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Presentato a Roma il documentario dell’ultimo viaggio di Mediterraid

Un documentario per capire a che punto sia l’applicazione dei diritti umani nei paesi del Mediterraneo, ma anche una presa di coscienza di quanto ancora ci sia da fare in questo settore non solo nei paesi che consideriamo più a rischio, ma anche in casa nostra o nelle regioni considerate più “sviluppate”.

La presentazione dell’ultimo viaggio fatto da Mediterraid, l’associazione che si occupa di promuovere la conoscenza e il dialogo reciproci fra i popoli del Mediterraneo è quasi un atto di accusa nei confronti dei paesi che credono di vivere nella democrazia e nella libertà e si scoprono invece ipocriti e incapaci di dare piena attuazione alla Carta delle Nazioni Unite che l’anno scorso ha celebrato il suo 60° anniversario.
Quasi tutti i numerosi ospiti intervenuti a portare il loro contributo durante la presentazione del documentario hanno infatti sottolineato come anche l’Italia non sia fra i paesi virtuosi nel rispetto di quelli che sono stati dichiarati diritti inviolabili della persona e che molti, anche nel nostro paese, si vedono rifiutati.

«Durante il viaggio dello scorso anno – ha raccontato il presidente dell’associazione, Antonello Fratoddi – abbiamo affrontato il tema dei diritti umani concentrandoci su alcuni articoli principali della Carta, come il 25, che garantisce il diritto all’alimentazione. In questo senso è paradossale pensare che ad una mucca europea spetti un assegno di 2 dollari al giorno: un diritto non altrettanto garantito per molti bambini e adulti in diversi paesi».
Anche l’applicazione del diritto alla libertà di informazione (art. 19) spesso incontra molti problemi, persino nei paesi in cui essa sembrerebbe un dato acquisito. Esemplare da questo punto di vista la storia, raccontata nel documentario, di Wael Abbas, un blogger egiziano che ha iniziato ad informare in rete denunciando le violazioni dei diritti umani da parte delle autorità egiziane e diventando, non solo una delle spine nel fianco del governo, ma anche una voce importantissima nel panorama dell’informazione. Non stupisce che proprio nei paesi come l’Egitto il numero delle persone che usano internet sia altissimo e in costante crescita.

«Anche nei paesi più disperati e disastrati – ha ricordato Daniele Mastrogiacomo, inviato de “la Repubblica” – la rete internet e quella dei cellulari funzionano e sono sempre presenti e hanno consentito a molti paesi di collegarsi fra loro e di fare comunicare le persone. In questo modo anche i giornalisti locali hanno la possibilità di continuare a fare il proprio lavoro».

Il tema su cui gli interventi si sono concentrati maggiormente è stato quello riguardante l’articolo 13 della Carta, e cioè la libertà di movimento e di residenza in ogni stato, alla luce anche dei recenti problemi sorti in Italia in questo senso e di una legislazione che sembra sempre meno adatta a fronteggiarli in modo adeguato. «Il pericolo vero – ha sottolineato Fratoddi – non è lo straniero o il migrante, ma chi semina odio».

Alberto Bobbio, caporedattore di “Famiglia Cristiana”, ha giudicato «nefaste alcune recenti politiche in materia di immigrazione», soffermandosi sulle condizioni in cui sono costretti a vivere i “clandestini” rinchiusi nel CIE (Centro di identificazione ed espulsione) di Lampedusa. «Alla maggioranza degli italiani – ha detto Bobbio – piace questo nome che sembra dare un certo senso di sicurezza nell’individuare i clandestini e rimandarli a casa. Ma non dimentichiamo che in questo posto i diritti dell’uomo sono sospesi al punto da non ritenere queste persone esseri umani: li si chiama semplicemente “clandestini”, non “uomini”. Le nostre politiche dell’immigrazione – ha continuato – partono dal principio dell’indesiderabilità e cercano un sistema per fermare gli immigrati alle frontiere, tanto che qualcuno, qualche tempo fa, propose di sparare ai valichi. Il diritto alla mobilità viene oggi sospeso molto facilmente dai paesi ricchi, ma è stato questo che in passato ha creato il mondo: cosa sarebbe infatti oggi l’UE senza Averroè o senza gli ebrei? È l’intreccio delle popolazioni che migliora i popoli, perciò chi scrive deve fare in modo che il pubblico percepisca l'”altro” in maniera positiva e capisca perché queste persone scappano dai propri paesi.

Lampedusa in passato era un punto di passaggio fra i popoli del Mediterraneo, tanto che molte parole sono le stesse usate in alcune zone della Tunisia. Il nostro governo invece oggi ricopre Gheddafi di soldi, nonostante la Libia non abbia firmato la carta di Ginevra e i campi profughi nel paese siano disumani».

A ricordare lo stretto legame esistente fra diritti umani ed emigrazione hanno contribuito anche le dure parole di Nizar Ramadan, direttore di “Famiglia Musulmana”, che ha sottolineato l’assenza, in riunioni di questo genere, delle voci dei protagonisti: gli immigrati. «Non ci si pone la domanda del perché queste persone vengano qui – ha detto Ramadan – e la risposta è perché soffrono. Perché allora non conoscere le cause di questa sofferenza? Tutti i grandi profeti erano emigranti, ma trovavano nel loro viaggio qualcuno pronto ad accogliere la loro testimonianza, mentre oggi in molti dibattiti che si fanno su questo tema mancano proprio gli immigrati e non si ascolta quello che hanno da dire. In passato l’immigrato aveva il coraggio di lasciare tutto e ricominciare da un’altra parte anche perché sapeva che avrebbe trovato sostegno, mentre oggi non lo si lascia esprimere e, dunque, non lo si responsabilizza facendolo partecipare alla vita pubblica e politica di un paese e dando così la possibilità di emergere a finti rappresentanti dei diversi gruppi che dicono di parlare in nome della comunità.

Si lascia il proprio paese per andare in un altro dove si trova solo gente arrabbiata, ma questa rabbia deriva dalla disinformazione. Ecco da cosa nasce l’esigenza di un’informazione e di un dialogo basati sulla conoscenza e il rispetto reciproci».
Secondo Nicola Pedde, direttore dell’istituto Globe Research, l’attuale stato delle cose è il risultato di un processo molto più lungo: «Il modo in cui certe aree vivono è il frutto del modo in cui noi stessi viviamo e ci rapportiamo al sistema pianeta e a queste stesse regioni. Il nostro rapporto con i diritti umani è infatti spesso sterile e caratterizzato da una generale ipocrisia. Siamo noi stessi e il nostro stile di vita una delle cause principali per cui non si riesce a raggiungere risultati concreti in altre parti del mondo. Anche in un periodo di crisi economica come questo si corre il rischio di usare la crisi per annientare alcuni elementi del processo di sviluppo e dei rapporti con gli altri, “chiudendo un occhio” nei confronti di certi paesi».

La sfida che attende Mediterraid per il 2009, dichiarato l’anno dell’insegnamento dei diritti umani, non è da meno e l’associazione farà un viaggio nelle scuole promuovere lo studio e la comprensione dell’importanza dei diritti umani fra i più giovani, un settore su cui bisogna lavorare molto anche secondo Pedde, che ha sottolineato la mancanza di una vera offerta formativa su questi temi.

«La costruzione di un mondo più equo e rispettabile – ha detto Rachele Schettini, presidente di Europa 2010 – deve passare attraverso la cultura. Per tanto tempo la cultura occidentale ha disatteso l’applicazione dei diritti più basilari a causa della presunzione del pensare di aver creato una società evoluta e in cui dunque tutti i diritti sono scontati. La globalizzazione e l’emigrazione hanno fatto cadere le certezze svelando le ipocrisie e mettendo tutti di fronte al problema dell’eguaglianza senza discriminazioni».

La speranza per il futuro è dunque che una migliore e più diffusa conoscenza dei diritti umani favorisca il rispetto reciproco e aiuti il dialogo perché, come ha ricordato un maestro derviscio turco nel documentario, «conoscendo gli altri diventiamo più forti spiritualmente e questa è un’arma più potente delle bombe». Il modo per raggiungere tale obiettivo è lo sviluppo di un’informazione che sappia dare voce alle molteplicità che costituiscono la grande anima del Mediterraneo e che, aiutando la conoscenza, favorisca la comunicazione rendendo il mare nostrum un luogo più sicuro per tutti.

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