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Giancarlo Casula è originario di Desulo, nipote del famoso poeta Antioco Casula Montanaru. Nonostante sia un ingegnere che vive e lavora a Cagliari, non ha mai dimenticato il suo paese, Desulo, e nemmeno la passione, tipica del nonno e degli abitanti del luogo, di raccontare, tramandandole, le storie. Per questo motivo ha scritto un libro, un percorso durato diversi anni, ma che è oggi una grande testimonianza del passato, oltre che un modo per far conoscere al mondo Desulo. In particolare modo ci si sofferma sulla realtà di donne del centro Sardegna vissute a cavallo tra Ottocento e Novecento. Non per niente il libro, dal titolo “Desula”, è prima di tutto un omaggio alle donne del suo paese, ma anche ai loro modi di comunicare attraverso un alfabeto dei segni scritto sui propri abiti.

Il corpo centrale del libro, edito da Carlo Delfino, è preceduto da un’introduzione e una premessa. Si apre con una domanda: “possono storie di donne comuni, nate e cresciute in un piccolo paese della Barbagia, creare interesse non solo per un lettore locale, ma anche per un pubblico straniero?”. L’autore se lo chiede perché crede fermamente che la cultura parta da uno scambio di informazioni e, in un mondo dove le distanze si sono ridotte, c’è la necessità di rinnovare il sistema di comunicazione. Cerca di raggiungere questo obiettivo creando interesse a partire dalle storie delle donne del suo paese e soffermandosi sul loro abiti, ancora oggi indossati da molte di loro.

Il resto del libro si presenta suddiviso in due parti: nel lato sinistro appaiono poesie inedite di bambine e donne del passato, con un vocabolario di sardo desulese necessario per la traduzione delle stesse; nel lato destro, invece, vengono narrate storie che parlano di donne e del modo in cui comunicavano attraverso i ricami del vestiario. Molte di esse sono state vissute dall’autore stesso, altre ancora, invece, gli sono state raccontate da sua madre, ancora viva, e che, all’età di novant’anni, indossa l’abito tradizionale di Desulo tinto di nero, in segno di lutto.

L’abito di Desulo ancora oggi si può ammirare in processioni nel paese e in tutta la Sardegna: tutti ne colgono la bellezza, ma pochi ne conoscono simboli. L’autore cerca proprio di riportare in vita questi misteri del passato, ossia il fatto che i ricami con motivi geometrici dell’abito tradizionale di Desulo fossero, in realtà, dei simboli apotropaici. Il tutto, poi, inserito in una bellissima cornice di rosso, che rappresenta energia e salute: anch’esso, quindi, colore scelto non a caso dalle donne di Desulo. Oltre che per scacciare il malocchio, l’abito di Desulo veniva indossato dalle donne del paese in un modo o in un altro per riferire messaggi ben precisi, senza usare la voce o le parole. Quindi, ad esempio, viene tinto di nero in segno di lutto per un marito, viene aggiunto del panno nero sul “coprispalle” per dire che si piange una sorella o un fratello morti. Tra le varie storie raccontate per spiegare la forza comunicativa dell’abito, c’è quella di Michela, che, una volta morto il primo marito e dopo aver affrontato immense difficoltà, si sposò di nuovo. In questo caso, tuttavia, non indossò né l’abito sgargiante del primo matrimonio, né quello nero da vedova, ma un abito leggermente stinto, spento, che era tornato in parte alle sue sembianze originali, ma senza tutta quella luce. In questo modo si esprimeva la gioia per essere convolata a nozze di nuovo, ma senza dimenticare il precedente marito.

Il libro è ricco di aneddoti di questo tipo: ogni storia racconta di una donna e del suo coraggio, della solitudine che spesso queste giovani mogli dovevano affrontare. Desulo, infatti, è stato da sempre un paese di pastori transumanti e venditori ambulanti. Capitava spesso, quindi, che le donne restassero sole nel paese, tanto da spingere viaggiatori stranieri e altri sardi dei paesi vicini a chiamare il paese “Desula”, al femminile.

Il titolo del libro racchiude già tutto il suo contenuto: la storia di un paese narrata a partire dalle sue donne e dall’abito che indossano. Un abito tanto originale e tanto ricco di significati che l’autore pensa non abbia legami con quelli spagnoli, ma che siano addirittura più antichi. La ricerca del libro va nel profondo, ma vuole essere anche uno stimolo a non abbandonare questo studio e a ricercare nuovi legami, più lontani, che spieghino l’origine di uno degli abiti più noti della Sardegna. Vuole anche e soprattutto essere un modo per far conoscere una realtà isolata a tutto il mondo. E ci riesce, per la straordinarietà di queste donne, abili tramandatici di storie orali e non solo, che sono riuscite a lasciare il segno fino a oggi, coi loro abiti che ancora in tanti possono ammirare folgorati dalla bellezza.

Daniela Melis

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