Per parlare della madre, dopo la Dea, nel senso di ciò che rappresenta per il simbolismo, in relazione al triangolo con la figlia ed il padre, si è scelto come testo indicativo il libro di Luisa Muraro “L’ordine simbolico della madre”, libro che si innesta nel pensiero cosiddetto “della differenza”, differenza sessuale, filosofica, politica, che l’autrice, insieme ad altre filosofe (alle quali, in seguito, si sono aggiunte, donne provenienti da altri campi), ha inaugurato costituendo una comunità di sole donne autrici, “Diotima” (ma, come riferito nel loro manifesto programmatico, gli uomini non sono esclusi né dalle iniziative pubbliche, né dai pensieri), comunità nata insieme alla Università di Verona, negli anni 1984-1985 (dalle ceneri di un gruppo denominato Fontana del ferro, che voleva dare corpo alle idee pubblicate in un testo intitolato “Più donne che uomini”, pubblicato nel 1983), dopo l’esperienza precedente (e tuttora in vita) della “Libreria delle donne”, a Milano. Pensiero della differenza, ma anche, “pratica di relazione”, che una di loro definisce come:”[…] una pratica dove libertà e verità perdono la loro astrazione perché è nella relazione che si decide che cosa è verità e libertà – fine del mito della verità metafisica o postmoderna e del mito della libertà liberale individualistica”. Tornando all’opera, cosa caratterizza questo pensiero sul simbolico e sull’ordine inscritto nella madre? Nel libro si parla dell’ordine simbolico che la lingua materna – ovvero la capacità di tenere insieme corpo e parole, esperienza e linguaggio che impariamo nella relazione primaria con la madre – sa fare.
Un ordine, definito rivoluzionario, giacché la relazione figlia-madre è cancellata nell’ordine patriarcale; l’autrice, ci dice, che imparare a praticarla nella vita adulta, sostituendo all’avversione la gratitudine per la madre e per le altre donne che ne continuano l’opera, apre lo spazio per la dicibilità dell’esperienza femminile, altrimenti sottoposta all’adeguamento alla norma e al potere maschile. Tutto ciò non in relazione a qualità fondanti un’etica o una relazione meramente psicologica, ma una relazione che è puramente simbolica, che genera forme sociali che si riferiscono alla lingua della madre, più che a qualcosa che sia inscritta come Legge della Madre. L’autrice passa in rassegna vari autori, quali Kant, Marx, Peirce, e psicoanalisti come Winnicott, per dar corpo alle sue tesi, descrivendo come, spesso, l’odio della figlia per la madre sia stato visto come un momento di liberazione sessuale per le donne, mentre invece, in accordo con Luce Irigaray (psicoanalista e filosofa belga, che ha fatto parte dell’”École Freudienne de Paris”, diretta da Jacques Lacan, in parte ispiratrice della comunità suddetta), ritiene che tale odio sia l’effetto di una mancata elaborazione simbolica dell’ancestrale relazione con il corpo materno. Ed è proprio questo corpo materno, che l’autrice mette in un rapporto di contiguità metonimica con il linguaggio materno, che trancia, non tende ad imitare, l’ordine metaforico che è sottostante la Legge del Padre, distanziandosi dalla visione definita “simmetrica” tra i due generi, proponendo una visione “asimmetrica”, poiché per la bambina il primo oggetto d’amore è una persona dello stesso sesso, ossia la madre.
Nelle culture patriarcali tale contiguità è stata spesso cancellata, in favore di un modello triangolare madre-figlia-padre, che non supporta più tale relazione originaria, anzi, se ne distanzia nettamente. Certamente si può osservare che un tale ordine simbolico, per così dire, della madre in cui non c’è posto per il padre, e per l’amore per il padre che è anch’esso un dato dell’esperienza femminile, è un ordine simbolico mancante, un ordine che non ordina la relazione con l’altro e con la legge dell’altro. Ma l’autrice, confessando la sua scarsa elaborazione di una figura paterna, complementare a quella materna, originaria e potente, indica nel padre la possibilità per un uomo, di stare accanto alla donna, e alla maternità che ne potrebbe conseguire, venendo indicato da questa come il padre dei suoi figli, senza forzare necessariamente l’identificazione con la figura paterna, perché il linguaggio in cui si inscrivono, nella norma, i figli, è di una marca espressamente maschile. Citando S. Agostino, la Muraro ritiene che sotto la legge del padre, le donne non avevano senso per sé stesse, ma solo in funzione di dare figli a lui, così come si è continuato a dimostrare con i cognomi patrilineari, poiché fuori da questa funzione, le donne o perdevano valore o perdevano la loro differenza per essere assimilate a uomini. Quindi, il discorso della madre, continua l’autrice, non va visto come un ostacolo da porre contro il padre, ma serve a rendere meno “necessarie” le teorie sulla Legge del Padre, al di là della pregnanza significativa della presenza e della relazione con il padre. Questo, nel solco di un recupero del femminile nella figura paterna, femminile che si vorrebbe espresso nell’amore per la moglie, madre dei suoi figli , e verso i figli stessi, amore gratificante, e non opprimente, da vivere senza l’idea di un compito superfluo, non adatto al proprio genere. Inoltre, l’autrice rivaluta la figura dell’isteria femminile, poiché interprete della differenza sessuale, essendo l’insegna del sintomo di un attaccamento al fondamento, all’origine, alla matrice, dell’amore per la vita, che non riesce a trovare sbocco nell’organizzazione patriarcale, rivolgendosi, in maniera brusca, verso la madre, che tenderebbe a voler mantenere eternamente attaccata la figlia ad un cordone ombelicale simbolico. Motivazione di cui si è nutrita, per l’autrice, un certo femminismo, nelle fasi iniziali del movimento, cercando affrancarsi violentemente da questa immagine, mentre è nel recupero del teatro dei sintomi, fuori dallo sguardo medicalizzante, che risiede la possibilità di un discorso eminentemente femminile, e sul femminile.
La madre, per la Muraro, dovrebbe recuperare quelle capacità, quelle competenze, che antropologicamente erano sue, come l’accudire i figli, parlar loro nel proprio idioletto, tutte caratteristiche che sembrano in via di estinzione, a causa di un potere (patriarcale) specialistico, che sia medico, pedagogico, sociologico, che tende ad escludere la madre, dal campo simbolico dell’altro filiale, per imporre la figura dell’Altro della “competenza oggettiva”, rifiutante l’origine del corpo che ha generato. Peraltro, in un altro libro, a cura di Diotima, “La magica forza del negativo “, la stessa autrice palesa, insieme alle altri autrici, i limiti di un approccio così marcatamente positivo all’ordine simbolico della madre, che tenderebbe ad eliminare ciò che di negativo, è insito in tale relazione. Questo, perché, le relazioni fra donne restano contrassegnate anche da un limite di negatività che non si elimina, non va in pareggio, e che se non viene a sua volta «trattato» minaccia di andare a male, da cui, ne consegue, che il negativo ha una sua “magica forza”, che non va espunta, ma elaborata, seguendo, ab origine, Hegel, che nella “Fenomenologia dello Spirito”, a proposito della morte e dell’immane potenza nel negativo dice:”Lo Spirito conquista la propria verità solo a condizione di ritrovare se stesso nella disgregazione assoluta […] Lo Spirito è invece questa potenza solo quando guarda in faccia il negativo e soggiorna presso di esso. Tale soggiorno è il potere magico che converte il negativo nell’essere.”.
E, infatti la Muraro ci avverte, sull’importanza di affrontare il negativo, dicendo che l’eccesso di idealizzazione è un inganno, mentre quando una madre prende in braccio la sua creatura sofferente , dicendole che va tutto bene, questa è illusione senza essere inganno. La Muraro conclude affermando che il pensiero della differenza, che sta alla base dell’ordine simbolico della madre, sta permeando quello maschile con idee come il partire da sé, la differenza, la relazione, il conflitto relazionale, il dono e la riconoscenza, la fiducia e l’affidarsi, l’autorità invece del potere, la rivoluzione simbolica, la possibilità di altro; questo lavoro del pensiero è duro e selettivo, e comprende anche una parte che si può chiamare ispirazione o disposizione innata, ma proprio questa parte è più direttamente riconducibile alla relazione materna e, come tale, traducibile in riconoscenza verso il mondo delle donne.