Articolo di Paolo Melissi
Intervista a Faso, bassista di Elio e le Storie Tese, appassionato presidente di una squadra di baseball milanese.
Nicola Fasani, meglio conosciuto come Faso – bassista della band Elio e le Storie Tese – ha da sempre una passione parallela a quella della musica: il baseball. Vincendo le prime frustrazioni per le difficoltà a praticare uno sport, che in Italia è considerato come minore, decide di fondare insieme a Elio, a fronte dei primi successi musicali, la propria squadra e nel 1988 nasce l’Ares Milano. Da allora a oggi la società si è trasformata in una vera e propria scuola baseball, abbracciando anche le categorie giovanili e diventando un serbatoio di atleti per leghe maggiori. Faso da un po’ di tempo a questa parte ha preso in mano personalmente l’allenamento della squadra della categoria ragazzi, dove gioca anche suo figlio Matteo, lavoro di grosse responsabilità soprattutto per l’età degli atleti che vanno tutti dai 9 ai 12 anni, in quanto l’allenatore, passando molto tempo con loro, diventa anche un “educatore” comunicando non solo nozioni tecniche, ma anche insegnamenti di vita.
Paolo Melissi, giornalista e scrittore, ha fatto due chiacchiere con Faso a proposito di questa sua esperienza.
Come è incominciata la tua “storia” con il baseball?
Mi sono avvicinato al baseball per puro caso. Come quasi tutti i musicisti ho sempre evitato di praticare sport che potessero danneggiarmi le mani. Ai tempi avevo una fidanzatina che leggeva i Peanuts, dove Charlie Brown fa il lanciatore, che mi propose di andare a giocare ai giardini. Ovviamente da italiano non avevo nessuna conoscenza del baseball, e provai con alcuni amici – tra cui anche Elio- ad andare a giocare al Parco Lambro, facendo lo slalom tra le siringhe. Ci divertimmo da morire, e incominciammo a giocare un baseball pionieristico – usavamo guantoni da sci – fino a quando non scoprimmo che al centro sportivo Saini c’era un campo da baseball abbandonato. Chiedemmo di poter usare il campo, ma ci risposero che non si poteva se non si era una squadra vera iscritta alla Federazione. Come dire che se voglio andare in piscina devo essere uno di quei campioni che quando si tuffano non schizzano l’acqua. Di fronte al divieto mi incaponii e finii per fondare la squadra.
Dal 1988 sono presidente dell’Ares. Inizialmente atleti e dirigenti e tifosi coincidevano, eravamo circa 13/14 persone. Poi è arrivato il successo con Elio e le Storie Tese e sono cambiate molte cose. Da qualche anno abbiamo avuto in concessione il campo, e non è cosa da poco in quanto necessita di una manutenzione pari a quella di un campo da golf, perché l’erba deve essere curatissima. Oggi abbiamo una squadra in serie B, l’attività giovanile di tutte le categorie e due squadre amatoriali. Da un campo abbandonato siamo passati alla necessità di un campo in più, perché lo spazio non basta. Insomma, con noi si gioca dagli 8 ai 50 anni!
Cosa rappresenta per te questo sport?
Il baseball è uno sport meraviglioso. L’ho amato subito non solo per la tecnica, ma anche per la sua etica. Sarebbe da insegnare nelle scuole, non tanto per diffonderlo, ma per trasmettere una mentalità di cui oggi abbiamo bisogno. Il mondo dello sport offre uno spettacolo di cui mi vergogno, basti pensare alla violenza e alla corruzione che stanno intorno al calcio. Purtroppo noi italiani siamo dei ciarlatani, e non siamo in grado – come succede in un paese come l’Inghilterra – di colpire in maniera efficace chi commette atti di violenza nel corso di una partita o dopo. Oltre Manica hanno avuto il problema degli hoolligans, e l’hanno risolto: lì ti fanno il processo immediato direttamente allo stadio! Da noi se la tua squadra ha perso il derby puoi sfogarti devastando un treno senza problemi. Se lo facessi io, da bassista, andrei in carcere. Avendo un figlio di nove anni penso che ci siano dei valori da trasmettere. Ho incominciato ad allenare quando mio figlio si è avvicinato a questo sport. L’ho portato nella nostra squadra giovanile, proprio nel momento in cui uno dei nostri allenatori avrebbe dovuto lasciare il suo incarico. Così ho pensato: “E’ un segno: smetto di giocare, comincio ad allenare”. Ed è un’esperienza bellissima: è fantastico avere a che fare con 15 ragazzini, anche se che a volte ti fanno impazzire! Oggi nelle nostre squadre vedo giocare insieme ragazzi italiani, sudamericani, e perfino un polacco, mi sembra un bel messaggio di integrazione.
Purtroppo da noi è considerato uno sport “minore”
In Italia ci sono oltre centomila tesserati e più campi da baseball e da softball (la versione femminile) che in tutta Europa, non lo sapevate, vero? Il mondo del baseball ha un approccio “sportivo” che sintetizzerei con quanto mi ha detto una volta il papà di uno dei bambini che gioca da noi: “Sai che non sapevo niente di baseball e mi sto appassionando perché ho capito che è più di uno sport: è un modo di vivere”. Nel baseball non c’è contatto fisico e non puoi simulare nulla. Prima poi tocca a te prendere la mazza per andare a battere, e sei da solo contro tutta l’altra squadra: se batti male non puoi accampare scuse, se batti bene nessuno può negarlo. Poi è uno sport statistico, si regge sui numeri, e sono le cifre che raccontano se sei bravo o no, non si scappa. Così i bambini imparano che l’allenatore non costruisce la squadra su simpatie o antipatie, sono i risultati che parlano. Alex Liddi, italiano di San Remo, è andato a giocare con i Seattle Mariners e la stampa italiana non ha quasi dato risalto alla cosa, mentre quella americana, giustamente, sì. È stato “scoperto” da uno scout americano che gli ha proposto di andare a studiare dall’altra parte dell’oceano, e ora ha esordito nella Major League. Questo fatto avrebbe meritato un ritorno molto maggiore di quello che ha avuto, ma il baseball da noi rimane uno sport “povero”, in cui bisogna fare sacrifici e pagarsi le spese di tasca propria.
Un ricordo di tutti questi anni che per te conta di più.
L’anno scorso abbiamo giocato una partita, alla fine del campionato, contro una squadra tosta, composta da ragazzini che giocano assieme già da tre anni, mentre la maggior parte dei i nostri era al loro primo campionato. Hanno dato il massimo, insieme, per affrontare gli avversari, e alla fine hanno vinto. Allora li ho visti correre tutti insieme in mezzo al campo e rotolarsi per terra dalla gioia. È stato un momento bellissimo, che mi ha fatto sentire fiero di loro. I ragazzi imparano a rispettare i compagni, a digerire i loro errori, a non essere critici, ad accettare la sconfitta. Una volta un allenatore americano mi ha detto: “La cosa più bella del baseball è che si gioca nel futuro. È inutile fermarti a pensare al tuo errore, devi pensare subito a battere la prossima palla nel modo migliore”