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La Pasticceria Napoletana è una forma d’arte culinaria che racchiude cultura, artigianato, opulenza, valorizzazione di prodotti considerati poveri e creatività, inoltre è capace di esprimere un’autenticità di sapori e profumi di altri tempi, come spesso accade per la Cucina Mediterranea in ogni sua interpretazione.

Tra le più tipiche espressioni dolciarie della tradizione natalizia partenopea vi sono le sapienze, cioè si scrivono sapienze ma si pronunciano susamielli e si mangiano come si pronunciano.

Per quanto la consuetudine di preparare dei susamielli nella sola città di Napoli possa essere anteriore al 1509, non se ne ha la totale certezza in quanto a partire da allora venne vietato l’uso della farina, bene prezioso e che non andava assolutamente sprecato, se non per produrre il pane, un divieto riportato nella Prammatiche del Regno di Napoli. Quel che è certo è che Il susamiello è un biscotto che col suo profumo intenso e delizioso comincerà a pervadere le strade di Napoli almeno a partire dal 1600 e questo grazie all’abilità delle suore clarisse del Convento di Santa Maria della Sapienza, le quali erano specializzate ad eseguirne la ricetta. Questa struttura conventuale di gran pregio artistico ed architettonico, da cui proviene il nome e la forma di questo biscotto napoletano, è sita lungo via Costantinopoli, proprio nel pieno centro di Napoli, e contiene in essa anche il tempietto detto Cappella della Scala Santa.

In realtà le origini del susamiello sono ben più retrodatate e risalgono ai tempi dell’Antica Grecia, tanto più che il nome napoletanizzato deriva innanzitutto dalla parola greca “sesamon” e successivamente dai vocaboli del tardo latino “sesamun” ed “mel”. In quell’epoca remota il susamiello non aveva ancora raggiunto la forma che conosciamo oggi e consisteva in una vera e propria ciambella i cui ingredienti principali erano costituiti da grani di sesamo e dal miele; queste leccornie venivano preparate in onore delle divinità Demetra e Core, legate al culto dei Misteri Eleusini, riti religiosi che si celebravano sin dal periodo miceneo nel tempio dedicato a Demetra eretto ad Eleusi, i quali constavano in una rappresentazione del mito narrante il rapimento di Persefone da parte di Ade e che erano necessari per auspicarsi buoni raccolti.

La ricetta, rispondente a “susamielli nobili”, la quale contempla anche il giulebbe di arance, ci viene tramandata attraverso il “Credenziere del buon gusto, del bello, del soave e del dilettevole per soddisfare gli uomini di sapere e di gusto”, del 1778 da Vincenzo Corrado, cuoco, filosofo e letterato, già autore del celeberrimo libro “Il Cuoco Galante”, famoso banqueting manager dell’epoca e noto per essere stato il primo gastronomo a mettere per iscritto “cucina mediterranea”. In effetti di ricette se ne conoscevano ben tre e consistevano appunto in quella detta dei “susamielli nobili”, quella in pratica più diffusa oggi, in quella dei “susamielli del buon cammino”, destinati a frati e preti, con uno squisito ripieno di confettura di amarena, ed infine nei “susamielli dello zampognaro”, la versione più povera, preparati con farina grezza e bucce di agrumi. Per quel che attiene al loro aspetto i sapientissimi susamielli sono fatti a forma di “esse” ed una leggenda metropolitana vorrebbe che una certa Suora Celestina, appartenente ad uno dei tanti conventi napoletani adibiti ad opifici di dolcezza, nel preparare questi biscotti esclamasse: “maledetto, tu mi tenti… sei un diavolo! E allora ti trasformo in serpente!!!”. Fiabe a parte, resta plausibile però che oltre al Convento dedicato alla Sapienza il susamiello lo si sia preparato tradizionalmente anche presso il Convento di Santa Maria Donnaregina, almeno fino al 20 ottobre del 1864, anno in cui le suore vennero espulse per essere quindi accolte presso il Monastero di Santa Chiara. Tornando invece alla motivazione sulla forma fu l’umanista e filologo Antonio Altamura, autore del Dizionario Dialettale Napoletano, ad asserire che il susamiello fosse ad “esse” in onore del patriota e scrittore napoletano Luigi Settembrini.

E adesso veniamo alle cose belle. Cosa ne direste di prepararvi la ricetta dei susamielli dei nobili con il ripieno di confettura però? Da buoni anarchici dallo spirito rivoluzionario come Masaniello fareste simbolicamente di monarchia e clero un solo boccone, oppure potreste mettervi a vostro agio e provare con la seguente ricetta…

Per prima cosa procuratevi del pisto per dolci oppure miscelate le seguenti spezie ben ridotte in polvere e di tutto prendetene un cucchiaino: 12 grammi di cannella, 2 grammi di noce moscata, 2 grammi di pepe nero, 2 grammi di chiodi di garofano, 2 grammi di coriandolo e 2 grammi di anice stellato. Prendete 250 grammi di farina 00 ed aggiungete 50 grammi di mandorle ben sminuzzate, magari frullate assieme ai 100 grammi occorrenti di zucchero, ai 250 grammi di miele, al cucchiaio di pisto ed ai 2 grammi di carbonato di ammonio, avendo cura di mescolarli per bene manualmente, aggiungendo un ulteriore pizzico di cannella, fino ad ottenere un impasto omogeneo. Fatto ciò modellate l’impasto a bastoncini e tagliateli della lunghezza di non più di un palmo e di spessore regolare, tale da poter dare la forma di esse al composto; ben disposti su carta forno sopra una teglia si procede a spennellare le “esse” con dell’albume sbattuto a forchetta e si procede a decorarle con delle mandorle intere non spellate, avendo cura di infornare nella parte media del forno alla temperatura di 180° per circa 15 minuti fino a quando saranno leggermente bruniti. Esistono delle varianti naturalmente: alcuni consigliano di adottare direttamente la farina di mandorle piuttosto che tritarle, aggiungere sia la frutta che le scorze di agrume candite e di contemplare diverse altre miscele di pisto in varietà e proporzioni. Consiglio di provare aggiungendo le sole bucce di arance candite a piacere, sostituire allo zucchero il vino cotto ed infine adottare per le decorazioni i semi di sesamo al posto delle mandorle.

Sono assolutamente da provare con del Brachetto D’Aqui Docg Spumante Dolce oppure con la Vernaccia di Serrapetrona Docg Spumante Dolce, si possono tuffare tranquillamente nel Vin Santo del Chianti Doc e degustare con i liquori fatti in casa con le tipiche erbe ed essenze mediterranee che più aggradano.

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