Il rapporto tra educazione e politica è un tema particolarmente urgente ai giorni nostri, quando la crisi della politica si intreccia con una profonda emergenza educativa.
L’esperienza politica e l’esperienza educativa condividono paradossalmente uno strano destino, il fatto di operare in uno stato di crisi naturale. Questa crisi è da interpretare secondo una duplice accezione: incertezza della solidità delle proprie norme epistemologiche e l’avere a che fare con situazioni molteplici e indeterminate. In sostanza sia l’esperienza politica che quella educativa aggiungono alla loro incerta attendibilità scientifica l’incapacità di risolvere situazioni problematiche e controverse, dando origine, nell’uomo contemporaneo, ad un profondo senso di insoddisfazione.
Tuttavia non vi è simmetria tra i due punti e sembra proprio l’educazione ad avere il ruolo della parte più debole, come soggetta a regole, controlli e, in alcuni casi, a vere e proprie manipolazioni. Il naturale stato di crisi dell’educazione si palesa in un modo di vigere in una condizione di subordinazione, di una dipendenza permanente nei confronti di altri campi esperienziali, tale da far temere in alcune circostanze una sua prossima scomparsa.
D’altro canto nei momenti di maggiore tensione e contrapposizione si sente la necessità di rivalutare l’educazione quale manifestazione formativa autenticamente umana. Ciò dovrebbe far riflettere sull’ esigenza di identificare nuove categorie concettuali che consentano alla pedagogia, quale momento scientifico dell’esperienza educativa, di elaborare nuovi sistemi relazionali nei confronti delle altre scienze umane.
Questa rivalutazione fa nascere la convinzione che esista una sostanziale priorità dell’ educazione rispetto alla politica; nel sostenere questa tesi non si può fare a meno di sottolineare il contributo della pedagogia fenomenologica di P. Bertolini, che ha avuto il merito di prospettare un’immagine articolata e convincente sia dell’esperienza educativa che della scienza che studia specificatamente tale evento, la pedagogia, mettendone in risalto, tra le altre cose, la forte valenza politico-sociale.
L’esperienza politica e quella educativa hanno il difficile compito di non cadere nella semplice gestione della quotidianità, rimanendo vittime della necessità di conseguire risultati immediati; così come di non abbandonare i legami con la realtà confidando in piani aleatori difficilmente attuabili e frutto di riflessioni astratte. Utile affinché questo non accada è un atteggiamento critico-costruttivo, volto alla valorizzazione della razionalità argomentativa, perché solo attraverso un assiduo confronto dialogico è possibile individuare nuove ed adeguate modalità esistenziali.
Da un punto di vista filosofico si potrebbe sostenere che ciò che accomuna filosofia politica e pedagogia fenomenologica è il tentativo di assegnare senso all’essere attraverso l’individuazione del dover essere. Si tratta, ovviamente, di un criterio normativo attraverso cui si incorre in molteplici rischi, primo fra tutti il tentativo di desumere la realtà da idee astratte del tutto arbitrarie; non tutti gli atteggiamenti normativi, tuttavia, si contraddistinguono per la netta svalutazione del reale a favore dell’ideale, ma esistono scuole di pensiero che arrivano a raggiungere l’obiettivo della razionalità argomentativa attraverso un’ indagine attenta delle dinamiche sociali e politiche.
Il tema del dovere appare come centrale anche nel pensiero pedagogico di Kant, secondo cui accanto ad un dovere morale e ad un dovere politico compare un dovere educativo. Molti critici, a questo proposito, hanno sottolineato come quest’ultimo preceda i primi due in quanto tutta l’analisi kantiana si basa sulla convinzione che il percorso di conoscenza risulterebbe inottenibile senza una profonda struttura formativa. Lo stesso Kant presenta inizialmente il processo educativo come una vera e propria necessità alla quale l’uomo non può sottrarsi, pena la privazione della sua natura specifica.
Il filosofo prussiano associa ulteriormente esperienza educativa ed esperienza politica, trovando in entrambe una stessa identità di fondo: così come è impossibile eludere moralmente il contratto sociale, allo stesso modo è inammissibile sottrarsi al percorso formativo.
Due scoperte si possono considerare le più difficili per gli uomini: cioè quella dell’arte di governare e quella dell’arte di educare. E perciò ancora si disputa sulle idee rispettive.
E ancora:
Un principio dell’arte educativa che debbono avere sotto gli occhi quelli che fanno piani di educazione è questo: i fanciulli debbono essere educati non per lo stato presente, ma per un migliore e possibile stato futuro del genere umano, cioè secondo l’idea dell’umanità e del destino che le è proprio.
Gli individui devono percorrere un lungo e difficoltoso tragitto che li porti costantemente a superarsi, facendo propria la determinazione della legge morale. Il processo educativo è composto dall’allevamento, la disciplina, l’istruzione e la formazione pratica, che consiste nella moralità. Solamente l’acquisizione di quest’ultima può consentire di considerare completo il processo educativo. Senza il pieno conseguimento della formazione morale non può esservi vera libertà e padronanza di sé, ma semplice accettazione delle consuetudini. La libertà, quindi, acquista gli aspetti dell’autonomia, della responsabilità, dell’impegno e il grande progetto pedagogico tende ad innalzare l’uomo alla condizione di giudice consapevole del proprio destino. E in tutto questo non si può non cogliere l’idea della prevalenza dell’esperienza educativa su quella politica, così come non si può non recepire l’attualità di queste parole. Cambia il contesto storico, cambiano almeno in parte i riferimenti istituzionali presenti, ma persiste oggi la necessità di una riflessione sulle responsabilità della pedagogia e sul suo presentarsi come scienza di sviluppo e di emancipazione, in un momento delineato da una crisi della politica e dell’educazione.
Non si può non riconoscere l’indubbio valore politico del discorso educativo e pedagogico, in quanto ambito di riflessione caratterizzato intrinsecamente da una forma di richiesta di distacco verso qualsiasi situazione politica confusa e contraddittoria. Allo stesso tempo è responsabile della formazione di cittadini sensibili e con competenze politiche adeguatamente convincenti.
Bertolini propone il concetto di cittadinanza, in cui può trovare concretezza l’incontro tra educazione e politica. Tale concetto ha un contenuto tipicamente educativo per la sua condizione non data, ma conquistata, bisognosa di essere affermata, di potersi esprimere attraverso la partecipazione alla vita della comunità sociale.
Il diritto/dovere alla cittadinanza dovrebbe trovare spazi di realizzazione e di espressione a partire dalla scuola, ma non solo. Ancora Bertolini sottolinea l’importanza di una significativa educazione alla cittadinanza per tutti, perseguita in tutti i setting educativi, nello sforzo di congiungere gli spazi di apprendimento, scolastico ed extrascolastico, formale e non formale, in quanto il processo di formazione va oltre la dimensione scolastica coinvolgendo istituzioni sociali ed enti locali.