Gli atteggiamenti ipocriti non sono solo in Occidente: spesso anche i musulmani si lasciano andare a comportamenti poco canonici.
I cristiani accusano i musulmani di fanatismo religioso, i musulmani a loro volta criticano l’occidente per il suo scarso attaccamento alla religione, ma entrambi si trovano uniti nella demonizzazione degli atei, visti come fonte di ogni male perché privi di religione e, dunque, di valori morali. Ma davvero chi si professa credente e praticante vive la propria fede in modo coerente?
L’occidente ha fortunatamente segnato da tempo un confine netto fra religione e vita, relegando lo spazio della prima alla sfera personale e alle cerimonie in chiesa. Per il resto ognuno vive come meglio crede, senza preoccuparsi troppo di applicare la religione cui si dice di appartenere. Ci siamo dunque abituati a matrimoni in chiesa con spose sempre più nude (che magari non vanno mai a messa ma non potevano rinunciare alla suggestione della cerimonia religiosa), a celebrazioni che avvengono nello sfarzo più totale, a festività diventate più occasione di scambio di doni che di riflessione spirituale. Insomma, la coerenza fra i fedeli occidentali, e anche all’interno della stessa Chiesa, sembra diventata merce rara.
Dall’altra parte, siamo abituati a considerare i musulmani molto attaccati alla propria religione, ad immaginarli impegnati nella preghiera per cinque volte al giorno, a vederli seguire passo per passo le regole che la fede impone loro. In parte questa immagine è veritiera e la ragione è da ricercare in un modo di vivere e sentire la religione molto diverso dal nostro. Mentre, infatti, per noi la religione è un fatto puramente privato, in altre realtà l’appartenenza religiosa diventa un fatto sociale, come in Egitto, dove la voce “religione” appare accanto al proprio nome nella carta di identità o in diversi documenti ufficiali.
In Egitto convivono, in modo più o meno pacifico, diverse religioni. Prevale quella musulmana sunnita (vedi documento allegato islam), con percentuali fra l’80 e il 90%, una minoranza di sciiti e un’altra che aderisce al sufismo (vedi documento allegato minoranze musulmane). Il resto della popolazione è cristiana copta, con piccole minoranze di cattolici e ortodossi. Esistono anche una piccolissima comunità ebrea e una baha’i (vedi documento allegato bahaismo), quest’ultima non riconosciuta dal governo e perciò attualmente in lotta per il riconoscimento dei propri diritti.
Nonostante le divergenze, che a volte causano tensioni fra le diverse comunità religiose, quello che permette loro di convivere relativamente in pace è lo stesso background storico e culturale, dal momento che si tratta sempre di cittadini egiziani, e un modo di vivere la religione comune. Il solo fatto di essere credenti costituisce motivo di unità e accettazione reciproca, ragione per cui gli atei sono spesso costretti a vivere nascosti.
La religione per un egiziano, sia egli cristiano, musulmano, ebreo o baha’i, è un fatto quotidiano, che permea ogni momento della vita pubblica e privata. Ciò è tanto più vero per un musulmano, e la ragione è probabilmente riconducibile al Corano, considerato non solo come il libro sacro, ma anche come vero e proprio manuale di vita.
I musulmani ritengono che il più grande miracolo del libro sia il modo in cui è scritto. La bellezza della lingua usata è effettivamente difficile da ritrovare in qualsiasi altro testo in lingua araba, tenendo anche conto dell’epoca e dell’ambiente in cui il libro venne alla luce. Per questa ragione si ritiene che il Corano non possa essere opera dell’uomo, ma sia parola diretta di Dio e prova della sua esistenza e, proprio per questo, non possa essere messa in discussione. Il testo inoltre contiene non solo precetti religiosi, ma anche regole di comportamento da applicare nella vita quotidiana, dal matrimonio (chi sposare e chi no a seconda delle relazioni familiari e sociali o della religione di appartenenza, i comportamenti da avere nella vita coniugale) al cibo (cosa mangiare o bere e cosa evitare), dal modo di vestirsi al denaro e al business.
Anche per i cristiani in Egitto, l’esistenza di Dio è un fatto innegabile e quello che caratterizza la religione in questo paese, qualunque essa sia, sembra proprio il suo essere cieca e totale, al contrario di quello che succede da noi, che tendiamo a dubitare di tutto.
Verrebbe dunque da pensare ai musulmani come modelli di integrità e coerenza religiosa, ma in realtà anche fra di loro non tutti prendono alla lettera le regole coraniche o gli esempi del profeta. I comportamenti non canonici sono tanti, soprattutto fra i giovani, che sembrano farsi influenzare dall’Occidente solo negli atteggiamenti negativi.
È facile allora trovare chi, professandosi fervente praticante, va alla preghiera del venerdì magari reduce dai bagordi in discoteca della sera prima a base di alcool, espressamente proibito dal Corano, o chi fuma regolarmente hashish o altre sostanze (ugualmente bandite) e poi critica l’ateismo e la mancanza di valori occidentali. O anche chi, durante il digiuno del mese di Ramadan, magari non mangia, ma non rinuncia al tè o al caffé né, tantomeno, alla sigaretta, dimenticandosi forse che nell’Islam chi nega l’obbligatorietà del digiuno è considerato kafir, cioè miscredente o ateo e, perciò, dirimente dalla condizione di musulmano, tanto che in alcuni paesi a maggioranza musulmana la mancata osservanza del digiuno è sanzionata penalmente.
La religione però sembra farsi abitudine e, in qualche caso, vera e propria moda, soprattutto nel modo di vestire. Nonostante l’uso del velo per la donna sia solo suggerito nel Corano e la vera cosa importante sia piuttosto il mantenere un abbigliamento e un atteggiamento quanto più sobrio e rispettoso possibile, le ragazze sembrano spesso fraintendere il messaggio. Chi decide di portare il hijab dovrebbe, infatti, coprire tutto il corpo usando maniche lunghe e pantaloni, o gonne, fino alla caviglia e gli abiti dovrebbero essere larghi, in modo da non sottolineare le forme. Se molte donne sembrano applicare questo comportamento alla lettera, la maggior parte delle ragazze sembra più interessata a seguire le mode. Per le strade del Cairo si vedono ragazze col hijab e abiti che poco spazio lasciano all’immaginazione: pantaloni e magliette strettissimi, gonne corte con sotto un pantacollant, magliette color carne e, in alcuni casi, con la manica corta e pantaloni poco sotto il ginocchio. Tutti comportamenti che fanno rabbrividire chi capisce il vero significato del velo, che queste ragazze sembrano aver dimenticato.
Portare il velo, insomma, sembra essere più un’abitudine sociale che una convinzione religiosa, e in certi casi, addirittura una moda. Esistono tantissimi modi per indossarlo e legarlo e non si contano i negozi che vendono foulard coloratissimi e vivaci, spesso indossati uno sopra l’altro o intrecciati per ottenere effetti di colore indubbiamente molto belli, ma che poco sembrano aver a che fare con la religione. L’effetto hijab sembra piacere anche nel mondo patinato del jet set, tanto che la trendissima Jennifer Lopez lo ha indossato di recente in varie occasioni. Ovviamente si è trattato di una versione molto poco canonica, addirittura con la minigonna, che ha suscitato anche qualche polemica, ma di indubbio effetto estetico.
E che dire poi di quelle che portano il velo, segno di modestia e sobrietà, con un trucco pesantissimo?
Un altro ambito in cui la religione sembra essere diventata abitudine, ma a cui di solito si presta meno attenzione, è quello linguistico. L’arabo è ricco di espressioni che hanno origine religiosa, come i saluti o gli auguri, e in un paese come l’Egitto, dove si respira religione in ogni luogo e istante della giornata, le espressioni di questo genere sono numerose. Quando ti chiedono “Come stai?” è quasi automatico rispondere semplicemente “Alhamdu lillah”(Grazie a Dio), o se ti si offre da bere o da mangiare piuttosto che rifiutare con un “no” che potrebbe sembrare scortese, si può sempre dire “Rabbina khalek” (Dio ti conservi), che si usa anche in risposta ad un complimento. E che dire poi di “In sha’ Allah” (Se Dio vuole) usato e abusato per ogni occasione? Perfino se si chiede in certi negozi se abbiano dello zucchero a volte ci si sente rispondere “In sha’ Allah” piuttosto che semplicemente “Si”!
In certi casi l’uso errato della religione sconfina in quella che molti considerano superstizione. Nonostante l’esistenza del malocchio nell’islam non venga messa in discussione e sia parte integrante della religione, le pratiche utilizzate da santoni improvvisati per scongiurarlo non sono viste in modo positivo. Così come è sbagliato che si lasci durante la notte, come a volte succede, una copia del Corano aperta su un leggio dietro la vetrina di un negozio per far desistere eventuali ladri.
Se dunque è vero, in linea di massima, che il modo di sentire e vivere la religione in questo paese è certo più forte che da noi, è altrettanto vero che in molti casi la religione è diventata abitudine e costume. In questo non ci sarebbe nulla di male dal nostro punto di vista, però allora non vorremmo sentirci dire, come spesso avviene, che sia solo l’occidente ad aver perso il senso vero della religione.