato la cucina di Grazia Deledda in tre conferenze spettacolo antropologiche incentrandoti su tre categorie di prodotti che in Sardegna sono fortemente identitarie e hanno un patrimonio di cultura gastronomica, storia, bellezza e bontà incredibili: le paste secche e fresche, le mandorle e i dolci a base di mandorla, i prodotti lattiero caseari. Come è andata?
È andata molto bene, il pubblico ha risposto in modo entusiasta, abbiamo fatto sold out in più di una occasione, riscuotendo lusinghieri complimenti da parte dei partecipanti.
Ringrazio ISRE di Nuoro e il suo comitato scientifico (Commissario straordinario Stefania Masala, Duilio Caocci, Elvira Ciusa, Neria De Giovanni, Dino Manca) che mi ha dato fiducia e mi ha permesso di far conoscere al grande pubblico Grazia Deledda attraverso un punto di vista diverso, quello della cucina, trattato partendo dalle sue stesse parole.
Lo abbiamo fatto attraverso il recitato dell’attrice Valentina Sulas, che ha letto moltissimi passi deleddiani, da me commentati con l’aiuto di esperti del settore agrifood, con i laboratori esperienziali di Maria Grazia Spada per le mandorle, Chiara Cogotti per la pasta, Bastianino Piredda e Billia Bacchitta per i formaggi.
Hanno partecipato anche alcuni ricercatori di Agris Sardegna: Martino Muntoni, Marco Dettori, Daniela Satta.
E poi hanno partecipato la chef Marina Ravarotto, l’associazione delle Lady Chef di Sardegna, lo storico Sergio Rossi, che mi hanno aiutato ad attualizzare le ricette descritte da Grazia Deledda portandole ai giorni nostri, con le differenze e le somiglianze, caso per caso. Nel mondo del cibo c’è sempre qualcosa che rimane, qualcosa che cambia e qualcosa che scompare.
Nel pubblico abbiamo avuto tante donne e associazioni, rappresentanze dei Club Inner Wheel di Sardegna, dell’Accademia Italiana della Cucina di Sardegna, dell’Associazione Le donne del vino Delegazione Sardegna, che avevano anche dato il loro patrocinio.
Quali alimenti vengono trattati maggiormente nei suoi romanzi?
Deledda scrive e descrive tutto, dalle paste e pani delle feste alle zuppe di erbe selvatiche, dal blasonato filindeu, una delle paste più affascinanti e rare al mondo sino alle umili patate, e al rito del caffè.
Non descrive solo l’alimento ma il contesto di produzione e di consumo, con poche efficaci parole, che rimandano ad un universo di senso. Contesti quotidiani o contesti festivi, intimi o pubblici, altisonanti o umili. Anche in questo sta la sua grandezza, la sua arte, che le ha valso il Premio Nobel per la Letteratura, l’unico vinto, ad oggi, da una scrittrice italiana.
Oggi immaginiamo che un secolo fa non ci fosse molta varietà nella dieta sarda, e nuorese in particolare. Poi c’erano le divisioni per classi, chi mangiava proteine e chi solo legumi o carboidrati se si aveva fortuna. Era veramente così, oppure c’erano dei cibi che tutti potevano mangiare, che univano in qualche modo ricchi e poveri? Qualche dolce della tradizione, o un pane per le occasioni importanti?
La dieta era differente secondo le classi sociali, certo. Si mangiava a sazietà solo durante le grandi feste, se si era fortunati. Il consumo di carne e dolci era in cima alla lista dei desideri. E di pane della qualità migliore, bianchissimo e finemente lavorato, senza cruschello. Esistevano differenze non sono nella qualità del cibo ma soprattutto nella quantità. Detto questo c’era molta attenzione ai consumi anche da parte dei “ricchi”, perché i rovesci di fortuna erano comuni e non c’era spreco, ma uso sagace di ciò che si aveva, tanto o poco che fosse. Dovremmo fare tesoro di quel modo di pensare e fare, che era intrinsecamente sostenibile. Oggi si butta via una quantità di cibo inimmaginabile: ciò non è né etico né ecologico.
Quali cibi raccontati dei tempi della Deledda ritroviamo ancora oggi nelle nostre tavole, e quali invece sono scomparsi dall’uso comune?
Inizio dagli scomparsi: quasi tutti i cibi con il cosiddetto Quinto quarto non incontrano il favore dei più giovani e dei millennials, si salvano forse solo cordula e tratalia, ma a molti giovani inurbati non piacciono più.
Tutto ciò che si faceva con il pane raffermo è demodé, purtroppo, come pure le zuppe e le minestre con i legumi, i piatti con le erbe selvatiche…Cosa è rimasto? Alcune pietanze festive, che erano un lusso, un alimento festivo, cultuale, e oggi possiamo mangiare quando vogliamo: la pasta fresca, la pasta ripiena, gli arrosti di agnello, capretto e maialetto, i dolci a base di mandorle e zucchero… Prodotti che spesso erano legati al sacro, a feste patronali, a culti antichi e molto sentiti, che oggi hanno perso quel senso originario e sono diventati alimenti mondani, come ho raccontato nel librino La lingua dei santi. Cibo e vino nel tempo tra sacro e mondano.
Quali libri della Deledda consiglieresti per conoscere la cucina del suo tempo, e quali romanzi invece possiamo gustare oggi per conoscere la cucina sarda contemporanea?
Grazia Deledda riporta frammenti di discorso culinario amoroso un po’ in tutta la sua opera, conosceva e amava la cucina sarda, aveva approfondito il tema anche quando, sotto l’ala del famoso etnologo Angelo de Gubernatis, aveva scritto delle tradizioni popolari di Nuoro e dintorni.
Aveva persino viaggiato a cavallo con il fratello Andrea, intervistando donne e uomini, persone comuni e personaggi, dei paesi vicini e meno vicini alla sua Nuoro.
Era una donna fuori del comune. In più sin da bambina aveva una capacità di osservazione e sintesi della realtà circostante eccezionale, ben sopra la media. Una spugna che assorbiva e rielaborava criticamente e con arte ciò che vedeva e sentiva attorno a sé.
Ecco: se fossi un lettore partirei proprio dalle Tradizioni popolari di Nuoro e poi assaporerei ogni citazione presente nei racconti e nei romanzi, senza fretta. Con atteggiamento da flâneur. Le citazioni più belle le ho scoperte per caso: santa serendipità. Deledda ha scritto tantissimo, quindi bisogna avere un atteggiamento aperto e non avere fretta, nell’accostarsi alla sua opera omnia.
Uno dei passi più belli, a mio modestissimo parere, è tratto da La fuga in Egitto; descrive, pensa un po’, la preparazione dei macarrones de punzu [o de ungra o cravaos], cigioni al nord Sardegna, che nel Campidano chiamiamo malloreddus, e nel resto d’Italia appellano, riconoscendoci il primato e l’invenzione, “gnocchetti sardi”:
«Tagliò una fetta della pasta e arrotolandola e tirandola la ridusse a una lunga biscia bianca che il coltello si affrettò a tagliare in piccoli pezzi come si trattasse davvero di una bestia pericolosa. Poi i piccoli pezzi scavati con l’indice come lunghe conchiglie formarono gli gnocchi: il loro esercito ben schierato sull’ asse e ricoperto dalla tenda di una salvietta».
Per gustare la cucina sarda contemporanea?
Consiglio, si parva licet, Cibo identitario della Sardegna, il saggio che ho curato per ISRE di Nuoro, e che, nella versione ebook, in vendita, contiene oltre 300 ricette, da quelle del Settecento a quelle della cultura popolare contemporanea. È un lavoro scientifico e antropologico, condotto con tante interviste e ricerca d’archivio e storica, a cui hanno partecipato anche Franca Rosa Contu e Serafina Tandeddu. Poi ci sono tanti validi ricettari moderni, portali e siti web, da scegliere con accuratezza e senso critico.
Bibliografia
Saperi e sapori di Gesico (Ortacesus, 2021);
Cibo identitario della Sardegna (Nuoro, ISRE, 2019);
Foodie con la valigia. Il turismo enogastronomico in Italia (Roma, 2019);
La lingua dei santi. Cibo e vino tra sacro e mondano (Roma, 2017);
Alla scoperta dell’America in Sardegna. Vegetali americani nell’alimentazione sarda (Cagliari 2009); Antropologia del mangiare e del bere (Milano, 2009);
Foodscapes. Stili, mode e culture del cibo oggi (Monza, 2004).