Fotografie di una quarantena. Siamo abituati a vivere dentro a dei confini. Non solo, abbiamo bisogno della definizione chiara e netta di cosa è al di quà e di che cosa invece è al di là della nostra piccola e stratificata realtà, questo ci permette di definire concettualmente chi siamo – chi sono io – e soprattutto chi non sono io, chi sono loro.
Siamo abituati a vivere circondati da confini e barriere, concretamente eretti sullo spazio dei territori politicamente esposti, mediaticamente narrati, concettualmente imposti.
Ma in periodi come questo, in cui minacce invisibili virologiche non si limitano a minacciare, ma concretamente abbattono i nostri muri ed entrano nella nostra realtà e nella nostra vita, come cambia la nostra percezione del confine?
A cambiare sono i confini stessi: non si tratta più di frontiere fortificate, di soglie di transito, di muri cementificati, ma del più tranquillizzante e familiare dei confini: le pareti della nostra casa.
Il potere della fotografia è, direbbe Roland Barthes, riprodurre all’infinito ciò che ha avuto luogo una sola volta; essa permette di riprodurre meccanicamente un momento che non potrà mai più ripetersi esistenzialmente.
La fotografia è tautologica: in sé, l’oggetto rappresentato è sempre il medesimo oggetto rappresentato, in contrapposizione al mondo che resta in costante movimento.
Ma in un momento storico che vede l’evolversi di un evento straordinario come una pandemia, della quale solo una bassa percentuale della popolazione può dire di avere memoria, in grado di mettere in ginocchio le istituzioni e di infondere un costante sentimento di angoscia nelle menti di tutti, si può comunque parlare di mondo in costante movimento? Se si scattassero delle fotografie rappresentative di quella che è solo una delle microrealtà vissute tra quattro mura, tutte così tremendamente somiglianti, si potrebbe mantenere salda la convinzione che oltre tali oggetti, oltre i momenti impressi nella fotografia, il mondo stia continuando a girare?
Con Fotografie di una quarantena tra le altre, si è voluto fotografare un’idea, un sentimento, l’emozione che aleggia attorno all’oggetto rappresentato.
Ma è possibile fotografare la staticità? Si può fotografare la mancanza?
Si può rappresentare l’amore?
Con pochi e semplici scatti in bianco e nero, senza l’ausilio di eccessive parole e didascalie, si è tentato di riprodurre ciò che esiste dietro il blocco che tutti abbiamo vissuto.
Lo scorrere della quotidianità fatto di microscopiche attenzioni, quando in mano non abbiamo altro che questo, e il mondo sembrava essersi fermato.
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